TEOCRATICA O TEOCENTRICA? Le forme del potere religioso

 




    Non ho alcun dubbio che Massimo Campanini, scomparso prematuramente nell’ottobre 2020, sia stato il più bravo, documentato, esperto islamista italiano e forse anche di più. Contestare una competenza così ampia e precisa, anche se per specificare e non per confutare, è certamente un notevole azzardo. L’azzardo, però, a me piace, molto; non tanto per la sfida, di cui sono assolutamente disinteressato sia alla vittoria sia alla sconfitta, quanto per la ricerca dell’altro, oltre.

Di Massimo Campanini non mi convince l’affermazione che l’islam, il pensiero politico islamico, non sia teocratico (come il cristianesimo o, più di tutti, il cattolicesimo), ma teocentrico. Per me si tratta di una discussione, talvolta di una disquisizione, sottile, forzata, molto, molto accademica. Per Campanini, invece, si tratta di una importante biforcazione interpretativa. La distinzione tra sistema politico teocratico e sistema politico teocentrico non è una semplice differenziazione. È un bivio che fa prendere, a chi segue l’una o l’altra ipotesi, una strada totalmente diversa, che conduce in luoghi totalmente alternativi. E, con il solito atteggiamento dirompente che induce la medianicità, chi seguirebbe la strada della ipotesi teocratica, seguirebbe una illusione o una stupidaggine[1]. Il paradosso sta nel fatto che, se c’è un testo che dimostra la dimensione teocratica dell’Islam, è proprio il libro di Massimo Campanini “Islam e politica[2]. Se ci fosse il tempo e lo spazio sarebbe da entrare nel dettaglio. Naturalmente non possiamo o semplicemente non è questa la sede. Ci sarà, di volta in volta, l’occasione. Per ora, atteniamoci alle argomentazioni fondamentali.

    In ogni caso, non possiamo negare che gli argomenti di Massimo Campanini siano convincenti. Bisogna vedere se sono veri. Egli riteneva che l’Islam non fosse una teocrazia, in primo luogo perché la religione deriva dalla politica e non, come nel cristianesimo (o meglio, nel cattolicesimo) la politica dalla religione. Mi sembra una questione di lana caprina. Nell’ottica della mentalizzazione ogni religione deriva dalla politica. Ogni religione ha svolto prevalentemente una funzione politica a tutela e acquisizione del potere. E di più le religioni monoteiste, tutte. In secondo luogo, l’Islam sarebbe teocentrico e non teocratico perché non ha una struttura ecclesiastica verticale discendente, come nell’organizzazione politica cattolica o ortodossa. Il potere dell’Islam sarebbe ascendente. La legittimazione al potere non sarebbe la concessione di un ordine superiore a un ordine inferiore, ma un atto di volontà popolare. L’Islam non può essere una teocrazia perché non è top down, ma bottom up.
    Che vuol dire?
    Che argomento è?
    
    Nel dizionario di Scienza Politica di Bobbio-Matteucci la voce teocrazia è trattata da Renato Tisato, che la definisce così: “La Teocrazia indica quell’ordinamento politico nel quale il potere viene esercitato da Dio, cioè, di fatto, da uomini considerati direttamente in rapporto con Dio.”[3] Non è dunque la struttura del potere che definisce il regime, ma il vincolo relazionale dominante, potremmo dire la connessione determinante per la legittimazione politica. Questa tipica connotazione che definisce il regime è chiara fin dagli esordi, quando lo storico ebreo Flavio Giuseppe scrisse che Mosé “ha istituito come governo la Teocrazia, riponendo in Dio il potere e la forza” da cui deriva la migliore delle Costituzioni possibili perché “attribuisce a Dio il governo di tutto, che incarica i sacerdoti di amministrare a nome di tutti gli affari più importanti e affida al sommo sacerdote la direzione degli altri sacerdoti[4]. Mosè ha, nella teologia islamica, praticamente lo stesso ruolo, la stessa funzione e la stessa prestazione che assume negli altri monoteismi. Anzi, di più. Mosé è il profeta più citato del Corano e un costante riferimento di Muhammad in quanto suo antecedente storico. Addirittura Mosè è uguagliato a Muhammad. Non la struttura, dunque, ma il vincolo è connotativo. Anche perché l’assenza di una struttura è tipica delle comunità pre moderne, addirittura l’organizzazione tribale di comunità acefale, in cui nulla poteva evitare l’accumulazione della ricchezza e del potere, se non la forza. È intorno al 3.500, espresso principalmente con la società egiziana, che il potere si verticalizza[5], si presenta nella sua erezione fallica, nelle primordiali forme dello Stato, con la cui nascita “ha inizio la storia delle civiltà, cioè a dire la storia delle società autocefale e fortemente gerarchizzate, nelle quali la vita sociale è sottoposta al controllo di una minoranza organizzata che detiene il monopolio della violenza e che ha esonerato se stessa da ogni forma di lavoro produttivo.[6]. Tuttavia, anche dal punto di vista della struttura, che vorrebbe il regime teocratico come il prodotto di una relazione discendente – top down – mentre il regime teocentrico come relazione ascendente – bottom up -, la distinzione è equivoca.

    La teocrazia islamica è tutta dichiarata chiaramente nel Corano più volte[7], e precisamente quando Mosè, eletto da Dio a primo profeta delega la gestione politica a suo fratello Aron [E disse allora Mosè a suo fratello Aronne: «Sii tu mio vicario (ukhlufni) fra il mio popolo, agisci rettamente (aslih) e non seguire la via dei corruttori»)] che accetta e si rivolge al popolo [E Aronne già aveva loro detto prima: «O popol mio! (Con questo vitello) siete messi alla prova, ma il vostro Signore è il Misericordioso (al-Rahman): seguitemi e obbedite ai Miei ordini!»]. Si tratta di un potere attribuito in modo discendente da Dio a Mosè e da Mosé (la religione) al fratello Aronne (la politica). Il popolo accetta [Risposero: «Non cesseremo d’essergli devoti finché non torni a noi Mosè!»]. Quando la politica tradisce, la religione domina [E (quando questi tornò) disse al fratello: «O Aronne! Cosa t’ha impedito quando li vedesti errare, - di seguirmi? Disobbedisti dunque al mio comando?» — «O figlio di mia madre (ya-bna umma)!, rispose, non afferrarmi per la barba, non afferrarmi pel capo (la ta ‘khudh bi-ra’si)! Ho temuto (khashitu) che tu mi dicessi: «Hai messo divisione fra i figli d’Israele e non hai osservato la parola mia»! – 12 - E quando Mosè tornò al suo popolo, corrucciato e dolente, disse: «Quanto turpemente avete agito in mia vece (khalaftumuni)! Avete forse voluto affrettare l’ordine (`ajiltum amr) del mio Signore?» Poi gettò a terra le tavole, e prese per la testa (akhadha bi ra’si) suo fratello traendolo a sé. E Aronne gridò: «O figlio di mia madre (Ibna umma)! Il popolo mi ha umiliato e furon sul punto di uccidermi. Non far sì che i miei nemici si rallegrino della mia disgrazia, e non pormi con la gente iniqua!» - E Mosè pregò: «O mio Signore! Perdona me e mio fratello, e facci entrare nella Tua misericordia, poiché sei il più misericordioso dei misericordiosi (wa anta Arham al-Rahimin)». – 13 - ]. Più teocrazia discendente di così!

    In ogni caso non è nemmeno questo il problema centrale. Il problema centrale è che il cleavage politico più importante non è tra mythos islamico – bottom up – e mythos cattolico – top down -. Il cleavage determinante è, come sostiene giustamente Karen Amstrong, tra mythos e logos; quel che definisco la scissione simbiotica tra verità strumentalmente prodotte dalla realtà oggettivamente interpretata. Mentre “nel mondo premoderno sia il mythos che il logos venivano considerati indispensabili[8] e dovevano rimanere “distinti, e si pensava fosse pericoloso confondere il discorso mitico e quello razionale[9]; nel mondo moderno l’epistemologia garantisce il mantenimento di questa distinzione, anche se “l’esperienza religiosa è mutata; e poiché sempre più spesso si considera il razionalismo scientifico come l’unica verità, molti hanno cercato di trasformare il mythos della loro convinzione fideistica in un logos[10].

    La eccessiva specializzazione di Massimo Campanini, per dirla come Popper, può essere uno dei grandi pericoli per la ricerca scientifica, un limite perché depista i problemi e li incastra in differenziazioni insignificanti. Un depistaggio significativo, in questo caso, perché divide platonicamente il mondo della filosofia (in generale) e della filosofia politica (in particolare) dal mondo della vita politica, rinunciando alla ben più significativa demarcazione tra ciò che scientifico è e ciò che scientifico non è, tra dispotismi (siano essi teologici o teocentrici, monarchici o repubblicani, tirannici o totalitari) e democrazia.

    Affermare che i regimi islamici siano più democratici di quelli cattolici solo perché il potere dell’Imam deriva dal popolo, mentre negli altri monoteismi deriva da ordini superiori, è decisamente eccessivo. Anche nel cattolicesimo questa considerazione è relativa e relativamente imprecisa. Può valere per Agostino e la patristica. Ben diverso è l’approccio della tomistica. Per Tommaso, infatti, definisce il ruolo e il significato della politica come scienza, cioè segue una ragione che passa da speculativa a pratica, sulla base delle dinamiche della natura. La comunità tomistica è “civile ordinata all’autosufficienza”, come scrive nel VI libro del Proemium, nel Sententia libri Politicorum. Per Tommaso il Re viene eletto e il popolo può addirittura destituirlo, poichè è espressione di una comunità di simili che, nonostante le reciproche diversità, si riconoscono in un fondamento comune. Se il Re non tiene fede al patto elettorale, il popolo può addirittura sottrarsi e rinunciare. Quindi anche nel cattolicesimo c’è un potere che si attribuisce in modo ascendente, ma questo non cambia la natura teocratica dei suoi regimi. In ogni caso, affermare che i regimi monoteisti sono democratici solo perché il potere è nominato dal popolo, quando una delle distinzioni fondamentali della democrazia è la separazione dei poteri, dei ruoli e delle funzioni (che nei monoteismi sono mischiati e confusi), non è nemmeno un atteggiamento spregiudicato: è semplicemente un errore. Non ci interessa se il papato è top down e il califfato o l’imamato è bottom up. Non ci interessa se il governo della Umma è meglio definito come Califfato o come imamato, o un miscuglio dei due. Ci interessa che le donne siano ancora lapidate o emarginate; che la giustizia si risolva con una decapitazione tramite sega elettrica, in cui l’unica modernità è la sega. Dopo di che possiamo entrare pure ne dettaglio, dove si dice che alberghi il diavolo e non Dio. E il diavolo che si nasconde dentro questa eccessiva specializzazione che enfatizza il dettaglio, specialmente laddove si afferma che l’Islam è teocentrico contro il Cattolicesimo è teocratico, è una parziale assoluzione, ha il sapore di una colpevole giustificazione.

    Non si sostenga infine la banale asserzione che non si può giudicare l’ISLAM se non lo si conosce a fondo, nei minimi dettagli, altrimenti siamo indotti a guardarlo dal nostro punto di vista. Che cosa vuol dire, che non possiamo giudicare l’azione di Giulio Cesare o la filosofia pragmatica di Cicerone, perché non li abbiamo conosciuti? O che non possiamo parlare dell’Atene democratica di Pericle perché allora non c’eravamo? O che non possiamo lamentarci delle bruciature del fuoco o dell’asfissia annegante dell’acqua perché non ne conosciamo la composizione chimica? Tutti guardiamo le cose dal nostro punto di vista, è ovvio. È ben per questo che confrontiamo giudizi, per evitare che restino pre-giudizi. Una delle caratteristiche della competenza interpretativa della filosofia è quella di aver applicato, come metodologia di verifica, l’epistemologia, necessaria appunto, non a verificare la congruenza tra i fatti e le verità delle scritture sacre, ma la corrispondenza della realtà con la interpretazione fenomenologica. È la realtà che valorizza la verità, non, viceversa, la verità che valorizza la realtà. Questo è il portato globale che l’Occidente ha donato, come valore aggiunto della conoscenza, al mondo; ed è la distinzione e l’enorme distanza tra un approccio razionalista ed un approccio fideistico: il vero cleavage della filosofia politica di sempre.




[1] https://www.youtube.com/watch?v=ZiiKlz-Qsqw o anche https://www.youtube.com/watch?v=CkZ9q2nf4xo


[2] Campanini Massimo, Islam e politica, Il Mulino, Bologna 2015


[3] Tisato Romano, Teocrazia, in Bobbio Norberto e Matteucci Nicola, Dizionario di politica, Utet, Torino 1976, p.1030


[4] Flavio Giuseppe, Contra Apionem, I, II, capp. XVI e XXI


[5] Ceci Alessandro, Cosmogonie del potere, Ibiskos, Empoli 2011


[6] Pellicani Luciano, L’Occidente e i suoi nemici, Rubettino, Sovera Mannelli 2015, p.300


[7] Cor. XXVI, 15. 7 Cor. XXVIII, 35. 8 Cor. X, 75. 9 Cor. XXVI, 16-17. 10 Cor. XX, 44. 11 Cor. VII, 142, Cor.VII, 150-151. PALLAVICINI, Musa e Harun, la fratellanza spirituale,


[8] Amstrong Karen, In nome di Dio, Il Saggiatore, Milano 2002, p. 15


[9] Amstrong Karen, In nome di Dio, cit. 2002, p. 15


[10] Amstrong Karen, In nome di Dio, cit. 2002, p. 17

Commenti

  1. La invito ad essere più incuriosito nei confronti di chi pensa per concetti e non per generalizzazioni o per determinazioni.
    La preterizione con cui si apre il suo intervento, non salvifica nulla di quanto segue, incensare colui di cui si parla per proseguire nella demolizione indiscriminata di ciò che comunica, non insinua neanche il dubbio che non ci si trovi di fronte ad assoluta mancanza di umiltà di chi scrive nei riguardi del suddetto incensato.
    Decisamente sarebbe stato più appropriato schierarsi apertamente contrari, trovo quantomeno superfluo questa ambiguità di partenza.

    Non essendo lei un esperto di cultura e filosofia islamica, mi sovviene immediatamente la domanda di come possa esporsi con cotanto ardire, ma forse è un problema mio, sono troppo
    affezionata all’idea che non si parla di ciò che non si conosce.
    D’altronde, non dovrebbe quantomeno conservare un briciolo di rispetto nei riguardi di chi, altresì con umiltà, ha speso la sua intera esistenza per gettare un ponte fra due culture vicine ma distanti.
    Non si è mai domandato degli effetti del suo passatempo, quel che le sembra un semplice gioco di retorica? Sminuire così, soprattutto a posteriori,
    il lavoro di un intellettuale che ha cercato di fornire ai cosiddetti “occidentali” categoria ermeneutiche che ci permettessero di ottenere delle forme a priori per pensare il pensiero islamico, mi permetto di dirle è doppiamente irrispettoso.



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