POSTPENSIERO - La filosofia politica dei social - PARTE PRIMA - 72) Il ferro di cavallo della comunicazione
16 gennaio 2022,
ore 7.30
In una rapida discussione con il mio amico Alessandro Politi, una di
quelle discussioni in cui si parla poco ma si capisce molto perché si scambiano
intuizioni condivise, ci siamo detti che nella società della comunicazione e
dei network i ceti (sociali, politici, economici e culturali) hanno
definitivamente sostituito le classi. Si tratta di ceti mutanti ed
intercambiabili, connotati più da un atteggiamento culturale che da una
condizione economica. E, anche se cresce la distanza tra una ridotta élite di ricchissimi
e una enorme popolazione di disagiati o poveri o poverissimi, questa
moltitudine (come la chiamava Tony Negri) non scatena una rivoluzione perché si
frantuma nella lamentazioni culturale dei ceti piuttosto che nella protesta
economica delle classi. E la violenza oratoria trasforma i popolari in populisti.
Ma, cosa copre la rabbia
culturale alimentata dagli oppositori compulsivi?
Con un atteggiamento acritico e irriflessivo, copre proprio
l'accumulazione della ricchezza costruendo di volta in volta un colpevole "schermo".
Una volta sono gli immigrati, una volta i cinesi, una volta sono i burocrati,
spesso i politici, oggi le farmaceutiche, altre volte i sinistri, i fascisti, i
sinistrati e gli sfasciati. Ci sono sempre i colpevoli e mai i problemi.
Prima di tutti Hannah Arendt ha individuato questo fenomeno denunciando la
costruzione, da parte dei nuovi totalitarismi, del "nemico oggettivo",
funzionale al disorientamento del cittadino per l'affermazione delle élite al
potere.
È un comportamento tipico dei ceti politici denigratori, funzionali al
potere degli alimentatori.
Sul Washington post di un giorno dell'anno 2020, il giornalista conservatore
Kevin Williams, ha giudicato l'aggressività politica di Trump,
"un'opportunità per il popolo americano di incolpare delle condizioni
languenti del Paese qualcuno - Pechino, le élite, chiunque - all'infuori di sé
stesso".
Accade quasi sempre anche da noi. Nel mio paese un assessore ha finanziato
con 106.000 euro una spesa di 116 euro. Il suo capo politico, parlamentare europeo,
lo giudica "un grande uomo". Il dramma non è solo l'illecito
riconosciuto come merito (cosa che vale anche per Berlusconi). Il dramma è che
c'è ancora qualcuno che li vota e li elegge. Il dramma è che non ci sia più
contro di loro uno stigma sociale. È una dismisura quotidiana che scompare perché
coperta dalla aggressività oratoria.
Questa è la biforcazione (il ferro di cavallo) della democrazia della
comunicazione: la frantumazione delle classi identitarie in ceti identificati
(l'avvento dei network) può essere dettata da una rabbia culturale per la
costruzione di un nemico oggettivo che mistifica un privilegio soggettivo (il
ferro di cavallo sfortunato); ma può anche essere dettata da una riflessione
culturale, critica, per la diffusione di quella che, da Aristotele a noi, si
chiama etica della responsabilità individuale e collettiva (il ferro di cavallo
fortunato), che trasforma il popolo (la gente o l'utente) in cittadino.
Dipende soltanto da noi.
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