SOCIALISM LIFE 19 dall’avvento all’evento

 


Alessandro Ceci

Accettiamo la morte come evento, non l’accetteremo mai come avvento. Per questo siamo contro la pena di morte: perché per noi la morte non sarà mai esaltata come un avvento, come un avvenimento in qualche modo giustificata. La morte resta un evento, naturale e perfino necessario, per offrire agli altri una possibilità di vita, anche ai nuovi una condizione di esistenza … condizionata.

La differenza tra evento e avvento è molto importante.
L’evento è un fatto, ciò che accade indipendentemente dalla nostra volontà, qualcosa che si è già verificato nel tempo e nella storia e che può accadere di nuovo, un fatto che ha un impatto fenomenologico determinante rispetto al baseline situazionale. In questo senso dunque gli eventi sono sempre memorabili, incisi nel calendario, ricordati, produttori di ricorrenze e ricordi per la rilevanza storica che assumono.
L’avvento è un atto che deve ancora compiersi e che si compirà, una venuta, un nuovo arrivo, un avvenimento atteso e desiderato, qualcosa che si cerca di realizzare per ottenere. È un termine che ha in sé un connotato evidentemente religioso, come una fase di preparazione ad un cambiamento definitivo, totale e spesso totalizzante. L’avvento traccia il segno del cambiamento generale, della mutazione; e genera miti sostenuti e alimentati da riti.

Nella filosofia politica il socialismo è sempre stato considerato, sia da chi lo voleva ottenere tramite una rivoluzione sia da chi invece preferiva una riforma, un avvento, la società che verrà, il sole nascente, il mondo futuro che oggi dobbiamo impegnarci a realizzare e prepararci per sostenere, qualcosa che dobbiamo erigere. Ernest Bloch professò per tutta la sua lunga vita l’avvento prossimo venturo del socialismo e, per questo, si considerò “l’annunciatore della speranza in un futuro migliore, il teorico dell’utopia concreta[1]. Utopia concreta significa avvento. Significa prepararsi a ciò che avverrà presto, appunto, al nuovo mondo, costruire una proposta per spingersi, come dice Bolch, “nel dopo noi[2]; un avvento con una idea totalmente nuova e non “il mondo fissato una volta per sempre dall’idea ante rem[3]. Senza l’avvento, senza il salto nel futuro “ogni divenire è una farsa, ogni avvenimento obbedisce ad un copione già scritto da tempo, ogni conoscenza è semplicemente ricordo del passato[4]. In questo senso, Bloch rappresenta lo spirito profondo di una concezione complessiva di socialismo, non solo di provenienza hegeliana o marxista, ma spesso anche riformista e addirittura liberale. Egli è il profeta dell’avvento. La sua utopia “non è un salto nel sogno; essa è un anticiparsi del futuro nella psiche[5]. In sintesi, dunque, l’avvento, che sia religioso o politico, gnostico, millenaristico, è “quell’insopprimibile bisogno del domani che è la vera garanzia della storia[6]

Viceversa, diceva Albert Camus, concentrato più sull’evento che sull’avvento, che “ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che si distrugga[7]. E noi lo abbiamo compreso.

E lo abbiamo imparato. Oggi sappiamo che il Socialismo non è un regno futuro, qualcosa che avverrà, un avvento. Il socialismo è un evento, una cosa già avvenuta, forse, la più bella cosa mai concessa, perché ha permesso, antropologicamente, la sopravvivenza della specie umana e ha migliorato le democrazie, il più importante miglioramento della democrazia nell’intera nostra storia. Come scrive Bhaskar Sunkara, “i socialisti sono riusciti alla fine a conquistare il potere dando forma a democrazie socialiste, costruendo società che hanno permesso a milioni di persone di vivere vite dignitose e soddisfacenti[8].

L’ho chiamato Socialism life perché è una condizione esistenziale fondamentale, ineliminabile, per molti versi ineluttabile. Prima era un avvento. Ora è un evento.

L’aspetto particolarmente caratterizzante del socialismo passato, presente e futuro è lottare contro le ingiustizie.
Lottare contro le ingiustizie non è mai una richiesta di tornare indietro. È un modo per evitare che la civiltà si distrugga. Non lo era, una richiesta di ritorno al passato, anche quando la protesta operaia si scagliava contro il capitalismo dirompente della prima industrializzazione. Anche allora la protesta operaia era una rivendicazione, talvolta violenta, talvolta sporadica, forse non era una lotta sistematica, forse era soltanto una contestazione episodica relativamente organizzata. Era l’epoca in cui la borghesia capitalistica schiacciava la massa degli allogeni ai margini della società e nella condizione operaia non trovava spazio la contestazione razionale, essendo l’unica loro esigenza quella di sopravvivere: “per loro vivere significa non morire[9].
Era questa la fase storica in cui il proletariato viveva nel suo mondo chiuso, che coincideva con la violenza urbana individuale, con la criminalità giovanile e con l’assorbimento, quasi l’interiorizzazione nella psicologia collettiva delle ingiustizie e dello sfruttamento. Era l’epoca della prima urbanizzazione industriale, quando il socialismo era attratto essenzialmente da un radicale processo di sradicamento e di massificazione: quando “milioni di individui sono stati strappati dal loro habitat socio-culturale e indotti in un nuovo sistema di relazioni – il mercato autoregolato – nel quale il senso di appartenenza comunitaria e di solidarietà era minacciato dalla spietata logica del profitto[10].

L’idea dell’avvento del socialismo prossimo venturo è sempre stato considerato come il prodotto ambiguo e paradossale dello spontaneismo proletario. Contro, sempre per timore di un avvento probabile, si scagliarono: da un lato, la parafrasi di alcuni industriali, la intellighentia illuminata della borghesia, che per primi studiarono forme logiche di superamento della misera condizione operaia; dall’altro, la finzione dello stato liberale, che, in sostanza, rimase totalmente indifferente alle condizioni di sopravvivenza limitata della larga maggioranza della propria popolazione.[11]

In quell’epoca è nato il “radicalismo politico” come “caratteristica del pensiero socialista”. “Essere un «radicale» - scrive Giddens – significava avere una certa opinione a proposito delle possibilità insite nella storia – radicalismo voleva dire sfuggire al dominio del passato[12].
La durezza dello stato delle cose reali non permetteva, in quell’epoca, di vedere il socialismo avvenuto. Il dolore nel presente alimenta la speranza nel futuro e, dunque, il tema prevalente a cui gli intellettuali ci hanno abituato, addirittura educato, era quello di individuare una via per la realizzazione del socialismo prossimo venturo: la via rivoluzionaria o riformista; la via della dittatura del proletariato o quella della democrazia sostanziale, politica prima ed economica poi. In ogni caso, quale che fosse la posizione di uno o dell’altro, ciò a cui si mirava era la costruzione della società socialista che doveva avvenire. La filosofia politica aspettava il parto politico, aspettava l’avvento storico del mondo della felicità realizzata. In questo senso Luciano Pellicani aveva perfettamente ragione: era questo un atteggiamento culturale gnostico, uno gnosticismo messianico dei rivoluzionari che, come i cristiani, auspicavano la morte del corpo sociale del capitalismo per la liberazione dell’anima pura del socialismo da realizzare. È la logica dell’avvento su cui si è attardato troppo il pensiero politico socialista.

La logica dell’evento invece è tutt’altra: non ci induce a pensare alla “via democratica al socialismo”[13] quando invece dovremmo pensare alla “via socialista alla democrazia”.

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[1] CUNICO Gerardo, Il sistema aperto dell’esperimento cosmico, Nota introduttiva a BLOCH Ernest, Esperimentum mundi. Frage, Kategorien des Herausbringens, Praxis, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1975, trad. it. Quiriana, Brescia 1980, p.7
[2] BODEI Remo, Il sogno di una cosa, Introduzione a BLOCH Ernest, Subjekt- Objekt, Erläuterungen zu Hegel, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1962, trad. it., Il Mulino, Bologna 1975, p.XV
[3] BODEI R. cit. 1975, p. XV
[4] BODEI R. cit. 1975, p. XV
[5] PIROLA G., Utopia concreta e Teoria critica della società, in «Fenomenologia e Società», nn.11-12, p.326
[6] PEZZIMENTI Rocco, Il pensiero politico del XX secolo. La fine dell’Eurocentrismo., Rubettino, Soveria Manneli, 2013, p. 393
[7] CAMUS Albert, dal discorso per il conferimento del Premio Nobel 1957
[8] SUNKARA Bhaskar, Manifesto socialista per il XXI secolo, Laterza, Bari 2019, p. 31
[9] RIOUX Jean- Pierre, La rivoluzione industriale, Garzanti, Milano 1976
[10] RIOUX J.P., cit. 1976
[11] Sebbene informato da consecutive inchieste parlamentari e dalle descrizioni della cultura progressista, lo stato borghese “non intese immischiarsi nel libero mercato del lavoro e dello sfruttamento”. Sebbene inoltre “la presa di coscienza della miseria operaia fu per lo più limitata ai pubblici poteri”, la inutile e frettolosa legislazione degli organi competenti non fu mai applicata, né riuscì a placare la collera proletaria. La libertà dei capitalisti venne garantita: lo Stato incentivava la costrizione effettiva, reprimendo le agitazioni con forza o con le leggi contro le coalizioni, che “erano considerate assolutamente necessarie – scrivono i Webb – per impedire estorsioni rovinose da parte degli operai, le quali, se non fossero state frenate in questo modo, avrebbero distrutto completamente l’industria, la manifattura, il commercio e l’agricoltura nazionale. Da ciò si giunge alla conclusione che gli operai fossero gli individui più privi di scrupoli di tutto il genere umano.”  WEBB S. e B.– Storia delle unioni operaie in Inghilterra, trad. it. in Biblioteca dellaEconomia, serie V.
[12] GIDDENS Anthony, Oltre la destra e la sinistra, Il Mulino, Bologna 1997, p.7
[13] BOBBIO Norberto, Quale Socialismo? Discussione di una alternativa, Einaudi, Torino 1976

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