2 - Epistemica della Simbiosi

 

CSI

Competenza Situazionale di Incorporazione

 

Alessandro Ceci

marzoduemiladiciassette

 

EPISTEMOLOGIA SIMBIOTICA:

la probabilità soggettiva che ha un evento di accadere è data dalla sua competenza situazionale a incorporare possibilità pesate e a elaborarle in propensioni pensate.

 

 

            Ho notato una certa recrudescenza a pubblicare, ultimamente, libri al confine tra epistemologia e politica. L’ultimo, in ordine cronologico - che risulti a me - è questa intervista di Pino Donghi a Giulio Giorello sulla scienza e sulla rivoluzione[1]. Un altro è la descrizione del mondo, specificamente il mondo della politica, al tempo dei quanti, proposta da Mario Agostinelli e Debora Rizzuto[2]. Quasi contemporaneamente è comparsa la cronaca autobiografica della esperienza parlamentare[3] di Elena Cattaneo, eminente biologa e farmacologa, scienziata di chiara fama, nominata dal Presidente Giorgio Napolitano senatrice a vita.  Potrei continuare citando moltissime altre pubblicazioni, dalla filosofia politica genetica dell’umano[4] all’avvento prossimo venturo di uomini cyborg[5], che, in modo esplicito o implicito, cancellano sempre più, mentre lo descrivono, il labile confine tra scienza e politica. 

            Che cosa significa?

            Forse è vero, come scrive Audi, che nell’era moderna l’epistemologia trasborda, cioè che “acquisisce una portata che va oltre i confini della disciplina specialistica[6]? Perché? Per sconfiggere il dominio del potere incontrollato, che nella società della comunicazione è un potere cognitivo fondato sulla scissione simbiotica tra realtà e verità?

            Certo, ma non solo. Non solo per l’affermazione di una nuova forma di potere nella società della comunicazione; che pure è la causa più importante se non addirittura determinante.

C’è, a mio avviso, anche un tema più sotterraneo, più rivoluzionario, più in sintonia con le evoluzioni funzionali della conoscenza. Un tema di carattere epistemologico.

            Avendo spesso trattato il problema del potere altrove[7], mi dedico qui all’altro aspetto, quello appunto epistemologico.

 

…verso la epistemologia simbiotica

 

            Diciamo che per molti di noi, per quelli di noi che sono stati influenzati se non addirittura cognitivamente colonizzati, dalla produzione letteraria di Karl Popper e della sua “Società Aperta”[8], questa congiunzione epistemologica tra scienza e politica, era nota. Io stesso, ben 11 anni fa, nel 2006, concludevo così un mio noto libro: “Quando, tra cinquemila anni, chissà da quale anfratto intergalattico, nello spazio, le future generazioni per conoscersi meglio ci osserveranno, coscienti che nella storia dell’umanità non esistono esperienze che, per quanto nuove o rinnovatrici, non siano in qualche modo riconducibili ad esperienze precedenti: che cosa vedranno? Come sintetizzeranno la multiforme vita di ciascuno di noi? A che cosa ci ridurranno? Come ci caratterizzeranno? Forse racconteranno la breve storia della nascita e della prima, lenta evoluzione dell’intelligenza. Tracceranno il passaggio, a diversi ritmi di accelerazione, della logica: dalla sua complessità ontologica alla sua complessità tecnologica fino alla attuale complessità epistemologica. Descriveranno la nostra emancipazione attraverso le quattro tappe della modernizzazione: dalla conquista della posizione retta alla coltivazione dei campi, dalla produzione industriale ai network della comunicazione. Ci rappresenteranno dentro le varie forme in cui è evoluta la nostra associazione di individui: in gruppi, organizzazioni, comunità, società. Ci raffigureranno come un coacervo indistinguibile e spesso, per fortuna, incomprensibile di razionalità e ragionevolezza, follia e spensieratezza, teorizzazione e sperimentazione, tentativo ed errore, sensazione, emozione, ira, violenza, programmazione, improvvisazione, usurpazione e giustizia, privazione e libertà.  Ma, sopra tutto, emergeranno inequivocabili e chiari i due segni più esaltanti della nostra presenza nel mondo: la conoscenza scientifica e l’azione politica.[9]

            E allora?

            Di che stupirsi?

            Dell’intensità: tanta produzione,  tanti libri sul tema e con tanta frequenza, come oggi, nessuno se li aspettava.

            Come mai?

            Non credo che siano tutti improvvisamente rinsaviti, fulminati all’istante sulla strada della epistemologia e della sua rilevanza metodologica nella soluzione politica dei problemi sociali. Anche perché, ad ascoltare i protagonisti televisivi di analisi politica, giornalisti, opinion makers e politici, questa consapevolezza non compare proprio. Si preferiscono lunghi e noiosi monologhi, spesso senza alcuna articolazione logica, il semplice, cioè, banale almanacco dei problemi, dei loro deficit, abbozzate soluzioni, senza articolazione e senza alcuna connessione. Però con tanta enorme presunzione.

            Invece, proprio l’approccio epistemologicamente congiunto tra scienza e politica, dovrebbe fornirci una visione d’insieme, prospettica, dei trend sociali, dei suoi modelli di sviluppo e dei valori da enfatizzare per scambiare porzioni di vita di qualità che fanno la qualità della vita. 

 

            John Losee[10] distingue 4 diversi punti di vista sulla filosofia della scienza:

1.     quello delle implicazioni universali, “secondo cui la filosofia della scienza è la formulazione di concezioni del mondo che sono coerenti con importanti teorie scientifiche e in certo qual senso sono basate su di esse[11];

2.     quello delle implicazioni soggettive, “secondo cui la filosofia della scienza è un’esposizione dei presupposti e delle predisposizioni degli scienziati[12];

3.     quello delle implicazioni teoriche, “secondo cui la filosofia della scienza è una disciplina in cui i concetti e le teorie delle scienze vengono sottoposti a un’opera di analisi e di chiarificazione”[13];

4.     quello delle implicazioni metodologiche, che “considera la filosofia della scienza una criteriologia di secondo livello[14] che risponde a quesiti sulle caratteristiche, sulle procedure, sulle condizioni e sullo status dei problemi scientifici. 

                        Poi c’è un quinto approccio: il nostro.

                        Nasce dalla lebenswelt, dalla scienza della vita di Husserl[15], per passare ai gradi dell’organico di Plessner[16], ancora dentro la epistemologia genetica di Piaget[17], attraverso la teoria della complessità e la fisica di Ilya Prigogine[18], fino alla nostra epistemologia simbiotica.

            Simbiotica a che?

            Alla natura?

            All’ambiente?

            No. All’habitat sociale.

            Ho passato tutta la vita a studiare le scienze sociali e particolarmente quelle politiche.

            La mia inclinazione filosofica è stata in parte arginata: prima per calcolo, poiché la vulgata familiare era convinta della oziosa inutilità della disciplina; poi per amore, in quanto hegelianamente mi ero convinto che la scienza politica fosse la sintesi della dialettica conoscenza/azione.

            Una volta laureato, sono stato dissuaso allo studio cattedratico della filosofia dal presidente del mio primo centro di Ricerca sulle tecnologie educative[19], il quale riteneva che lo studio affascinante, sebbene altrettanto “matto e forsennato” della epistemologia fosse molto più diretto e funzionale alla mia professione di sempre ed alla mia professionalità: la gestione di gruppi scientifici, in ambito di ricerca, di sperimentazione, di formazione e di consulenza.

            Così ho fatto, per fortuna! E allora tutta la mia vita intellettuale, tranne qualche improvviso hobby, è stata racchiusa – spero non chiusa – nello studio filosofico della scienza e della politica. Anche se a molti non sembra, in realtà mi sono sempre soltanto occupato di epistemologia e politologia. Anzi, per meglio dire, con la epistemologia ho sempre difeso la politologia e, tramite essa, tutte le scienze sociali.

            Questo confronto serrato è durato molti anni. Infatti, da quando mi sono laureato ad oggi, ho incontrato una pletora di scienziati presunti e presuntuosi che, con aria di sufficienza, mi hanno fatto notare l’insignificanza delle scienze sociali e la futilità di una laurea in Scienze Politiche. Ho difeso in mille modi, invece, questa competenza e non perché fosse la mia. Tuttavia allora non avevo la esaustività di oggi, specie dopo le più recenti scoperte.

            Le ragioni delle Scienze Sociali si sono stabilizzate in me soltanto di recente, nel 2013, quattro anni fa, quando ho letto il libro del biologo-sociale Edward Wilson[20], che meriterebbe davvero il premio Nobel, in cui si  dimostra in modo inequivocabile che la terra è stata conquistata da animali eu-sociali. E che proprio la eu-socialità ha generato primati superiori, fino all’umano.

            La cosa, come detto, mi era già nota da quando ho studiato la Labenswelt, la scienza della vita di Emund Husserl, il quale sostiene che la epistemologia classica è riduttiva per il fatto che, concentrando la scienza su se stessa, perde gran parte della vita, quella che sembra disperdersi nelle relazioni sociali e nell’ermeneutica, la scienza dei significati. Il primo punto è stato quello del superamento della obiettiva oggettività della scienza ufficiale nel mondo-della-vita. C’è, infatti, un mondo-della-vita che “è il mondo dello spazio-temporale delle cose così come noi le sperimentiamo nella nostra vita pre- ed extra-scientifica e così come noi le sappiamo esperibili al di là della esperienza attuale”[21].Invece, con la scienza ufficiale, “ponendo come fine questa obiettività (una «una verità in sé») assumiamo una specie di ipotesi che travalica il mondo-della-vita[22]. Tuttavia questa accezione è definitivamente superata giacché “noi abbiamo prevenuto questa possibilità di «travalicamento» del mondo-della-vita mediante la prima epoché (l’epoché delle scienze obiettive) e ora siamo in imbarazzo riguardo a ciò che può essere preso in considerazione scientificamente come un che di constatabile una volta per tutte e da parte di tutti[23]. La scienza obiettiva tradizionale non supera il suo imbarazzo fino a quando non si prende in considerazione che “il mondo-della-vita, malgrado la sua relatività, ha una propria struttura generale”[24]. Ma “questa struttura generale, a cui è legato tutto ciò che è relativo, non è a sua volta relativa[25]. Husserl poneva dunque una esigenza di conoscenza, al limite anche di una conoscenza scientifica, di quel mondo che trascuriamo perché la presunzione di oggettività dei  nostri metodi non considera, esclude, ma dove tuttavia viviamo ogni giorno. Un mondo che ha regole fondamentali, cioè una sua “struttura generale[26] e che quindi può essere investigato se avesse una epistemologia libera dalla oggettivazione tradizionale e dunque in condizione di percepirlo. Un  mondo che, in realtà, le scienze obiettive avrebbero già dovuto considerare, in quanto il “mondo-della-vita ha già in via pre-scentifica le «stesse» strutture che le scienze obiettive presuppongono parallelamente alla loro sostruzione (diventata orma un’ovvietà attraverso una tradizione secolare) di un mondo che è  «in-sé», che è determinato attraverso le «verità in-sé», e che dispiegano sistematicamente nelle scienze a priori, nelle scienze del logos, delle norme metodiche universali a cui va connessa qualsiasi conoscenza del mondo «obiettivamente essente in sé»”[27]. Quando “rinuncia a fondarsi scientificamente sull’a-priori universale del mondo-della-vita”[28] la nostra logica è “presuntivamente autonoma[29]. Si tratta di una logica, cioè, che “rimane sospesa nell’aria, priva di fondamenti”[30], ma che invece, tramite una “riflessione radicale[31] può realizzare “il grande compito di una teoria dell’essenza del mondo-della-vita[32]. Pertanto, “soltanto una volta attuata questa scienza radicale del fondamento, la logica stessa può diventare scienza[33]. In questo modo Husserl, prima di morire (1938), tra il 1936 e il 1937,  lancia il suo programma che per noi oggi sarebbe un programma quantistico: “occorrerebbe dunque una distinzione sistematica delle strutture universali, dell’a-priori universale del mondo-della-vita e dell’a-priori universale «obiettivo»; successivamente occorrerebbe definire la problematica universale del modo in cui l’a-priori «obiettivo» si fonda sull’a-priori «soggettivo-relativo» del mondo-della-vita, oppure, per esempio, del mondo in cui l’evidenza matematica trova la propria fonte di senso e di legittimità nell’evidenza del mondo-della-vita[34].  

           La dimensione sociale della conoscenza mi era nota dalla epistemologia genetica di Jean Piaget, secondo cui “l’intelligenza organizza il mondo organizzando se stessa”, fondamentale concetto della auto poiesi cognitiva precedente agli studi di Maturana e Varela. In quanto biologo e zoologo, non in quanto psicologo, Piaget cerca una epistemologia sperimentale che fosse in grado, come per Husserl, di superare i limiti degli approcci positivisti e neopositivisti della conoscenza scientifica e contro ogni costruzione lineare e unilaterale della scoperta scientifa, in cui il noto scaturisce dall’ignoto, trasmigrando da una disciplina all’altra. Piaget immaginava un programma di conoscenza che fosse scientifica in quanto fosse  interdisciplinare e transdisciplinare in grado di coordinare metodi e contenuti di ogni ricerca, sfuggendo dalla riduzione specialistica delle discipline. Piaget era perfettamente cosciente del fatto che la scienza “oggettiva” fosse una scienza essenzialmente normativa, cioè costruita interamente su norme e criteri epistemologici predeterminati e atemporali; “dall’ipotesi che la verità si fonda su norme permanenti, situate nella realtà, nelle strutture a-priori o nelle sue intuizioni immediate e vissute”. La sua epistemologia genetica allora tenta di elaborare un programma che consideri la genesi temporale delle norme, perché attribuisce la crescita della conoscenza “alla pressione delle cose, alle felici convenzioni del soggetto o alle interazioni del soggetto e dell’oggetto” per invertire il processo e fare in modo che “l’analisi dello sviluppo potrà procedere dal fatto alla norma” per definire “soluzioni genetiche”. In questo modo “il problema non sarà più il tal caso quello di rinvenire la norma fissa nell’ambito della evoluzione, bensì di generare la norma stessa tramite i dati mobili dello sviluppo.[35] In questo modo Piaget pone, forse per la prima volta, la funzione auto poietica della scienza, costruita su una epistemologia che, oltre ad essere oggettiva[36], storica[37], sperimentale[38], fosse principalmente genetica, nel senso della continua auto-produzione della scienza a se stessa. L’epistemologia di Piaget diventa una meta epistemologia, una epistemologia della epistemologia[39]. che sfrutta ogni tipo di indagine che sappia formulare modelli interpretativi e fornire dati al fine di implementare lo sviluppo storico, sociale, naturale e individuale dei processi cognitivi. Si potrebbe dire così: l’essere umano conosce la realtà attraverso la sua verità e la sua verità attraverso la realtà. Questo circuito genera la conoscenza di cui ha bisogno per fronteggiare le sfide della complessità del mondo.[40]  Siamo alla prima espressione di una epistemologia riflessiva, di ordine processuale, che sarà riconosciuto e reinterpretato, nella dizione di conoscenza della co­noscenza[41], dalle ipotesi auto poietiche di Maturana e Varela[42]. Lo riconosce Varela: “L'originalità dell'epistemologia genetica consiste nell'estendere l'ambito di indagine dell'epistemolo­gia a tutti gli stadi evolutivi, non limitandosi a quelli geneticamente più compiuti, come è quello della co­noscenza scientifica. Suo oggetto di studio non è cioè soltanto la conoscenza scientifica, ma anche le varie manifestazioni storiche della conoscenza scien­tifica, la conoscenza prescientifica che è solidale alle strutture mentali dell'adulto e del bambino, nonché l'insieme di condizioni biologiche, fisiche e sociali che rendono possibile lo sviluppo di tali strutture. Jean Piaget ha studiato il modo in cui soggetto e og­getto si costruiscono reciprocamente attraverso mol­teplici livelli di sviluppo”.[43] La connotazione comune tra la epistemologia genetica e l’autopoiesi, consiste nella dimensione cognitiva: “Quanto Piaget  ha introdotto in modo indimenticabile – sostiene Varela - è che la cognizione - anche in quelle che sembrano le sue espressioni più astratte - è fondata sulla concreta atti­vità dell'intero organismo, cioè sull'accoppiamento sen­so-motorio.” Siamo di nuovo alla considerazione dell’habitat sociale, alla vita in un mondo che “non è qualcosa che ci è dato, è qual­cosa a cui prendiamo parte attraverso il modo in cui ci muoviamo, attraverso il modo in cui tocchiamo e via di­cendo”. Questa partecipazione quotidiana e assoluta alla vita nel mondo “è quanto io chiamo cognizione quale a-zione effettiva, dato che azione effettiva connota questa attività di produzione attraverso una manipolazione con­creta[44].

            Anche la fisica, che consideriamo sempre resistente, si è aperta al riconoscimento della esigenza di una nuova epistemologia con le strutture dissipative e la freccia irreversibile del tempo di Ilya Prigogine, essenziale interprete delle teorie sulla complessità. In modo molto esplicito, Prigogine pone il problema di “una nuova razionalità[45] contro quello che William James ha chiamato “il dilemma del determinismo[46]. “La fisica del non equilibrio, che è venuta prendendo forma negli ultimi decenni, – scrive Prigogine – è in effetti una nuova scienza. Essa ha condotto a nuovi concetti, come l’auto-organizzazione e le strutture dissipative, che sono oggi largamente utilizzati in molti ambiti, dalla cosmologia all’ecologia e alle scienze sociali, passando per la chimica e la biologia[47]. I nostri habitat sociali sono “sistemi dinamici instabili[48] è occorre una nuova scienza per comprenderli, sostitutiva di quella vecchia, oggettiva, classica, che “privilegiava l’ordine, la stabilità, mentre noi oggi riconosciamo il ruolo primordiale delle fluttuazioni e dell’instabilità a ogni livello di osservazione[49]. Negli habitat sociali che garantiscono la nostra evoluzione noi abbiamo costantemente di fronte “le scelte multiple e gli orizzonti di prevedibilità limitata[50]. Non abbiamo più certezza e “nella fisica quantistica le leggi fondamentali esprimono ora delle possibilità[51]. Addirittura anche le leggi non bastano più. Viviamo dentro “eventi che non sono deducibili da leggi ma ne traducono in atto le possibilità[52]. La questione di una nuova epistemologia comprensiva delle dinamiche della vita, “non è limitato alle scienze, ma è al centro del pensiero occidentale[53]. Il problema della conoscenza non deterministica, “esprime una tensione profonda in seno alla nostra tradizione, che vorrebbe presentarsi al tempo stesso come fautrice di un sapere obiettivo e come paladina dell’ideale umanistico della responsabilità e della libertà[54]. Torna la equivalenza tra scienza e politica: “democrazia e scienze moderne sono eredi della stessa storia, la quale condurrebbe pero a una contraddizione se le scienze facessero trionfare una concezione deterministica della natura, mentre la democrazia incarna l’ideale di una società libera. Considerandoci estranei alla natura introdurremmo un dualismo che è estraneo all’avventura della scienza, come pure a quella passione per l’intelligibilità che è propria del mondo occidentale. Questa passione, secondo Richard Tarnas, è quella di «ritrovare la propria unità con le radici del proprio essere». Noi pensiamo oggi di essere a un punto cruciale di quest’avventura, al punto di partenza di una nuova razionalità che non identifica più scienza e certezza, probabilità e ignoranza[55]. 

            Tuttavia lo studio di Wilson è stato illuminante. Solo in quel testo, tra gli altri a me noti, è ben delineato il rapporto simbiotico essenziale tra l’individuo e il suo habitat sociale, tra l’habitat sociale e l’ambiente naturale. Nessuno vive nel mondo a contatto diretto con l’ambiente. Ciascuno vive dentro il suo habitat sociale, esclusivamente nel suo habitat, e si adatta biologicamente e quindi fisicamente ad esso. Senza habitat sociale nessun essere vivente sarebbe evoluto e, tanto più è  forte la rete dell’habitat sociale, tanto più gli animali evolvono. Noi non saremmo evoluti né fisicamente, né cognitivamente. Una situazione, sebbene non precisamente definita e approssimativamente rappresentata, fu rappresentata chiaramente da Plessner che ha individuato il posizionamento dei viventi distinguendo tra 3 gradi dell’organico: l’ambiente naturale in cui vivono le pietre e le piante; l’habitat eu-sociale in cui vivono gli animali centrici, cioè concentrati attorno ai propri bisogni; e l’habitat sociale in cui vivono gli umani eccentrici, che sanno superare lo schema vitale dei bisogni in funzione di relazioni collettive, esigenze di gruppo e valori morali[56].

            L’ipotesi teorica che l’habitat sociale sia la condizione fondamentale della nostra fitness evolutiva ci è collettivamente giunta soltanto qualche mese, all’inizio del 2017, con un esperimento finalizzato a dimostrare il paradosso dei gemelli di Einstein.

            Come è noto, il teorico della relatività sosteneva che, se sulla terra vi fossero due gemelli e uno partisse per un viaggio interstellare di andata e ritorno su una astronave che viaggiasse a velocità prossime a quelle della luce, al suo ritorno il fratello astronauta troverebbe il gemello molto più invecchiato di lui se non addirittura morto. In realtà non si tratta di un vero e proprio paradosso, ma di un esempio per spiegare la relatività del tempo rispetto all’habitat in cui si misura. Un conto è il tempo che si trascorre nell’astronave e altro conto è il tempo che si trascorre sulla terra. La variabile è data dalle condizioni di habitat dell’astronave rispetto a quelle sulla terra. Infatti è da molto tempo che si verifica, in termini di particelle subatomiche, che il loro decadimento, misurato in laboratorio, è diverso in relazione alla loro velocità, molto più lento quando le particelle viaggiano a velocità prossime a quelle della luce.

            Ora si da il caso che alla NASA due gemelli monozigoti vi fossero davvero: i gemelli Kelly.

Scotte e Mark Kelly, gemelli astronauti americani, si sono divisi i compiti, Mark è rimasto sulla terra e Scott si è trasferito per 340 giorni su un’astronave sullo spazio. I gemelli monozigoti, cioè nati da una sola cellula, erano praticamente identici. Al ritorno di Scott, non lo erano più. Non solo perché Scott è risultato essere, come prevedeva Einstein, più giovane di Mark. I suoi telomeri, cioè le parti che si trovano alle estremità dei cromosomi associati alla longevità, sono diventati più lunghi. Inoltre i telomeri, le parti che si trovano alle estremità dei cromosomi, associate anche alla longevità, sono diventati più lunghi. Ma essenzialmente e inaspettatamente perché Scott, in 340 giorni nello spazio, ha cambiato il suo DNA. 

            L’esperimento è estremamente interessante rispetto agli studi sulla depressione perché, dopo la lunga serie di analisi approfondite sui gemelli, sono comparsi cambiamenti nell’attività dei geni e, in modo specifico, nei processi chimici (metilazione) del DNA di Scott. I cambiamenti sono, infatti, simili ai cambiamenti che avvengono nelle persone sottoposte a condizioni di stress o depressioni, come ad esempio la modifica del ciclo del sonno e della dieta.

            Tuttavia la cosa estremamente interessante, che influenzerà tutte le ricerche scientifiche presenti e future, è il dato ormai oggettivo che la modificazione dell’habitat sociale modifica il microbioma, cioè proprio quell’insieme del patrimonio genetico deputato alle interazioni tra organismo e habitat sociale. In ogni caso, con la modificazione dell’habitat, tutti, tutti i parametri fisici di Scott sono cambiati, con la variabilità rapida di un mutante.

           

…verso un modello multidimensionale complesso (COMP)

 

            Nella epistemologia classica o tradizionale, compresi i 4 approcci proposti da Loose, il valore di una scoperta scientifica è tanto più oggettiva (e dunque valida) quanto più è non variabile e non influenzabile. Deve essere applicabile ovunque e sempre, in qualsiasi condizione data.

            Sulla variabilità del tempo, a causa della diversificazione dello spazio, sappiamo quasi tutto. Il tempo è relativo perché lo spazio è concavo. Agostinelli e Rizzuto, che hanno scritto un bel libro sulle leggi della fisica nella dinamica sociale, ci hanno mostrato come, nella relatività ristretta, le “linee di universo” che tracciano un evento, “le relazioni e la conoscenza in una società complessa e evoluta, possano essere viste sia sotto il profilo particellare (velocità) che ondulatorio (frequenza) e questa complementarietà, essenziale per la quantistica, consentirà anche al lettore consentirà anche al lettore di orientarsi di volta in volta secondo la metafora di interpretazione più congrua.”[57]

        Ci ricordiamo cioè che, dopo la Labenswelt di Husserl e dopo la funzione irreversibile del tempo nei fenomeni dell’esistenza di Prigogine e, per me, dopo la mia epistemologia simbiotica, la non variabilità e la non influenzabilità spazio/temporale del dato è un limite alla oggettività scientifica, perché non considera la rilevanza (ormai conclamata) dell’habitat sociale e dalle sue dinamiche di cambiamento.

        È a questo punto che vorrei principalmente discutere della ricerca di Massimo Cocchi e del suo gruppo scientifico. Perché non ho capito se il problema della incisività dell’habitat sociale sia stato o no  davvero preso in considerazione.

        Il gruppo ha osservato che una determinata e specifica composizione di acidi grassi presenti nella membrana delle piastrine come “marker biologici di depressione” si correla in maniera significativa con la clinica dello stato depressivo ed è quindi un supporto fondamentale alla diagnosi di depressione e permetterebbe di discriminare i soggetti depressi dai bipolari. La classificazione è avvenuta tramite “la costruzione di una Rete Neurale Artificiale (RNA) di tipo Self Organizing Map (SOM), rete di Kohonen[58].   La distribuzione dei 144 soggetti effettuata dalla SOM ha permesso di individuare 4 aree: due specifiche (esclusivamente normali ed esclusivamente patologici) e due miste con diverse concentrazioni di soggetti patologici e di soggetti del campione apparentemente normale.[59] Il risultato conclusive è quello di “imprimere una svolta storica alla diagnosi psichiatrica, fornendo allo psichiatra strumenti efficaci e obiettivi di valutazione clinica per consentirgli una diagnostica con la possibilità di ridurre, in pratica, a zero, il margine di errore diagnostico.”[60]

Dal mio punto di vista la ricerca è significativa, nonostante alcune titubanze di ordine metodologico,  per 3 motivi precisi:

·       perché, anche se inconsapevolmente, constata la presenza di un intervallo di sostenibilità fenomenologico sul tema della depressione;

·       perché è una delle rare occasioni in cui si svolge una, diciamo così, wetware epistemolgy, cioè una ricerca condotta con l’ausilio di una rete neurale;

·       perché offre la “possibilità di ulteriori indagini anche riguardo ad altre patologie psichiatriche quali le psicosi e l’ideazione suicidaria, oltre alla complessa indagine rispetto a possibili variazioni biologiche indotte dalle terapie attualmente in uso.[61]

Proprio questo ultimo punto, delle ulteriori possibilità di ricerca, tranquillizza  i fautori del libero arbitrio. Chi ritiene che sapere ontologicamente della depressione e delle possibilità di suicidio commette due errori fondamentali di ordine logico ed epistemologico.

Il primo errore, di ordine logico, può tranquillizzare la rigida teologia cattolica: la propensione al suicidio non significa assolutamente che esista una probabilità che accada, nonostante il marcatore della depressione. La differenza tra propensione e probabilità è stata ben delineata da Karl Popper[62].

Per Popper viviamo “in un mondo di propensioni[63] che “rende il nostro mondo sia più interessante che familiare di com’era visto dalle scienze dell’era precedente”. E, nel 1956, elabora una Iterpretazione della probabilità in termini di propensione (The Propensity Interpretation of Probability)[64].

I punti sono questi:

1.     per stabilire quali sono le probabilità che un evento accada è prima indispensabile stabilire quali siano le sue possibilità, poiché “la probabilità di un evento corrisponde al numero delle sue possibilità favorevoli diviso per il numero di tutte le possibilità[65];

2.     per stabilire il valore ponderale delle possibilità, un criterio quantitativo non basta, occorre un criterio qualitativo, occorre cioè ricorrere alla Teoria Generale dei pesi, cioè che “una teoria generale della probabilità deve comprendere anche queste possibilità pesate[66] e che, altresì, “casi di possibilità uguali potrebbero e dovrebbero essere trattati come casi speciali di possibilità pesate[67] e che cioè “possibilità uguali possano essere considerate come possibilità pesate, i cui pesi sono uguali[68]. Ma se, per un motivo o per l’altro, come quasi sempre si verifica nella logica quantistica, nelle scienze sociali e in ogni ambito della teoria della relatività di Einstein, i pesi non sono uguali? La teoria dei pesi è fondamentale ed è impressionante come Popper arrivi subito a stabilire che sia indispensabile “a tutte le scienze, alla fisica e alla biologia per affrontare problemi come la probabilità di sopravvivenza per alcuni anni[69]. Popper è perfettamente cosciente del problema: “esiste un metodo - o uno strumento come la bascula – che possa aiutare a stabilire il peso effettivo delle possibilità pesate? C’è un metodo che ci permetta di attribuire valori numerici a possibilità che non sono uguali?[70];

3.     tuttavia la sua soluzione parziale è una sola: il metodo statistico. Stabiliti, infatti, una serie di eventi identici che si ripetono con una certa frequenza e senza alcuna interferenza, “se il numero di queste ripetizioni è abbastanza alto, noi possiamo applicare la statistica come metodo per pesare le possibilità e per misurare il loro peso. In parole più esplicite, la maggiore o minore frequenza delle occorrenze può essere usata per verificare se un peso attribuito in via puramente ipotetica è un’ipotesi adeguata[71];

4.     ciò significa allora che c’è una tendenza o propensione a che l’evento accada e che “la tendenza o propensione verso la realizzazione di un evento è, in generale, inerente a ogni possibilità”[72];

5.     si tratta di una propensione misurabilericorrendo alla frequenza relativa della realizzazione effettiva in un gran numero[73], cioè “stabilendo quante volte l’evento in questione accade realmente[74];

6.     solo se questa propensione è costante, solo se lo è addirittura in condizioni di altre alterazioni come ad esempio le modificazioni dell’habitat sociale, noi possiamo constatare una stabilità dell’evento (o del dato)[75]. Abbiamo in altri termini bisogno di frequenze statistiche stabili, “la tendenza delle medie statistiche a rimanere stabili a condizioni costanti è una delle caratteristiche più notevoli del nostro universo. Io ritengo che essa possa essere spiegata solo con la teoria della propensione; ossia con la teoria secondo la quale esistono possibilità pesate, che sono più di semplici possibilità, bensì tendenze o propensioni a diventare reali: tendenze o propensioni a realizzarsi, che sono, in vario grado, inerenti a tutte le possibilità e che rappresentano come delle forze che mantengono stabili le statistiche[76];

7.     quando le frequenze  statistiche sono stabili, quando cioè esistono propensioni, significa che la complessità fenomenologica di un evento è più bassa perché esistono strutture conservative di energia che hanno abbassato il livello entropico interno all’intervallo di sostenibilità di quel determinato evento. Significa cioè che la tendenza alla realizzazione dell’evento è abbastanza stabile e che l’entropia in libertà ha una scarsa capacità di destabilizzazione. Questa conclusione, di cui rimando la dimostrazione, è suffragata dalla intuizione assuntiva di Popper che “le propensioni non siano semplici possibilità, bensì realtà fisiche, reali come le forze o i campi di forza. E viceversa: le forze sono propensioni, propensioni a mettere in moto i corpi. Le forze sono propensioni ad accelerare, e i campi di forze sono propensioni sparse su qualche regione dello spazio, nella quale esse sono in continuo cambiamento (come le distanze da un punto di partenza dato). I campi di forze sono campi di propensioni, reali ed esistenti[77].

        Confermo quanto sostenuto al punto 3: che la soluzione di Popper è parziale.

        Le frequenze statistiche non bastano a stabilire le propensioni: come si dice, sono necessarie ma non sufficienti.

        Proprio perché le propensioni sono forze occulte che spostano il peso delle possibilità, cioè i loro valori ponderali entro l’intervallo di sostenibilità, potrebbero essere indotte da un fattore non riscontrabile dalle frequenze statistiche, altrettanto pesante sebbene non ricorrente; come ad esempio il caso delle madri assassine che,nel campo di forze dell’habitat sociale, hanno una frequenza statistica (ricorrenza) molto bassa (la stragrande maggioranza delle madri fa nascere i figli e non li ammazza), ma un valore ponderale altissimo perché è una minaccia genetica che sconvolge i tabù relazionali e l’immaginario collettivo. Ed è, ad esempio, il caso tipico della depressione, che, finora almeno[78], è stato un male oscuro e, per questo motivo, non riscontrabile dalle frequenze statistiche in fase di insorgenza.

In ogni caso il problema resta: il metodo statistico è necessario ma non sufficiente per stabilire l’andamento, cioè la propensione alla esplosione o alla implosione nell’intervallo di sostenibilità di un determinato evento.

Occorrono anche metodi e tecniche di comparazione, in grado di verificare meglio la profondità e quindi il peso non evidente di un determinato evento. Metodi e tecniche di comparazione o, come si chiamano oggi, EN: Esperimenti Naturali[79]. Si tratta di un approccio che “consiste ne confrontare – preferibilmente in modo quantitativo e con l’aiuto di analisi statistiche – sistemi diversi che siano simili fra loro sotto molti aspetti ma che differiscano in relazione ai fattori dei quali si vuole studiare l’influenza[80].

Naturalmente, entrare in una dettagliata esposizione dell’analisi comparativa sarebbe lungo e quindi deve diventare oggetto di altra trattazione.

Possiamo qui indicare quattro condizioni fondamentali a cui bisogna fare costantemente riferimento  quando si percorre questo metodo ormai noto e sperimentato nelle scienze sociali:

1.     ogni evento è unico e irreversibile.

Qualche anno (2009) fa ebbe un discreto successo un film apparentemente assurdo, dal titolo “Il curioso caso di Benjamin Button”.  Il protagonista nasce vecchio e muore bambino. Tutta la sua vita è un processo invertito, un tempo invertito, con esperienze invertiti. Il simbolismo è descritto da un altro simbolismo all’inizio del film: in occasione della inaugurazione di una stazione ferroviaria un prestigioso orologiaio cieco, a cui era scomparso un figlio in guerra, aveva costruito un imponente orologio le cui lancette correvano in senso antiorario. L’orologio segnava il tempo a ritroso nella vana speranza che, mandando il tempo indietro, si sarebbero potuti riportare i soldati morti in vita e ritornare a trovare le ragioni della pace per evitare la guerra.

Perché però la speranza è vana?

Perché nel mondo della vita il tempo non torna più. Nale tempo che passa l’energia si disperde nello spazio e si trasforma. E questo processo è irreversibile, e procede sempre nello stesso ordine: il passato, il presente e il futuro. Il tempo non procede al contrario. In nessuna dimensione dell’esistente siamo mai tornati indietro, mai siamo andati dal futuro al passato. Per Ilya Prigogine il tempo è una freccia che procede secondo un certo ordine e sempre con lo stesso verso; e questo comporta una serie incredibili di implicazioni universali e scientifiche. Direi, epistemologiche. Se potessimo tornare indietro, anche alla velocità della luce, anche oltre la velocità della luce, non torneremo mai al Big Bang iniziale. Quanto è avvenuto è avvenuto. Forse sarebbe potuto andare diversamente. In ogni istante sarebbe potuto andare diversamente. È andata così. Il nastro non si può riavvolgere, comunque.

2.     ogni campo di forze (habitat sociale, dominio relazionale) è perturbato dai pesi soggettivi e/o individuali, veri (cioè percepiti) o reali (cioè strutturali) (Einstein)

3.     ogni evento è multidimensionale in termini logici (E. Ceci)

4.     ogni evento (individuo e/o soggetto) è un sembionte di un ospite fenomenologico (habitat e/o ambiente) (Margulis Lynn)

…verso una conoscenza simbiotica

 

        C’è un altro punto che ci conduce, per comprendere un evento, al suo habitat sociale. Le propensioni – dice Popper – “non dovrebbero venir considerate come proprietà inerenti a un oggetto, come un dato o una moneta da un penny, bensì come inerenti a una situazione (della quale naturalmente l’oggetto fa parte). Io ho sostenuto che l’aspetto situazionale della teoria della propensione era importante, e decisamente importante per una interpretazione realistica della teoria dei quanti[81].  

 

 

 

 

Contro il tempo della funzione, che abbiamo vissuto, “sorge così un tempo della prestazione che non appare nel quadrante dell’orologio appeso alla parete, che non può essere misurato solo in durata di secondi, minuti e ore”[82].

La psicologia e la sociologia ci aiutano a coprire questa distanza, questa “discrepanza con l’unità di misura tempo/orario[83], tra la propensione indicata dal marcatori e le probabilità del comportamento individuale e /o dell’azione soggettiva.

 In altri termini, nel network delle relazioni individuale nell’habitat sociale si genera un tempo altro, che ci conduce, senza essere riconosciuto, in un altrove, in uno spazio distinto in cui non è detto che la propensione si converta in probabilità. In un altrove, in uno spazio diversamente concavo, piegato dal peso dei problemi psicologici e sociali, non è detto che il marcatore resista. Anzi, sulla base delle scoperte ottenute sui gemelly Kelly, è molto possibile che quel marcatore scompaia.

Utilizzando il paradosso dei gemelli di Einstein possiamo dire che: se un individuo, marcato con tracce di depressione tendente al suicidio, dovesse vivere in un tempo e in uno spazio statico, si troverebbe ad un alto tasso di probabilità. In un sistema lineare della individuo-ambiente, il risultato della ricerca costituirebbe un dato oggettivo permanente. Invece in un sistema complesso, a diverse dimensioni e a cause variabili, l’oggettività del dato è un effetto del peso dei problemi individuali che determinano la inclinazione o curvatura delle linee delle “linee di Universo” nello spazio\tempo sociale. Se cambia il peso dei problemi reali e/o percepiti cambia la curvatura e l’oggettività previsionale del dato decade:

·       sia perché il marcatore non si attiva, cioè non dovrebbe determinare la formulazione di un valore stabile; cioè, potrebbe indicare un comportamento oggettivo, ma non stabile;

·       sia perché, in una condizione di diversi pesi relazionali e sociali, il marcatore dovrebbe cambiare, modificarsi, scomparire su alcuni soggetti e forse comparire in altri.

Pertanto, se non è stata sufficientemente trattata la questione relativa agli impatti ondulatori dell’habitat sociale nel profilo particellare della ricerca fisica e/o biologica, allora la questione affascinante consiste nel sapere se – secondo le nuove teorie epistemologiche della simbiosi eu-sociale – il marcatore è assoluto o, come intuitivamente sospetto, relativo.   

 

 

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[5] Pizzuti Marco, EVOLUZIONE NON AUTORIZZATA, Il Punto D’Incontro, Vicenza 2016

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[7] Ceci Alessandro, COSMOGONIE DEL POTERE, Ibiskos, Empoli 2011

[8] Popper R. Karl, LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI, vol. I Eii, Armando; Roma 1986

[9] Ceci Alessandro, INTELLIGENCE E DEMOCRAZIA, Rubettino, Soveria Mannelli, 2006

[10]  Losee John, FILOSOFIA DELLA SCIENZA, Il Saggiatore, Milano 2016

[11] Loose J., cit. 2016

[12] Loose J., cit. 2016

[13]  Loose J., cit. 2016

[14] Loose J., cit. 2016

[15] Husserl Edmund, LA CRISI DELLE SCIENZE EUROPEE E LA FENOMENOLOGIA TRASCENDENTALE, Il Saggiatore, Milano 2015

[16] Plessner Helmut, I GRADI DELL’ORGANICO E L’UOMO,Bollati Boringhieri, Torino 2006

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[18] Prigogine Ilya, LA FINE DELLA CERTEZZA, Bolati Boringhieri, Torino 2014

[19] CNITE – Centro Nazionale Italiano sulle Tecnologie Educative

[20] Wilson Edward, LA CONQUISTA SOCIALE DELLA TERRA, Raffaello Cortina, Milano 2013

[21] Husserl E., cit., Milano 2015

[22] Husserl E., cit., Milano 2015

[23] Husserl E., cit., Milano 2015

[24] Husserl E., cit., Milano 2015

[25] Husserl E., cit., Milano 2015

[26] Husserl E., cit., Milano 2015

[27] Husserl E., cit., Milano 2015

[28] Husserl E., cit., Milano 2015

[29] Husserl E., cit., Milano 2015

[30] Husserl E., cit., Milano 2015

[31] Husserl E., cit., Milano 2015

[32] Husserl E., cit., Milano 2015

[33] Husserl E., cit., Milano 2015

[34] Husserl E., cit., Milano 2015

[35] J. Piaget, Introduction à l'epistemologie généttque, voi. I, P.U.F., Paris 1972^, p. 37.

[36] Per motivare le ragioni dell'epistemologia genetica, svol­gendo un'analisi critica delle altre forme storiche di epistemo­logia e in particolare del neopositivismo, si veda J. Piaget, L'épistémologie et ses varìétés, in Id., Logique et connaissance scientifique cit.

[37] Giorello Giulio, FILOSOFIA DELLA SCIENZA, Jaca Book, Milano, 1992.

[38] Piat­telli Palmarini M.(a cura di), Théorìe du language, Théorie de l'apprentissage. Le àébat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, Seuil, Paris 1979; J.M. Dolle, Au-delà de Freud et de Piaget, Privat, Toulouse, 1987.

[39] Cfr. H. von Foerster, A constructivìst epistemology, in «Cahiers de la Fondation Archives Jean Piaget», 2-3, 1982.

[40] J. Piaget, Introduction à l'epistemologie génétique, cit., p. 45. Ciò che Edgar Morin intende con 'epistemologia complessa' converge con la prospettiva qui delineata: «Ci sono delle istanze che consentono di controllare la conoscenza; ciascuna è neces­saria; ciascuna è insufficiente». (E. Morin, Epistemologie de la complexité, in C. Atias, J.L. Le Moigne [éds.], Edgar Monti. Science et conscience de la complexité, Librairie de l'Université, Aix-en-Provence 1974, pp. 65-66). Queste istanze rimandano alla mente, al cervello, alle condizioni bio-antropologiche, alle condizioni socioculturali, all'ideologia, alla noologia, alla paradigmatologia, alla logica, e quindi alla conoscenza scientifica... «E il problema dell'epistemologia è di fare comunicare queste istanze separate; è, in certo senso, di fare il circuito. [...] Non ci sono privilegi, troni, sovranità epistemologiche; i risultati delle scienze del cervello, della mente, delle scienze sociali, della storia delle idee ecc., devono retroagire sullo studio dei principi che determinano tali risultati. Il problema non è che ciascuno perda la propria competenza. E che la sviluppi abbastanza per artico­larla su altre competenze che, legate in catena, formerebbero un anello dinamico, l'anello della conoscenza della conoscenza» (ivi, pp. 77-78).

[41] Cfr. L. Gallino, L'incerta alleanza, Einaudi, Torino 1992; E. Morin, Il metodo, Feltrinelli, Milano, 1983; E. Morin, La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1989; E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993; G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della comples­sità, Feltrinelli, Milano, 1985.

[42] Maturana e valera, auto poiesi e cognizione

[43] J. Piaget, Logique et connaìssance scientifique cit., p. 1244.

[44] F. Varela, Piaget: una conduzione orchestrale per la scienza cognitiva moderna, in M. Ceruti (a cura di), Evoluzione e cono­scenza, Lubrina, Bergamo 1992, p. 76. Per un approfondimento della questione si veda F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1992; F. Va­rela, Un know-how per l'etica, Laterza, Roma-Bari 1992.

[45] Prigogine Ilya, cit. 2014

[46]  James William, LA VOLONTA’ DI CREDERE, Principato, Milano 1969

[47] Prigogine Ilya, cit. 2014

[48] Prigogine Ilya, cit. 2014

[49] Prigogine Ilya, cit. 2014

[50] Prigogine Ilya, cit. 2014

[51] Prigogine Ilya, cit. 2014

[52] Prigogine Ilya, cit. 2014

[53] Prigogine Ilya, cit. 2014

[54] Prigogine Ilya, cit. 2014

[55] Prigogine Ilya, cit. 2014

[56] Tomasello Michael, STORIA NATURALE DELLA MORALE UMANA, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016

[57] Agostinelli Mario e Rizzuto Debora, IL MONDO AL TEMPO DEI QUANTI, Mimesis, Milano 2016

[58] Dipartimento di Scienze Biomolecolari, RELAZIONE SCIENTIFICA FINALE, Urbino marzo 2012

[59] Dipartimento di Scienze Biomolecolari, cit., 2012

[60] Dipartimento di Scienze Biomolecolari, cit., 2012

[61] Dipartimento di Scienze Biomolecolari, cit., 2012

[62] Popper R. Karl, VERSO UNA TEORIA EVOLUZIONISTICA DELLA CONOSCENZA, Armando Editore, Roma 1994

[63] Popper, cit. 1944

[64] Popper, cit. 1944

[65] Popper, cit. 1944. Le probabilità che al lancio di un dato esca un numero pari è 1 diviso il numero di tutte le possibilità tra l’usita di un numero pari e un numero dispari, che appunto sono 2. ½ = 0,5. « ho il 50% di probabilità che esca un numero pari al lancio di un dato o della pallina della roulette.

[66] Popper, cit. 1944

[67] Popper, cit. 1944

[68] Popper, cit. 1944

[69] Popper, cit. 1944

[70] Popper, cit. 1944

[71] Popper, cit. 1944

[72] Popper, cit. 1944

[73] Popper, cit. 1944

[74] Popper, cit. 1944

[75] Nel caso della ricerca del gruppo di  Massimo Cocchi possiamo sostenere che, se la individuazione – tramite il marker biologico – della depressione scatenante in suicidio si trasforma in individui depressi  in un incremento dei casi di suicidio e ciò accade – data la costante certificazione delle piastrine compromesse – in condizione di diverso habitat sociale, esiste una certa stabilità del dato. 

[76] Popper, cit. 1944

[77] Popper, cit. 1944 Questo stabilisce un elemento assai affascinante della ricerca  del gruppo Cocchi e specificamente sui risultati dati dalla applicazione della rete neurale. La rete SOM utilizzata ha automaticamente polarizzato i depressi da una parte e i bipolari, dall’altra.  Tra i due poli estremi ha individuato molteplici integrazioni intermedie, commistioni dell’uno e dell’altro in cui, di volta in volta,l’uno è più incisivo dell’altro. Il che significa si è definito un intervallo di sostenibilità in cui ovviamente gli estremi sono radicalizzati in condizioni di quasi insostenibilità, mentre all’interno dell’intervallo abbiamo molteplici casi in cui depressione e bipolarità sono integrate e, paradossalmente, relativamente sostenibili, in funzione della reciproca incisività. Per me, che sono il teorico dell’intervallo di sostenibilità, il fatto che una rete neurale lo abbia automaticamente evidenziato è un elemento di estremo fascino.

[78] Finora perché, se è vera la ricerca del gruppo Cocchi, tra qualche tempo la depressione potrà essere individuata con una semplice analisi del sangue.

[79] Diamond Jared e Robinson James (a cura di), ESPERIMENTI NATURALI DI STORIA, Edizioni Le Scienze, Roma 2017

[80]  Diamond J. E Robinson J. (a cura di), cit. 2017

[81] Popper, cit. 1944

[82] Agostinelli M. e Rizzuto D., cit. 2017

[83] Agostinelli M. e Rizzuto D., cit. 2017

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