SOCIALISM LIFE 18 - riformare le istituzioni per riformulare la democrazia


 
Alla fine, le contestazioni alla democrazia sono di due tipi:
· che dietro e dentro la democrazia si nasconda una elite di interessi e di interessati essendo, le decisioni, riservate a pochi;
· che ci sia bisogno, per le migliori decisioni, di una aristocrazia di intelletti perché il facile accesso alle cariche pubbliche degenera la qualità le istituzioni politiche.

Ammesso e non concesso, assolutamente non concesso, che questo sia vero, come si può fare per evitarlo?

La democrazia è nata grazie ad una legge voluta da Pericle nel 451 a.C. che, contro le aristocrazie familiari dominanti, permetteva a tutti i cittadini nati da madre e padre ateniese, l’accesso alle cariche pubbliche e la partecipazione, tramite l’assemblea, alle decisioni politiche.
Come hanno fatto a trasformare Atene in “un esempio di educazione per la Grecia[1]?

Secondo Massimo L. Salvadori inventarono “un modello ideale e pratico, la cui essenza fu di pervenire alle decisioni nel corso del dibattito pubblico e ottemperare ad esse. L’Atene del V e del IV secolo diede altresì esempio di una società capace di coniugare un notevole grado di benessere materiale collettivo (quale possibile secondo gli standard dell’epoca), un’educazione culturale straordinaria, un processo educativo prodotto dalla partecipazione attiva al processo democratico, una concezione della libertà intesa come obbedienza alla legge non in quanto dettato divino ma quale opera degli uomini, un’esistenza improntata a un grado notevole di tolleranza verso le opinioni anche grazie all’influenza esercitata dalla presenza di una religiosità segnata dal politeismo.[2]
Come se la democrazia si portasse dietro tutto questo codazzo di buone condizioni. Ma non è così. La democrazia è fatta di alcuni, ben definiti elementi essenziali: benessere, cultura, educazione, partecipazione, libertà, giustizia e tolleranza, oltre alla “distinzione tra la sfera degli interessi privati e di quelli pubblici[3], o alla assenza di “conflitti interni sfociati in guerre civili[4].
Il che vuol dire che tanto meno benessere, meno cultura, meno educazione, minore partecipazione, libertà, giustizia e assenza di tolleranza, presenza di commistione tra interessi privati e pubblici, conflittualità interna riscontriamo nella nostra società, tanto meno democrazia abbiamo. Perché, la democrazia, come sapevano bene i Greci di Atene, è il prodotto di un equilibrio complessivo tra problemi e soggetti sociali. Non si compone solo di oppressi e oppressori, di dominati e dominanti, di chi ha il potere e chi non ce lo ha, di haves e haves-not, ma di maggioranza e minoranza, del governo e, più di tutto, della sua opposizione.


E allora come si fa ad evitare il più possibile che la maggioranza non sia influenzata da pregiudizi o da idee fallimentari e decida senza disarticolare l’equilibrio sociale della democrazia?

Mediante il dialogo, grazie al grande insegnamento di Socrate: il metodo della maieutica. “Se restiamo fedeli alla sua stessa metafora, la metafora della maieutica, possiamo dire che Socrate voleva rendere la città più veritiera facendo partorire a ogni cittadino la propria verità.[5]

Che cosa vuol dire?

Due cose contemporaneamente.

La prima popperiana: la discussione critica incrementa il valore informativo intorno alla competenza del ceto politico. Dunque non occorre necessariamente una casta d’intellettuali doc, una elite culturale o filosofica per selezionare i semi-dei della politica. Basta una discussione critica, una competenza argomentativa, una capacità di agire comunicativo[6] per poter selezionare il miglior ceto politico possibile. Il confronto critico aumenta il valore informativo, individuale e collettivo - meglio ancora, la plusvalenza connettiva della rete - , di chi ascolta che poi è lo stesso di chi deve decidere su chi deve decidere: degli elettori.

La seconda più mia: una civiltà, come un regime o un sistema politico, per riconoscersi, per trovare la sua identità e i suoi significati ha assoluto bisogno di una narrazione culturale. Se questa narrazione è un monologo, la società tende all’autocrazia e dunque all’omologazione degli utenti/elettori. Se questa narrazione è un dialogo, non necessariamente concorde, la società tende alla democrazia. Una discussione polifonica, anche fortemente critica, presuppone il riconoscimento dell’altro e quindi una partecipazione alla produzione della conoscenza e della coscienza sociale.

C’è una terza ragione, tuttavia, implicita nella dichiarazione del Socrate di Hannah Arendt. Si tratta della reciproca composizione, tramite la epistemologia, di scienza e politica per la definizione della dimensione situazionale della città.
Isaiah Berlin, in un libro pubblicato in Italia nel 2014 per le edizioni Adelphi, sostiene che “esistono a mio giudizio due fattori che più di tutti gli altri hanno contribuito a forgiare la storia umana nel nostro secolo[7]. Il primo è “lo sviluppo delle scienze naturali e della tecnologia[8]. Il secondo, “senza dubbio, va ricercato nelle grandi tempeste ideologiche che hanno virtualmente alterato la vita di tutta l’umanità[9]. Lo avevo scritto anche io a conclusione di un libro del 2006: “Quando, tra cinquemila anni, chissà da quale anfratto intergalattico, nello spazio, le future generazioni per conoscersi meglio ci osserveranno, coscienti che nella storia dell’umanità non esistono esperienze che, per quanto nuove o rinnovatrici, non siano in qualche modo riconducibili ad esperienze precedenti: che cosa vedranno? Come sintetizzeranno la multiforme vita di ciascuno di noi? A che cosa ci ridurranno? Forse racconteranno la breve storia della nascita e della prima, lenta evoluzione dell’intelligenza. Tracceranno il passaggio, a diversi ritmi di accelerazione, della logica: dalla sua complessità ontologica alla sua complessità tecnologica fino alla attuale complessità epistemologica. Descriveranno la nostra emancipazione attraverso le quattro tappe della modernizzazione: dalla conquista della posizione eretta alla coltivazione dei campi, dalla produzione industriale al network della comunicazione. Ci rappresenteranno dentro le varie forme in cui è evoluta la nostra associazione di individui: in gruppi, organizzazioni, comunità, società. Ci raffigureranno come un coacervo indistinguibile e spesso, per fortuna, incomprensibile di razionalità e ragionevolezza, follia e spensieratezza, teorizzazione e sperimentazione, tentativo ed errore, sensazione, emozione, ira, violenza, programmazione, improvvisazione, usurpazione e giustizia, privazione e libertà. Ma, sopra tutto, emergeranno inequivocabili e chiari i due segni più esaltanti della nostra presenza nel mondo: la conoscenza scientifica e l’azione politica.[10].



Siamo tutti riconoscenti a Popper per aver utilizzato l’epistemologia come strumento decodificatore della distinzione tra città aperta e città chiusa[11]. Tuttavia, Popper stesso ammette che la matrice iniziale della congiunzione tra scienza e politica resta quella greca, o meglio, socratica. Per questo il metodo socratico ci è ancora decisamente indispensabile: perché, se c’è una ragione dell’equilibrio ateniese è da ricercare nell’attitudine, spesso nella esaltazione, della comunicazione, della relazione comunicativa come presupposto della falsificazione, come conoscenza prodotta dalla discussione critica.
Ora come allora la comunicazione è un fattore morfologico essenziale nei network democratici moderni come plusvalenza cognitiva, cioè come valore indispensabile della auto-produzione culturale di ogni società. Specie oggi che, con l’enorme disponibilità dei mass media di vario ordine e genere, questa auto-produzione è possibile, non solo in piccoli comuni di circa 50.000 abitanti come Atene, ma su intere Piattaforme Continentali di Nazionalità. E indica i rischi a cui siamo sottoposti se deridiamo la cultura e favoriamo le procedure del decervellamento.
Molto spesso, su vari social network, si è derisi, denigrati per un linguaggio meno triviale o per un concetto meno difficile. Il decervellamento è leggero, immediato, sorridente, piacevole, banale, istintivo. Il concetto, come diceva Hegel, pesa. Assumere su di sé il peso del concetto è difficile e faticoso. È più facile sorride per la condanna di Socrate il corruttore dei giovani (anche sessualmente) che capirne il messaggio (anche sessualmente).

Alessandro Bianchi: processo di decervellamento

Perché sostengo, ormai da tempo, che il socialismo è stata l’esperienza democratica più importante della storia dell’umanità?
Perché il socialismo ha esteso e approfondito la democrazia.
Ha esteso la democrazia perché ha superato i confini circoscritti della città a cui l’esperienza democratica era fino ad allora indissolubilmente identificata. L’esperienza socialdemocratica ha esteso la democrazia ad interi continenti ed oltre. Per la prima volta nella storia, popolazioni intere sono diventate cittadini di un progetto planetario.
Inoltre il socialismo ha approfondito la democrazia riducendo e spesso eliminando le barbarie e le sperequazioni del mercato autoregolato. Il capitalismo, il più efficiente sistema di produzione della storia, era artefice del massimo benessere ed al tempo stesso responsabile dell’infima degradazione dell’umanità. I socialisti lo hanno riformato e lo hanno pian piano sostituito con un ordine più giusto e più efficiente.
Se, prima della Rivoluzione industriale il Socialismo veniva considerato come semplice atteggiamento morale, dalla nascita del “ceto in esilio” in poi, il Socialismo è apparso, non più come ideale, ma come un movimento politico, con la formazione dei partiti operai che “contrappongono alla concezione individualistico-possessiva borghese, una nuova cultura basata sulla solidarietà sociale”.

Utilizzando un linguaggio moderno, più consono alle nostre attuali condizioni, possiamo sostenere che il socialismo è stato il prodotto di una relazione responsiva[12]; il movimento ebbe natura essenzialmente reattiva ed assunse la funzione di messaggio per gli oppressi: “Il socialismo fu appunto la REAZIONE al processo di industrializzazione e la RISPOSTA alla crisi di legittimità. Nasce cioè come una specie di organizzazione sistemica alternativa alla organizzazione di conservazione dei valori borghesi. Dalla protesta operaia e dalla indignazione degli intellettuali radicali, il movimento antagonista si sviluppa «orientato verso la trasformazione della società capitalistica e la edificazione di una nuova società basata sulla proprietà collettiva e sul principio dell’associazione»”.
Comunque interpretato, come aspirazione degli impotenti, come sogno d’infanzia, come rivoluzionario, come messianesimo giudaico-cristiano, come altra faccia del liberalismo, il socialismo è sempre stato un valore-rivendicazione degli oppressi. Il socialismo “è un grido di dolore”, diceva Durkeim. È un grido di dolore perché, nel profondo della coscienza socialista, c’è la consapevolezza che la modernizzazione è un prezzo che pagano principalmente gli oppressi e, al tempo stesso, gli oppressi, sono il prodotto delle modernizzazioni.


C’era una volta (e c’è ancora) una teoria giuridica elaborata e proposta da Arturo Carlo Jemolo che sosteneva che alcune norme che regolano comportamenti non più adottati e che dunque non sono più applicate, finiscono lentamente in desuetudine, si seccano come foglie morte, e vengono eliminate, cadono una alla volta dall’albero della giurisprudenza. A quel punto possono essere formalmente abrogate.
Questo accade, in un’epoca di transizione, anche per gli istituti governamentali, mutuando una definizione di Foucault: la scuola, la famiglia, le carceri, gli ospedali, ecc…
In un’epoca di transizione questi istituti perdono rapidamente di significato, i comportamenti di chi li frequenta cambiano e precipitano gradualmente nella desuetudine. A quel punto: o vengono riformati per renderli adeguati alla nuova società, ai tempi avvenenti; o alla fine cadono come foglie morte per essere spazzati via.
Il socialismo riformista ha svolto questo incommensurabile ruolo nella società industriale. Ha riformato gli istituti governamentali contro la immensa “forza di distruzione creatrice” del capitalismo emergente. Ha attenuato la sua dirompenza, ha ascoltato il grido di dolore di coloro che venivano schiacciati dalla indifferenza del mercato autoregolato. E, al tempo stesso, ha salvato gli istituti governamentali della democrazia formale e li ha riformulati per renderli funzionali alla democrazia sostanziale nella società industriale.
Siamo di nuovo in un’epoca di transizione. Di nuovo gli istituti governamentali sono sottoposti alla pressione e al rischio di desuetudine a causa dell’avvento della società della comunicazione. Ci sono nuove grida di dolore da ascoltare. Ci sono nuove riforme indispensabili per evitare che gli istituti governamentali cadano in desuetudine, per riformularli e permettere loro di raccogliere, accogliere e ridurre le nuove manifestazioni dell’anomia e dell’alienazione.
Se il socialismo, nella società industriale, è stato la rivendicazione storica contro un sistema “inumano” in cui “tutto quello che è sacro veniva profanato” e che degradava l’umanità ad una appendice tecnologica del capitalismo; il socialismo, nella società della comunicazione, è la rivendicazione storica contro un network “disumano” in cui “tutto ciò che è significativo viene defraudato” (la distruzione del significante) e degrada l’umanità ad una appendice illogica della comunicazione.


Il grido di dolore che il socialismo deve ancora raccogliere nella società della comunicazione, sebbene molto più silenzioso, è quello di chi è soggiogato dal “dominio delle parole sugli uomini”, indotte per omologazione da numerose e colossali, sebbene invisibili, forze cognitive; riformare con un progetto didascalico gli istituti, riformularli per dare e ricevere nuovi significati, per raccogliere la “protesta atopica” (scriverò in una prossima pubblicazione) di coloro che non sanno più contenere concetti, affogati nella vacuità dell’analfabetismo funzionale, coloro che cadono nel vuoto della solitudine e del mutismo perché sono stati privati di capacità di apprendimento e sono quindi privi di difese contro l’induzione e il condizionamento di massa, contro la conformazione del conformismo.
È un nuovo modo per approfondire ed estendere la democrazia cognitiva, per salvarla dalla minaccia del decervellamento nella società della comunicazione.
C’è ancora una funzione di utilità indispensabile, dunque, per il nostro socialism life: riformare istituti e istituzione per riformulare la democrazia.



ooo/ooo
[1] TUCIDIDE, Le storie, Utet, Torino 2005
[2] SAALVADORI L. Massimo, Democrazia, Donzelli Editore, Roma 2015
[3] SALVADORI L. M., cit. 2015
[4] SALVADORI L. M., cit. 2015
[5] ARENDT Hannah, Socrate, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015
[6] HABERMAS Jurgen, Teoria dell’agire comunicativo, vol. I-II, Il Mulino, Bologna 2017
[7] BERLIN Isaiah, Un messaggio al ventunesimo secolo, Adelphi, Milano 2014
[8] BERLIN I., cit. 2014
[9] BERLIN I., cit. 2014
[10] CECI Alessandro, Intelligence e democrazia, Rubettino, Soveria Mannelli 2006
[11] POPPER R. Karl, La società aperta e i suoi nemici, vol. I-II, Armando, Roma 1974

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