SOCIALISM LIFE 13 - l'humanitas oltre ogni meccanismo sociale

 


considerazioni detratte dalla mia tesi di laurea nel lontano 1983 e riorientati 

Introduzione

È possibile individuare, se non proprio sul piano storico, almeno sul piano filosofico e politico, un socialismo precedente alla rivoluzione industriale, precedente al capitalismo; un socialismo del medioevo, ad esempio, o del rinascimento o dell’illuminismo, un socialismo riscontrabile addirittura in epoca romana o nell’antica Grecia o in qualsiasi altra nazione precedente all’avvento del capitalismo? 

Secondo Raimond Aron certamente no, poiché sia il comunismo che il capitalismo sono due tipi della stessa economia industriale: “l’opinione che la differenza tra questi due tipi di società industriale è frequente negli ambienti favorevoli alla pianificazione che restano fedeli ai valori del liberalismo politico.[1] E alla fine, anche se per via indiretta e totalmente diversa da quella immaginata: “Quando i due tipi di società (quella Americana e quella Sovietica, nda.) avranno lo stesso livello di vita, la stessa specie di ripartizione della popolazione attiva, queste due società, vivendo allo stesso modo, avranno press’a poco la stessa organizzazione.[2]

Naturalmente la previsione era totalmente sbagliata. Le società non si sono mai nemmeno somigliate. Il sistema sovietico si è frantumato e il comunismo è stato cancellato. 

Forse, però, su un punto possiamo concordare. Ciò che possiamo condividere e affermare è che sia il comunismo che il capitalismo erano due tipologie, opposte e complementari, della società industriale. In entrambi i casi, i due sistemi sono falliti in assenza di socialismo, che, in entrambi i casi, ha o avrebbe trasformato le democrazie formali, popolari o liberali, in democrazie sostanziali. In questo senso, pertanto, il socialismo è stata la più importante esperienza democratica dell’intera storia dell’umanità; perché ha trasformato il capitalismo (e lo avrebbe fatto con il comunismo) in democrazia industriale. 

Avversione al capitalismo

Il capitalismo non è certamente un sistema sociale o politico e non è nemmeno un meccanismo economico. “Capitalismo” è un neologismo emozionale, un termine simbolico capace di evocazioni sentimentali, ma privo di definizione precisa. La descrizione scientifica del fenomeno storico, con cui sarebbe possibile individuare i caratteri prevalenti nella società moderna, lascia infatti molto di vago e di indeterminato, troppo di rigidamente schematico. 

Usato da Luis Blanc[3] per primo[4], il capitalismo è l’espressione di un’equazione a vari termini e a vari risultati, che vengono raccolti nella caratteristica sommatoria degli elementi di volta in volta preminenti. Per cui, l’identificazione esclusiva del fenomeno con il singolo carattere: o del “sistema di libera iniziativa individuale”, o del “sistema di mercato privo d’interferenze statali”, o anche del “principio del razionalismo economico e del profitto”, come in Weber o in Sombart, risulta poco esauriente. Difatti, all’atto del passaggio dal tipo ideale alla comparazione realistica, la peculiarità delle espressioni concrete[5] deviano, e spesso contraddicono, lo schema teorico d’indagine. Per questo stesso motivo, vari autori, da Passow a Von Misses, da Schmoller a Rüpke[6], pur definendo una classificazione di elementi principali, hanno rinunziato a una definizione univoca ed esaustiva, spesso negandone addirittura la possibilità. 

In gran parte della sociologia contemporanea il capitalismo non riesce ad assumere che il senso “di oscuro sentimento negativo[7] o di “grave malattia sociale[8] oppure, all’inverso, un significato di eccesso per il fatto stesso di essere un “ismo” e quindi di “una cosa in sé giusta[9]. Nell’ottica della economia liberale, il termine capitalismo è insignificante, o addirittura agnostico. Si tratta di un fatto che deve essere analizzato con un modello scientifico, possibilmente avalutativo e sufficientemente interpretativo. 

Forse la definizione più appropriata del capitalismo come fenomeno storico-politico è quella marxiana che ne lega l’essenza, non già al meccanismo di mercato, ma alla mercificazione della forza-lavoro. Lo stesso meccanismo di mercato, dunque, non è che un presupposto della nascita del capitalismo, il quale va individuato invece nella concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di una minoranza della società e nell’apparire “contrapposto di una classe di non proprietari che traggono i loro mezzi di sostentamento dalla vendita della propria forza-lavoro; vendita non coatta ma formalmente libera, sulla base di un contratto di lavoro[10]

Questa differenza è molto importante per comprendere la funzione storica del socialismo in quanto estensione della esperienza democratica. Se vale la logica di Aron, cioè che sia il capitalismo che il comunismo sono due aspetti della stessa società industriale, considerare il capitalismo come un meccanismo della rivoluzione industriale è abbastanza corrispondente ad fenomeno che sfugge alla assoluta precisione. 

Proprio per rispettare la logica di Aron, ho qualche titubanza a considerare il capitalismo come termine autoreferenziale, cioè come lo stesso “prodotto della civilizzazione capitalistica[11]. La vera “civilizzazione culturale” è quella della società industriale, una vera e propria cosmogonia, che si è espressa in Occidente con i ritmi aggressivi del capitalismo e in Unione Sovietica con il totalitarismo comunista. È ben per questo che il capitalismo appare come un (non nato da) movimento multiforme, prismatico, perennemente evolutivo. Invece, al contrario, una “civilizzazione culturale[12], ogni “civilizzazione culturale” è il prodotto di una transizione storica, è una weltanschauung sedimentata o sedimentante, che cioè tende ad istituire o a istaurare strutture conservative della sua identità. Così è stata la società industriale, non certo il capitalismo, non certo il comunismo. 

Che sia il prodotto della libera concorrenza del mercato – capitalismo -, o il prodotto del mercato privo di concorrenza – comunismo -, il perverso fenomeno accumulativo rapidamente determina o la concentrazione dei mezzi di produzione, o la concentrazione degli strumenti del potere, comunque un monopolismo che si traduce in “totalitarismo economico” o in “totalitarismo politico”. Come ripeteva Marx “accumulate, accumulate, questi sono le leggi ed i profeti”. 

Marx lanciava questo detto per caratterizzare, la società capitalistica. Sappiamo che l’esperienza storica attuale – scrive Aron – che l’accumulazione del capitale non caratterizza soltanto la società capitalistica, ma tutte le società industriali. Stalin avrebbe indubbiamente potuto applicare alla sua società il detto di Marx[13]

Avversione al comunismo

Come il capitalismo, anche il comunismo ha considerato l’umano strumento dell’affermazione della propria ideologia. Come il capitalismo anche il comunismo ha totalmente ignorato ciò che politicamente Cicerone chiamava humanitas. Entrambe le due tipologie di società industriale hanno avuto la medesima concezione strumentale. Ciò che interessa – si afferma nel Manifesto del Partito Comunista – è che il capitalismo “ha creato più numerose e colossali forze produttive che tutte le generazioni assieme”. 

Il comunismo, più del capitalismo, ha assunto una dimensione profetica. Ha predetto “il declino dell’organizzazione economica privata, o, come si suol dire, dell’organizzazione capitalistica della società; e profetizza la prossima sostituzione di questa società con la dittatura del proletariato, come fase transitoria”. Proprio Marx e il suo materialismo dialettico, ha fornito al movimento un più forte significato sulla propria ineliminabile natura profetica e sulla storica funzione di rivendicazione. Il teorico tedesco ha individuato, in termini economici, i momenti particolarmente vulnerabili del meccanismo capitalista nella sua irrefrenabile crescita: la formazione di grandi apparati produttivi multinazionali che, soffocando la concorrenza perfetta, disarticolavano l’equilibrio dei prezzi (i quali cioè salgono ugualmente in periodi di domanda scarsa) e disarticolano il meccanismo stesso del mercato determinando così catastrofiche e lunghe depressioni (1876, 1929). Questi i punti nevralgici furono imprevisti dai classici del liberalismo. La prospettiva nuova della “predicazione” di Marx sta nel fatto che profetizzava la fine del capitalismo sotto il peso delle sue contraddizioni strutturali e non a causa delle sue colpe morali. Si tratta del pretenzioso socialismo “scientifico”. Per massimizzare i profitti, i capitalisti cercano di accrescere al massimo la produttività del lavoro, costringendo gli operai ad un surplus di ore lavorative rispetto alle ore-valore stabilite dal mercato, un plusvalore che il mercato tende ad aumentare. Il proletario si difende dallo sfruttamento con le proprie organizzazioni di lotta che costringono il padronato ad aumentare i fattori tecnologici (per mantenere il proprio tasso di plusvalore) ed inesorabilmente, assottigliando il capitale investito in salari operai (il consumo). In questo modo, con un infernale meccanismo autoreferenziale, per Marx, il capitalismo è destinato a crollare. 

Le crisi cicliche sono il prodotto di una sfrenata accumulazione e dell’eccedenza di produzione che determina l’impossibilità di reperimento capitali nuovi da investire, provocando recessioni sempre più lunghe e gravi, fino al crollo finale. Il colpo mortale è però esclusivamente riservato alla classe che, nel suo moto di ribellione dallo sfruttamento, finisce per distruggere con inesorabile determinazione l’ingranaggio vitale della produzione capitalistica. 

Se Marx si fosse fermato alla sua dimensione analitica, noi dovremmo rispettare profondamente il suo contributo. Prima di tutti, quando gli altri studiavano ancora il latifondo, Marx descrisse perfettamente il meccanismo capitalistico e predisse con precisione ciò che sarebbe poi puntualmente accaduto. 

Questo spiega l’atteggiamento di Ernst Bloch. Il filosofo tedesco ripeteva, contrariamente alla sua stessa filosofia, “non posso non dirmi marxista come non posso non dirmi cartesiano”; ad indicare che, nell’enorme patrimonio scientifico dell’umanità, il contributo analitico era assolutamente essenziale. Tuttavia, a differenza di questo approccio epistemologico su cui scrisse la sua tesi di laurea, Ernst Bloch esaltò proprio l’altro connotato del pensiero marxista, quello peggiore, quello che fu il presupposto di enormi catastrofi umanitarie. La sua opera principale infatti s’intitola “il principio speranza” in cui intendeva mostrare come la potenza utopica del pensiero marxista, al pari di ogni altra potenza utopica, era essenziale alla politica e all’azione umana. Credo che il suo tentativo di collegare ogni messianesimo religioso, fosse particolarmente fondato, anche se non favorevolmente desiderato. 

Ernst Bloch mise involontariamente in evidenza che il marxismo non è solo analisi scientifica; non è soltanto la descrizione di un’epoca storica o teoria - giustificazione dell’ascesa del proletariato intero. Il marxismo è una religione. Ha i suoi principi inalterabili senza scardinare l’intero apparato. Il marxismo ha trasformato un’idea politica in una ideologia, in una religione che appartiene “al sottogruppo della religione che promettono il paradiso in terra”. Correttamente per Ernst Bloch il marxismo acquista la funzione delle grandi religioni di salvezza: “una civilizzazione culturale, qualcosa perciò destinato a durare per secoli se non per millenni”. 

Tuttavia e diversamente da come vorrebbe mostrarsi, il comunismo non è una discontinuità sociale dell’ordinatore capitalistico. Paradossalmente, nel momento stesso in cui ne evidenzia le contraddizioni, l’esaspera politicamente, le consolida socialmente e le rende irreversibili. Il comunismo è una religione in grado di mitizzare una trasformazione rigeneratrice della società, che, per essere tale, deve essere strutturale. “Il marxismo è monolitico come il mondo che lo esprime” - afferma Colletti: allo stesso modo cioè del capitalismo. La verità è unica e univoca, priva di paradigmi alternativi. È una forma statica. La società comunista è sospesa. Come “paradiso in terra”, come “città del sole” dove tutto è realizzato e realizzabile, il comunismo è una realtà statica irriformabile. L’unicità teorica del marxismo e la staticità della promessa hanno una precisa funzione sociale: sono delle esigenze indispensabili (elementi caratteristici dello statu nascendi) per la costruzione di un partito nuovo, “che si identificherà con lo Stato e pretenderà di essere lui stesso la società”. L’anima del proletariato è incarnata, non più da un partito - movimento, ma da un partito istituzione, quello comunista. 

Il partito non è soltanto uno strumento per la conquista del potere. Operai e capitalisti non costituiscono una sola “comunità” ; ognuno può riferirsi ad una propria “comune volontà di valori”. Sono due mondi che si considerano rispettivamente “evidenti” ; l’evidenza capitalistica che si contrappone all’evidenza comunista e, per la prima volta, viceversa. La scala dei valori, la cultura, non trova punti di coagulo; i criteri di legittimità, nella città pre-assistenziale, si contrappongono. Capitalisti e proletari, sorretti da proprie legittimazioni, sono i rispettivi nemici che, nella città, si combattono, ma che si alimentano reciprocamente in modo che sia “ciascuno la vitalità dell’altro”. Perciò, se lo scopo di una società, in assoluto, è di realizzare un’integrazione progressiva dei suoi soggetti, la società capitalistica, nella sua fase di modernizzazione fallisce. Il conflitto tra “dislocati” e “integrati” è la sua caratteristica; un conflitto violento ma indispensabile che finge di preludere ad uno scisma sociale, “cioè la frattura orizzontale e verticale fra coloro che si identificano ancora con l’antico regime ... e coloro che hanno esplicitamente voltato le spalle alla tavola dei valori vigente”. 

Socialism Life

Bisogna riconoscere che Marx fornisce “una base all’azione”, chiude “l’infanzia del socialismo, lo matura, dimostra che la società capitalistica è incapace a risolvere i problemi operai, individua nel profitto il motore del capitalismo e il generatore inevitabile di barbarie”. Prima di Marx, “lo sforzo socialista si esauriva nel predicare nel deserto in mancanza di un contatto ben stabilito con una sorgente effettiva o potenziale del potere sociale, in una predicazione di tipo platonico esulante dagli interessi degli uomini politici e, per gli studiosi dei processi sociali, non catalogabile fra i fattori operanti della storia.”. 

C’era un prima però. 

E già prima il socialismo si è storicamente scagliato contro “il dominio delle cose sugli uomini”. Il Socialismo non si preoccupava dei meccanismi di concorrenza o di pianificazione: si preoccupava delle persone. 

Se ne preoccupa ancora. 

Il socialismo si preoccupa degli uomini, specie quando costoro sono sottoposti alla barbarie e alle sperequazioni della società industriale. È ben per questo che i socialisti furono (e sono) critici spietati sia del capitalismo che del comunismo. 

I socialisti considerano il capitalismo come il più efficiente sistema di produzione della storia, artefice del massimo benessere ed al tempo stesso responsabile dell’infima degradazione dell’umanità, destinato, come ogni altro sistema di produzione, ad essere sostituito per far posto ad un ordine più giusto e più efficiente. Il capitalismo, diceva Olof Palme è una pecora che va tosata. 

Non un banale atteggiamento morale, il Socialismo è una scelta politica per la tutela economica, giuridica e sociale del “ceto in esilio”; un movimento politico che ha organizzato e si è organizzato con la formazione dei partiti operai che “contrappongono alla concezione individualistico-possessiva borghese, una nuova cultura basata sulla solidarietà sociale”. 

Il socialismo, storicamente è stato un movimento di natura essenzialmente reattiva ed assume la funzione di filosofia di riscatto degli oppressi: “Il socialismo fu appunto la REAZIONE al processo di industrializzazione e la RISPOSTA alla crisi di legittimità. Nasce cioè come una specie di organizzazione sistemica alternativa alla organizzazione di conservazione dei valori borghesi. Dalla protesta operaia e dalla indignazione degli intellettuali radicali, il movimento antagonista si sviluppa “orientato verso la trasformazione della società capitalistica e la edificazione di una nuova società basata sulla proprietà collettiva e sul principio dell’associazione”. 

Il socialismo “è un grido di dolore”, diceva Durkeim. 

Dalle aspirazioni impotenti, dai sogni d’infanzia, al rivoluzionarismo del messianesimo giudaico-cristiano, fino al socialismo realizzabile dell’English Style; si tratta sempre del sistema valore-rivendicazione delle masse oppresse. Il conflitto di classe all’interno della società cambia natura politica. “La lotta di classe cambia fisionomia – afferma Duverger – Schematicamente non oppone più i nobili ai borghesi, ma i proletari delle città a una alleanza tra nobili, borghesi e contadini”. La classe operaia contesta non più solo la legittimazione – nei criteri e nelle forme – del potere, ma il sistema sociale intero in ogni sua manifestazione. Il conflitto tra interessi diviene il conflitto d’interesse globale, non più contro le forme del potere, ma contro il potere stesso. Il Socialismo mette in evidenza l’enigma insoluto della Storia Universale: solo due, vincenti e perdenti, sfruttati e sfruttatori, diretti e direttori, haves e have-nots. 

In ogni epoca storica accade che la modernizzazione è un prezzo che pagano solo gli oppressi e, allo stesso tempo, gli oppressi, sono il prodotto delle modernizzazioni della storia. 

Il socialismo è la loro rivendicazione storica. 

Il socialismo è il nemico. Si oppone con forza ad ogni condizione “inumana” in cui “tutto quello che è sacro viene profanato”. Nella società industriale il socialismo ha percepito che l’umanità veniva degradata ad una appendice tecnologica del capitalismo. 

Conclusione 

Dunque possiamo rispondere alla domanda iniziale, se è possibile individuare, se non proprio sul piano storico, almeno sul piano filosofico e politico, un socialismo precedente alla rivoluzione industriale, precedente al capitalismo; un socialismo del medioevo, ad esempio, o del rinascimento o dell’illuminismo, un socialismo riscontrabile addirittura in epoca romana o nell’antica Grecia o in qualsiasi altra nazione precedente all’avvento del capitalismo? 

Si è possibile. Se il socialismo si occupa e preoccupa dell’umano, del più debole, dell’etica della società e della giustizia, se è il grido di dolore sei subalterni della storia, la sua funzione e la sua natura culturale e politica può essere individuata in ogni epoca. 

E nel futuro, il socialismo, a differenza del capitalismo e del comunismo, non finirà, non scomparirà: perché la sua identità non è espressione di una determinata epoca storica e non è circoscritta alla contestazione di un meccanismo economico. È la solidarietà etica dell’habitat sociale che ci ha fatto umani, è la nostra humanitas esistenziale. Esistenziale perché ha sempre avuto l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita degli individui che, fornendo un significato e una giustificazione alla protesta, trasforma da “spostati” e “indotti” a “uomini di risentimento”. Dalla lotta soffocata e nascosta alla protesta violenta e reclamata, dal mondo chiuso dell’operaio illegittimo al mondo aperto della lotta di classe, da nemico potenziale della società a suo avversario istituzionale, nel passaggio dalla sofferenza alla sfida, i nemici si riconoscono ed implicitamente si legittimano. “Così gli esclusi, - scrive Pellicani - grazie alle loro lotte spesso sanguinose, sempre terribilmente costose, fecero il loro ingresso nella Città con le loro specifiche istituzioni di lotta - il sindacato ; il partito ; lo sciopero - e con essi i TRIBUNI DELLA PLEBE, interpreti permanenti dei loro conculcati diritti ed i loro interessi disconosciuti.” E legittimazione è sempre una forma d’integrazione. 

Da sempre il socialismo raccoglie la solitudine e l’insicurezza degli sradicati, la trasforma in una situazione rivendicativa, in un’accusa infamante che mina la natura perbenista delle relazioni sociali. Da sempre il socialismo permette il passaggio rapido e gradualmente integrato dalla democrazia formale alla democrazia sostanziale. 

Ora come allora il socialismo è vita. 

ooo/ooo

[1] ARON Raimond, La società industriale, Edizione Comunità, Milano 1971, p.195
[2] ARON R., cit. 1971, p. 195
[3] BLANC Luis, Organisation du travail, Paris: “Ce sophisme consiste à confondre perpétuellement l’utilitè du capital avec que j’appellerai le capitalisme…”
[4]Mentre Marx, che secondo Sombart “ha virtualmente scoperto il fenomeno” non usa mai il termine specifico ma la locuzione Kapitalistische Productiosweise (modo di produzione capitalistica)
[5] Pur considerando le differenze storico-culturali della tradizione.
[6] PASSOW, Kapitalismus, G. Fischer, Jena; VON MISSES, Die Geimeinwirtschaft, Jena; SCHOHOOLER, Recensione a Capitalismo Moderno, Sombart; RÖPKE, Die Lehre von der wirtschaft, Rentsch, Verlag.
[7] PETRANERA, cit.
[8] OPPENHEIMER, Die soziale frege und der sozialusmus, Jena
[9] STEPHING, Welt und geld, Tùbingen
[10] SOGGIA B., voce Capitalismo, in Dizionario di Politica, Utet, Torino
[11] ALBERONI Francesco, Movimento e istituzioni, Il Mulino, Bologna
[12] Vedi anche “cristianesimo”, “islamismo”, “marxismo”.
[13] ARON R., cit. 1975, p. 75

Commenti

Post popolari in questo blog

SU JUNG

SOCIALISM LIFE 24 - dall’avvento all’evento

TEOCRATICA O TEOCENTRICA? Le forme del potere religioso