SICUREZZA - concezioni propedeutiche: 1 - oltre la dimensione riduzionista

1 - Concezioni di sicurezza: l’insicurezza è il prodotto di una scissione simbiotica i tra soggetti e il loro habitat sociale, cioè di uno stato di liminalità che induce minaccia, rischio, pericolo. Per uscire da questa dimensione riduzionista occorre sviluppare, con una metodologia di Glocal Analysis, una tecnica PAE (Ponderazione dell’Avvento di un Evento).




    Il 19 ottobre 1990 il Frankfurter Allgemeine Zeitung stampa una relazione di Ulrich Beck dal titolo “Die Industriegesellschaft schafft sich selher ab”.
    Ulrich Beck è nato il 15 maggio del 1944 e il 19 ottobre del 1990 aveva 46 anni. Allora ancora insegnava all’università di Müster. Quella pubblicazione era in realtà il testo di una discussione che durava ormai da più anni tra i sociologi europei di cui Ulrich Beck era indubbiamente un riferimento scientifico, meglio, teorico. Nella sua relazione, pubblicata il 19 ottobre 1990 dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, il professore dell’università di Müster e noto teorico della società del rischio, pose ai sociologi europei che partecipavano, in varie sedi, ad un dibattito sulle evoluzioni della società industriale e che, qualche mese prima, proprio a Francoforte si erano riuniti, una domanda profondamente fondata eppure apparentemente singolare, certamente provocatoria. Chiese, Ulrich Beck, prima del 19 ottobre 1990 ma pubblicata il 19 ottobre 1990, ai sociologi europei, riuniti a Francoforte a discutere delle evoluzioni e dei possibili scenari futuri della società industriale, come teorico più illustre della società del rischio e chiarissimo professore dell’Università di Müster, chiese quanto normale fosse ancora il normale.

    L’episodio è ricordato, e non poteva fare diversamente, da Niklas Luhmann nel suo libro sulla sociologia del rischio. Non poteva fare diversamente proprio perché sul concetto di normalità e sulla “rottura della forma normale”, Luhmann fonda la sua concezione di rischio: “la questione, piuttosto, è cosa possiamo apprendere sui normali processi della nostra società dal fatto che essa cerca di cogliere le disgrazie nella forma dei rischi e non più per esempio nella forma di magia o di stregoneria e nemmeno in quella di religione, una volta che si è accettato un dio che vuole solo il bene e una volta che il diavolo ha perso la sua funzione cosmologica, se non addirittura la sua esistenza[1].

    Così come posto e proposto, il problema ci interessa molto perché, già da allora, si dimostrava in perfetta sintonia con la nostra impostazione che oserei definire paradigmatica.
    Innanzitutto Niklas Luhmann ritiene che “la valutazione del rischio e la disponibilità ad accettarlo non sono solo una questione psichica, ma sono soprattutto una questione sociale[2]. Sono una questione sociale perché il rischio si percepisce da una rottura di normalità. Questa “rottura della forma normale” ci induce a per sopravvivere, “di fronte ad un ambiente altamente minaccioso”. La nostra lotta per resistere ci spinge a reagire, ad “aumentare la gamma delle regolarità riconoscibili” tramite “una notevole produzione semantica per propiziare gli dei, per trovare capri espiatori, per rendere sacre le vittime di incidenti straordinari”. In questa epoca di pandemia la dinamica della paura percepita e della sua rimozione alla soglia della catastrofe è di una evidenza lampante: il nostro habitat di vita sociale è sottoposto al rischio concreto di sopravvivenza e questo rischio viene da noi notevolmente avvertito proprio perché le complessive restrizioni pandemiche ci mostrano la rottura della forma di vita normale. Noi allora ascoltiamo i comunicatori, ci informiamo, parliamo, discutiamo, proponiamo, cioè partecipiamo ad una notevole produzione semantica che, per lenire la paura derivante dal rischio di essere infettati, ci affida al destino o alla fortuna, accusa di inefficienza i decisori, fa cadere governi come opportuni capri espiatori, sacralizziamo gli eroi che sacrificano la loro vita o soltanto la loro tranquillità per curare i malati e prevenire la propagazione dell’infezione.

    Luhmann spiega con particolare precisione che il concetto di sicurezza si sviluppa in modo opposto e complementare al concetto di rischio. In modo opposto, poiché “nella retorica politica questo ha il vantaggio che, se ci si dichiara contro tutte le imprese troppo rischiose, si appare allo stesso tempo come qualcuno che ha a cuore il valore della sicurezza, apprezzato da tutti[3]. Tuttavia complementare, nel senso che questa accezione, comporta “quell’atteggiamento per il quale ci si augura senz’altro la sicurezza, ma dati i rapporti mondiali esistenti, bisogna per forza accettare dei rischi[4]. In entrambi i casi, nel caso della prevenzione dei rischi sia nel caso della loro accettazione, i rischi diventano la misura della sicurezza possibile: “perciò essi utilizzano il concetto di rischio per precisare in maniera ragionieristica la loro aspirazione alla sicurezza e la misura di ciò che può essere ragionevolmente raggiunto”. Però, se il rischio fosse semplicemente “una misura per processi matematici”, la sicurezza potrebbe essere facilmente conteggiabile. Il fatto è che la sicurezza, secondo il nostro approccio, è principalmente una funzione sociale che, come ci ha insegnato Sartori, non può essere soltanto misurata, ma va ponderata, specie in una società che fa della comunicazione il suo fatto sociale totale. Ponderare significa che può esserci un caso, uno solo, in termini statistici irrilevante, tuttavia che pesa notevolmente sulle connessioni sociali della comunicazione tanto da rendere concavo lo spazio immateriale del proprio dominio e attrarre l’attenzione prevalente e farne un importante produttore di insicurezza percepita. È il caso delle madri che uccidono i bambini. In termini matematici, o quantitativi, sono statisticamente irrilevanti, ma, proiettati sulla rete di comunicazione pesano e inducono le persone ad avere paura, a percepire il rischio, a sentire insicurezza.

    Fabrizio Battistelli riprende lo schema logico di Luhmann distinguendo tra minaccia, rischio e pericolo: “Ecco che, di fronte a un danno che incombe, è fondamentale chiarire se esso provenga da un pericolo, da un rischio o da una minaccia[5].

    Tuttavia, indipendentemente dall’impostazione di Luhmann e, direi contro l’impostazione di Luhmann, che ricordo dava al rischio in quanto rottura della normalità una dimensione sociale e sociologica, questa accezione basata sulla percezione della minaccia, del rischio e del pericolo, ha successivamente ridotto la problematica della sicurezza collettiva alla sensazione individuale. Ha acquisito una dimensione riduzionistica in quanto il concetto di sicurezza o di percezione della insicurezza è stato considerato non oggettivo, cioè sfuggente al dato statistico, al calcolo matematico ed economico costi/benefici. Si è trascurato e infine tralasciato ciò che Luhmann chiedeva che si analizzasse, cioè la rottura della normalità, quel che noi denominiamo “stato di liminalità”, una scissione simbiotica tra individuo o soggetto ed habitat sociale che può costituirsi come un rito di passaggio (Turner[6]) o come un vuoto (Dahrendorf[7]). Il problema della sicurezza è stato ridotto alla percezione di insicurezza; non è stata analizzata la funzione sociale del rischio, ma la preoccupazione individuale che fa percepire una minaccia laddove nemmeno c’è; sono state analizzate le risposte emozionali, le paure situazionali, dove azioni dirette di micro criminalità sono molto più dirompenti della criminalità organizzata occulta, dove un immigrato che non delinque e non aggredisce induce una sensazione di pericolo maggiore di un bullo a scuola o di un marito violento. La riduzione dalla funzione sociale del rischio alla paura psicotica della folla solitaria[8] ha attratto la maggior parte degli studiosi.

    Ora, non sostengo, propedeuticamente appunto, che questa dimensione riduttiva del problema della sicurezza (o della insicurezza percepita) basata sul trend minaccia, rischio, pericolo sia sbagliata o inopportuna. 
Sostengo che:
  •  in primo luogo, il problema dell’insicurezza percepita, specie laddove non fosse corrispondente ai dati della sicurezza realizzata, viene circoscritta alla soluzione psicologica, cioè all’intervento diretto sul singolo attore sociale al fine di curare la sua discrasia cognitiva;
  • in secondo luogo, che la dimensione riduzionista della sicurezza rende il problema irrisolvibile, specie in epoca di proliferazione degli attori sociali e della loro unica capacità storica di riflettersi sullo specchio del surplus incontrollato della informazione autoreferenziale (vedi la mia descrizione della “sindrome di Shannon[9]).
    Poco prima dell’avvento della società della comunicazione (se convenzionalmente datiamo questo avvento alla caduta del muro di Berlino nel 1989) il paradosso della dimensione riduzionista (intendendo per paradosso la contraddizione fra dati di fatto e percezione degli attori sociali) è risultato chiaro principalmente in ambito economico, in cui le scelte e le decisioni degli operatori sono più evidenti e conteggiabili. Molti tentativi sono stati elaborati, a partire dalla “Teoria dei Giochi” da von Neuman e Morgenstern[10] a Nash[11], fino alla teoria del comportamento razionale di Harsanyi[12] (di cui parleremo meglio prossimamente). Molti paradossi sono stati individuati, come quello di Allais[13] sul comportamento degli individui in condizioni di rischio, o quello Ellsberg[14] sulla utilità attesa dei decisori. In ogni caso, non si sono trovate finora soluzioni e si è proceduto di paradosso in paradosso, premiati con il Nobel, fino alle teorie emozionali ed emotive di Thaler e i suoi Nudge[15], l’incentivo morbido, ovvero la spinta gentile, con cui si può indurre l’attore sociale all’autocontrollo. Si tratterebbe, cioè, di piccoli ma costanti incentivi in grado di indirizzare il processo decisionale individuale dalla emozionalità incontenibile alla razionalità limitata.

    La sintesi conclusiva del paradossale paradigma riduzionista può essere questa: “L’esito delle scelte è determinato, in sostanza, dall’elaborazione dell’informazione incompleta di cui gli agenti dispongono, condotta secondo processi mentali non riconducibili esclusivamente alla razionalità. Le scelte sono fortemente legate all’intensa comunicazione che ha luogo fra gli agenti, i quali a vario titolo si scambiano informazioni, opinioni, stati d’animo, emozioni e, come detto, non decidono utilizzando unicamente la razionalità.[16].

    Sennonché, nonostante l’enfasi dei premi, la società della comunicazione e il tifone della pandemia hanno definitivamente cancellato il paradigma riduzionista e reso clamorosamente evidente, sia che le decisioni vengono assunte ragionevolmente sulla base di aspettative in carenza di informazioni (ma discuteremo di questo prossimamente), sia principalmente che l’insicurezza relativa (o la sicurezza limitata) dipendono dall’avvento di un evento, per giocare con le parole, cioè dal peso che un fatto sociale assume nel network della comunicazione, da come e quanto questo peso piega le connessioni relative al proprio dominio relazionale, da come e quanto rende concavo lo spazio (sebbene immateriale), da come e quanto modifica la morfologia dei network e che tipo di scissione simbiotica produce tra i soggetti e il proprio habitat sociale.
    Il primo punto da trattare propedeuticamente rispetto al problema della sicurezza limitata (o della insicurezza relativa) dunque è semplice: quando un evento pesa così decisamente sulla rete della comunicazione da indurre la percezione di un rischio che non sia possibilità ma pericolo? Quando quell’evento pesa talmente sulla percezione collettiva da indurre una scissione simbiotica che produce paura, minaccia, rischio e pericolo tra i soggetti e il loro habitat sociale?

    Diceva Niklas Luhmann che la minaccia che piova diventa un rischio per me se non porto l’ombrello.
    Per uscire dalla dimensione riduzionista (il rischio per me di Luhmann) noi cerchiamo di costruire un ombrello per tutti; cioè la definizione, con una metodologia di Glocal Analysis, di una tecnica PAE (Ponderazione dell’Avvento di un Evento) che ci permetta di prevedere, con una probabilità marginale affidabile, in vari settori della complessità sociale la insicurezza relativa o la sicurezza limitata.

    Non ne discuteremo qui. Qui si poniamo soltanto alcuni problemi scientifici di ordine propedeutico.
    Sapere che cosa è la metodologia della Glocal Analysis e come si applica la tecnica PAE, è parte della nostra expertise, il nostro know-how, questo mix di esperienze e conoscenza che cerchiamo di trasmettere nella nostra attività di ricerca, formazione e consulenza.

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[1] LUHMANN Niklas, Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1996, p.2
[2] LUHMANN N., cit. 1996, p.11
[3]LUHMANN N., cit. 1996, p.29
[4]LUHMANN N., cit. 1996, p.29
[5] BATTISTELLI Fabrizio, La sicurezza e la sua ombra, Donzelli Editore, Roma 2016, p. XI
[6] TURNER Victor, Antropologia della performance, Il Mulino, Bologna 1993
[7] DAHRENDORF Ralf, Quadrare il cerchio. Benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Bari 1995
[8] RIESMAN David, La folla solitaria, Il Mulino, Bologna 1973
[9] CECI Alessandro, Intelligence e Democrazia, Rubettino, Soveria Mannelli, 2006, oppure https://sites.google.com/a/alessandroceci.eu/intelligence-e-democrazia/home/capitolo-4-democrazia-dei-limiti riportato in CECI Alessandro, La relazione responsiva, Europarole, Roma 2021 oppure https://alessandroceci.blogspot.com/2019/02/la-relazione-responsiva.html
[10] Von NEUMANN John e MORGENSTERN Oscar, Theory of Games and Economic Behavior, Princeton University Press, Princeton, New Jersey 1944
[11] NASH F. John, Equilibrium points of n-person games, in PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA, 36, 1950, pp. 48-49
[12] HARSANYI C. John, Comportamento razionale e equilibrio di contrattazione, Il Saggiatore, Milano 1985
[13] ALLAIN Maurice, Le comportament de l’homme rationnel devant le risque. Critique des postulats et des axiomes de l’école américaine, in Econometria, 21, 1953, pp. 503 - 546
[14] ELLSBERG Daniel, Risk, ambiguity, and the savage axioms, in The Quarterly Journal of Economics, , 75, 1961, pp.643 - 669
[15] THALER H. Richard, SUNSTEIN R. Cass, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, Milano 2014
[16] BERTUGLIA Cristoforo Sergio e VAIO Franco, Complessità e modelli, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p.508




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