POSTPENSIERO - La filosofia politica dei social - PARTE PRIMA - 41) La vera solitudine
11 ottobre 2021 ore 8.16
Ho sempre pensato che più si va avanti con
l'età e più svaniscono le speranze.
Invece non è così.
Per me almeno, non è così. Al contrario,
noi abbiamo vissuto il fascino e la turbolenza di anni di transizione dalla
società industriale alla società della comunicazione. Un mondo che non c'era più
e un mondo che non c'era ancora ci ha lasciato spesso nel vuoto e soli.
La solitudine è ancora evidente in tutto
il mondo: il 55% degli italiani dichiara di sentirsi solo, in Giappone 45mila
persone sono morte senza nessuno accanto, mentre il Regno Unito ha creato il
Ministero della Solitudine.
Tuttavia, la dimensione quantitativa non
corrisponde alla dimensione qualitativa del fenomeno.
Intanto la solitudine c'è sempre stata,
soltanto ora viene conteggiata. Diventa quindi visibile.
Poi la solitudine è anche un momento di
riformulazione cognitiva, di percezione emotiva del sé, di cui, specie dopo una
grande transizione, abbiamo profondamente bisogno.
Perché questo è il punto: per sentire le
speranze del mondo nuovo, per fare in modo che divengano possibilità e che si
traducono in probabilità, abbiamo bisogno di una riformulazione cognitiva. Non
possiamo interpretare il mondo in cui viviamo con vecchie categorie.
Anche la solitudine, va ridefinita.
Non sono più solo nel momento in cui
scrivo questo post. I giovani ritirati sociali, gli Hikikomori, o comunque
vogliate chiamarli, si ritirano da noi, è noi che rifiutano. Giustamente.
Questo rifiuto, per quel che siamo stati in epoca di transizione, per le
riforme che non abbiamo voluto, per l'acquiescenza e l'indifferenza con cui abbiamo
tollerato e talvolta giustificato ogni potere, a cui ci siamo adeguati, a cui
ci siamo prostrati e spesso asserviti, per interesse o per pigrizia, o per
pregiudizio, o per antipatia e inimicizia, questo rifiuto contro noi che
abbiamo generato il rifiuto, è la più grande speranza.
Confido che la società in cui siamo
sempre più connessi diventerà la società in cui siamo sempre più integrati.
Virtualmente, certo, ma non solo, se ha ancora un senso distinguere il reale
dal virtuale, se il virtuale non è esso stesso un nuovo reale.
Confido che le migliaia di conoscenze
digitali imparino a non abbandonarsi, ad accogliersi in amicizia nella rete
sociale quotidiana. Se questo non c'è non è colpa dello strumento. È colpa del
nostro comportamento. Dunque ci sarebbe lo stesso. Gli amori nati nel web
durano mediamente di più perché liberi da strutture di status e, addirittura,
da mitologie fisiche. Sono le anime che si incontrano principalmente. È una
enorme opportunità.
Così è per tutto.
Il tempo è irreversibile.
Ciò che abbiamo vissuto non lo vivranno
altri. L'esperienza, che prima era dietro di noi, nella società della
comunicazione è davanti a noi. È una esperienza di futuro che possiamo
riconoscere e semplicemente favorire.
Sta accadendo. Lo vedo. Dopo tanti anni
in cui le generazioni successive erano peggiori delle precedenti, ora il trend
è finalmente invertito. Le generazioni che vengono sono già migliori di noi,
per fortuna. Sono irrimediabilmente convinto che nel presente-futuro che stiamo
vivendo ci siano i lenti, ma precisi segnali di miglioramento della vita nel
mondo.
La malinconia è soltanto una lamentosa
nostalgia di ciò che non abbiamo saputo avere e, opportunamente, non abbiamo
avuto.
La vera solitudine è la sfiducia verso
noi stessi.

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