SOCIALISM LIFE 14 - la sfida del potere moderno




Alessandro Ceci 

Nel libro di Donatella Di Cesare, che altrove ho definito magistrale, dove si afferma che il virus sovrano ha in qualche modo frenato l’escrescenza asfissiante capitalistica, c’è tuttavia un passaggio che non condivido. Lei scrive: “Il biopotere è oggi sempre più psicopotere – uno sconfina nell’altro, come dimostra la procedura tecno-sanitaria e il dominio della bioteletecnologia.”[1]
Non credo proprio. 
Ho appositamente[2] definito epipower il nuovo potere della società della comunicazione (e non psicopower) proprio perché ciò che viene oggi messo in discussione non è la psiche individuale, ma la verità collettiva, la scissione della relazione simbiotica tra verità e realtà. 
Questa scissione trasmette a ciascuno di noi una psicosi individuale che diventa collettiva. Non siamo più nemmeno massa. Siamo folla, folla solitaria[3], come ci ha opportunamente definito David Riesman nel lontano 1950. 

Intendo per epipower, il potere epistemologico della conoscenza, in grado di produrre e imporre scenari di verità; un potere che diffonde visioni, miraggi a cui concedersi per lenire l’angoscia e il peso del concetto critico. Un potere pervasivo per essere invasivo, che assorbe tutta l’intelligenza, il know-how tramite il know-out, che assorbe tutta la materia celebrale, quella nella scatola cranica e quella nella rete, un potere che condiziona il sistema di interazione tra cellule interne ed esterne al nostro corpo. È un potere della società/cervello e il potere che vorrebbe trasformare una fede in una fedeltà. 
L’epipower non è una illusione a cui gli altri devono credere, non è il banale inganno di ogni giorno e non è nemmeno credenza, non è una religione; è una condizioni di vita, un potere esistenziale fondato su immarcescibili verità che non hanno autore, ma sono prodotte automaticamente e autonomamente dagli stessi utenti, dagli aderenti, dal “gruppo di pari” che sui social network è senza identità e senza identificazione. 
L’espressione di questo potere, di questa visione di verità, non è soltanto uno slogan: è uno scenario. Non ha bisogno di sofisticate articolazioni, bastano poche impressioni e il puzzle è composto, senza un autore, dagli stessi aderenti che, con ogni post, aggiungono un pezzetto di scenario in grado di rendere plausibile la verità che hanno deciso di darsi e di imporre per governare la loro angoscia di vita. Hanno bisogno di credere a quella verità per sentire la propria esistenza, per giustificarla. 
Una verità/giustificazione è una epistemologia negata, che altrimenti pretenderebbe la giustificazione teorica e critica della verità per fare in modo che sia più verosimile possibile alla realtà. È proprio la giustificazione epistemica della verità che l’epipower contesta, specie quando quella giustificazione è finalizzata ad imporre la propria verità, che annulla la realtà della vita nuda[4]

Non si tratta allora di una condizione individuale e psicologica, in cui bio e psico power si fondono o si mischiano dentro il flusso travolgente della comunicazione. Siamo in una nuova dimensione politica, di ordine epistemologico, in cui il dispotismo della verità assume una legittimazione collettiva opportuna e più spesso opportunistica; finalizzata cioè a governare la relazione responsiva[5] che ha ormai definitivamente sostituito il rapporto di rappresentanza: si introduce un input nel network della comunicazione e si riceve un output elettorale non si sa da dove e da chi. Per ricevere un output sostanzioso quell’input deve essere creduto. Non importa se sia credibile. Ciò che conta è che produca un output elettorale seppur provvisorio. 
Tutti lo sanno. Ciascuno è consapevole della propria ignoranza, ma non si sforza a colmarla. Non ne ha bisogno. La sua condizione di vita è già satura di quelle verità che la giustificano. Sono verità che tranquillizzano chi le segue ed esaltano chi le produce. Queste verità controllano l’angoscia esistenziale che altrimenti li distruggerebbe. Sono condizioni leggere, come disse Kundera, è l’insostenibile leggerezza dell’essere[6], un modo di vivere senza assumere su di sé, mai, la responsabilità della falsificazione. Basta una giustificazione, una qualsiasi giustificazione. È facile, molto più facile accomodarsi in quelle verità che, senza alcuna fatica, vengono prodotte per fare in modo che siano alla fine indotte. 
Non siamo più di fronte all’individuo urbanizzato e proletarizzato dall’allocazione industriale e dalla ottimizzazione capitalistica della produzione. 
Noi abbiamo subito, o stiamo subendo, con l’avvento della società della comunicazione, una vera e propria retribalizzazione, come fu il passaggio dal matriarcato al patriarcato[7]. Non siamo più sradicati e sfruttati. Siamo condizionati ed etero diretti. Non siamo più soltanto le vittime delle esigenze di razionalizzazione della tecnocrazia. Siamo noi, ciascuno di noi, i carnefici, gli artefici di un’informazione falsa e coscientemente falsificata, ma utile a strappare uno spazio comunicativo per se stessi e per il proprio gruppo sociale di pari. Se prima la forza dirompete del capitalismo era, secondo Schumpeter, di “distruzione creatrice[8], ora è la “devastazione nullificatrice” delle fake news, di verità che pretendono di sostituirsi alla realtà in una società che, per fare in modo che questo accade, deve necessariamente essere una società dell’ignoranza consapevole. E lo fa come lo hanno sempre fatto le religioni: offrendo una versione di comodo a cui poter credere senza pensare, senza dover assumere su di sé, come diceva Hegel, la fatica del concetto. Il concetto pesa. Troppo. Viviamo in Fahernheit 451[9], non leggiamo per non essere smarriti. Una cultura approfondita produce soggetti sradicati, non concreti, non pratici, derisi. Una eccessiva lettura produce malati mentali, pensieri complicati, inutili e inutilizzabili. 
Nella società industriale, la barbarie della proletarizzazione di massa, ingenuamente prodotta dai capitalisti e astutamente desiderata dai comunisti, fu interrotta dai socialisti e dal welfare state, inteso nel più ampio senso possibile. 

Saranno ancora in grado i socialisti, ora come allora, di difendere e salvare la democrazia con un progetto politico che estenda il welfare al welthought, con un progetto politico che ci faccia colmare il vuoto dell’ignoranza consapevole con un potere epistemologico condiviso che riconnetta simbioticamente la verità con la realtà? 

Questa è la sfida della vita per i socialisti nei tempi moderni. È una sfida logica, epistemologica, culturale: poiché i luoghi e gli strumenti della cultura sono i mezzi di produzione della società della comunicazione. 

Di fronte a questa consapevolezza, dunque, la questione non è se ha senso ancora essere o no socialisti. La questione è che non ha mai avuto senso non esserlo. Oltre le contingenze storiche, su cui si possono aprire infinite discussioni, il socialismo è la responsabilità etica dell'umanità, un preciso impegno, una scelta politica ancora oggi quando i paesi fronteggiano la crisi con politiche di distribuzione dei redditi, quando si ha la coscienza che il mondo non può più essere circoscritto al privilegio della sua minoranza. Il socialismo è la responsabilità etica di un’umanità che non può più vedersi morire per fame o per sete, soltanto per placare la nostra ossessione e il nostro incubo dell'aria condizionata. 
La nostra agiatezza è colpevole, fondata sulla mistificazione delle delocalizzazioni industriali che colpevolizzano il costo della manodopera e abrogano i diritti dei lavoratori. I capitalisti, vecchi e nuovi, occultano sempre emblematicamente il fatto che i paesi più ricchi sono quelli che più diritti hanno tutelato. Viceversa, ovunque le loro industrie siano state dislocate, hanno generato, non ricchezza, ma ulteriore povertà. 
Il socialismo è la responsabilità etica dell'umanità come fondamento delle società complesse. 

Bauman sostiene che la società più giusta è quella che più di tutto pensa di essere ingiusta. Solo se si ha questa consapevolezza si possono raggiungere livelli di giustizia ulteriori. Oltre la responsabilità etica, il socialismo, in questo caso, è la coscienza della propria irruenza, la consapevolezza critica della propria azione, il valore inestimabile della ragionevolezza, in grado di superare qualsiasi razionalità tecnica che sacrifica al pareggio di bilancio la vita dei suoi cittadini. Una società che sa di essere ingiusta seleziona un ceto politico in grado di superare le ingiustizie evidenti e latenti, dell’estraneazione dalla rete come nuova emarginazione, della espropriazione dei mezzi di comunicazione e degli strumenti della socialità come prima si veniva espropriati dai e dei mezzi di produzione. È il socialismo prima e dopo il socialismo, quella che sempre c'è stato e sempre ci sarà in ogni aggregazione umana, sia essa comunità o società, funzione o prestazione; fuori e dentro ogni organizzazione, sia essa sistemica o organica, burocratica o network. 
Il socialismo, dunque, continua ad avere un senso ed un significato all’interno di una narrazione politica per la società della comunicazione. Occorre evitare la confusione dell'epitaffio. Occorre produrre significati, attingere al patrimonio che sfugge ai proclami. Occorre esprimersi. 

Ricostruire il tessuto del confronto politico, questo è un compito all’altezza dei tempi, per uscire dal mutismo e dal vuoto di pensiero che un mondo senza cultura genera; per uscire da Fahernheit 451 entro cui stiamo irreversibilmente entrando. Il "Ministero", cioè il potere, vorrebbe annullare i linguaggi per annullare i pensieri. E proprio come in Fahernheit 451, con la scusa di una immaginaria ricerca della comodità scambiata per felicità, sono i cittadini utenti a sospendere il peso della coerenza e della conclusione logica. Platone era contrario alla redazione di libri perché pensava che avrebbero annullato la memoria. Invece i libri hanno realizzato una memoria collettiva che ha accelerato lo sviluppo dell’umanità come null’altro nella storia. OMNIS: l’archetipo collettivo, un ambience tecnologico, una cellula culturale che consente di trasferire tutta la conoscenza del mondo e di essere inserita direttamente nel DNA umano. Il messaggio è chiaro scientificamente ormai verificato: la cultura, epigeneticamente, modifica e migliora la doppia elica del DNA umano connettendolo simbioticamente con l’habitat. La triangolazione tra umano tecnologia e habitat, genera l’ambience, come l’hanno chiamato Maturana e Varela[10]: un microclima di scambio energetico e cognitivo che è il presupposto della nostra fitness evolutiva. La vita si rigenera con l’autopoiesi, termine che deriva dal greco e che significa creazione (poiesis) di se stesso (auto). Significa che, per rigenerare continuamente se stesso, l’umano ha bisogno di scambiare con l’ambiente e costruire una organizzazione cognitiva, culturale, un ambience appunto, un network di processi di creazione che soltanto l’intelligenza può sostenere. È ben per questo che Piaget sosteneva che l’intelligenza organizza il mondo organizzando se stessa. “L’albero della conoscenza” alimenta la vita: “La nostra proposta è che gli esseri viventi si caratterizzano perché si riproducono continuamente da soli, il che indichiamo denominando l'organizzazione che li definisce organizzazione auto poietica[11]
Il potere lo può avere chiunque.
Una idea no.
Una idea è il prodotto di un confronto culturale critico, il prodotto delle parole, non di una informazione generalista, ma di una comunicazione collettiva. Di consiglieri, assessori, sindaci, presidenti parlamentari ministri capi di ogni ordine e genere ce ne sono stati tanti e altrettanti ce ne saranno. Talmente tanti da essere normalmente dimenticati. Ma Socrate o Cristo non li possiamo dimenticare. Non hanno avuto nulla e ci hanno soltanto parlato. L’atto più rivoluzionario, quello più definitivo: svelare l’occulto e farci capire. Sono stati assassinati per questo. Il peso della parola è la scelta più estrema: l’estrema scelta della democrazia. 

ooo/ooo

[1] DI CESARE Donatella, Virus sovrano? L’asfissia capitalistica, Bollati Boringhieri, Torino 2020, p.29
[2] CECI Alessandro, Cosmogonie del potere, Ibiskos, Empoli 2011
[3] RIESMAN David, La folla solitaria, Il Mulino, Bologna 2009
[4] AGAMBEN Giorgio, Homo sacer: il potere sovrano e la vita nuda, Einaudi, Torino 1995
[5] CECI Alessandro, La relazione responsiva, Europarole, Roma 2020
[6] KUNDERA Milan, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, Milano 1984
[7] CECI Alessandro, Femminicidio: il crimine di Dio, in Rivista Italiana della Sicurezza, Anno I, Gennaio Aprile 2018, n. 1, Teasis Engineering Edizioni, p. 11
[8] SCHUMPETER Joseph, Capitalismo Socialismo Democrazia, Etas libri, Milano 1977
[9]BRADBURY Ray, Fahrenheit 451, Arnoldo Mondadori Editore, Milano1999.
[10] MATURANA Humberto, VARELLA Francisco, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Milano 2005
[11] MATURANA Humberto, VARELA Francisco, L'albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1987

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