POSTPENSIERO - La filosofia politica dei social - PARTE PRIMA - 42) Un G20 per i Taliban

 13 OTTOBRE 2021 ore 5.59



“La gatta presciolosa fece i figli cechi”. La fretta di mostrare una presenza internazionale italiana ha generato la duplice consapevolezza: che con i Taliban ciascuno parla da solo; e che l'unica azione collettiva (presuntuosamente chiamata “multilaterale”) che si riesce ad organizzare è la guerra di occupazione di un territorio o di difesa dalla pandemia.

Per il resto, come si fa quando non si può fare altro, tutto trasferito all'ONU, considerato il ricettacolo dei fallimenti, una sorta di discarica della geopolitica internazionale.

Non poteva essere altrimenti, però, perché - come spieghiamo nel libro (“AFGHANISTAN, che cosa succede”) oggi in stampa e che uscirà in libreria tra qualche giorno per “Sossella Editore” - l'Afghanistan non è una situazione politica a sé stante, circoscritta nei suoi confini geografici e storici; ma è una delle condizioni emblematiche di un processo globale di ridefinizione dei parametri interpretativi della geopolitica internazionale, verso la costituzione di “Piattaforme Continentali di Nazionalità”. Dunque un G20, che non rappresenta alcun Continente formato o in formazione non poteva e non può essere un Ente politicamente attendibile; non può produrre alcuna soluzione concreta, cioè, perché non rappresenta i soggetti politici realmente prevalenti ma soltanto quelli idealmente autodefiniti.

Semplice.

Lo diciamo da anni. Nella consapevolezza che sempre in politica quando una iniziativa fallisce non resta indifferente, ma rafforza piuttosto il potere del concorrente. Dal G20 gli unici che escono rassicurati sono i Taliban, protetti dalla tenuta degli accordi di Doha e dalla esigenza statunitense di cambiare, sul medio o lungo periodo, se non l'alleato, almeno l'interlocutore.

Manderemo una copia del libro agli improvvidi promotori.

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