SOCIALISM LIFE 10 - il futuro del nostro passato

 




Il senso estremo della vita è nella 
parola autentica, nel fiore 
casuale senza nome, 
nell’occhio interrogativo del gatto, 
nell’effimero lampo d’intelletto 
fra il buio d’una mente offesa 
dal suo irreversibile handicap. 

Luca Canali 


Se l’Occidente è caduto di là, a chi donerà, il socialismo, il suo passato? 

Il socialismo è qui, in prossimità, al bordo della strada, su un marciapiede assolato e comodo, dentro una borsa sempre troppo grande e ci guarda, ci vede. E ci vede sfrecciare con le nostre macchine, dentro le nostre macchina, alla ricerca di un raggiungibile futuro. 

Il futuro dell’arte, o della scienza, comunque quello della conoscenza è irraggiungibile. 
Il futuro della vita quotidiana, invece, può essere facilmente raggiunto, comprato o conquistato. È in qualche modo già scritto nella tradizione, nell’abitudinario, nella conservazione. Appunto è normale. Basta adeguarsi, basta piegarsi e si trova già lì, bell’è pronto, fatto di mariti o mogli opportune, per bene, disponibili ad essere irretiti nella convivialità familiare, nelle domeniche di pranzi e sport, nella frittura di pasquetta, nel bagno di ferragosto per i figli e nei figli, che sanno dare un plusvalore consolatorio al tutto. 
Si sentono le frasi ricorrenti di un futuro programmato, le attenzioni usuali al parto, il confronto con i pari, gli sforzi impari per dimostrare la propria sfrontatezza contro anni già scritti di espressioni noiosamente recitate, sempre le stesse. 

Il futuro dell’arte, della scienza, comunque della conoscenza non è così. 
C’è un’inquietudine che non ti lascia mai. Non dorme tranquillo fino al mattino, non fa colazione, non va tutti i giorni in ufficio e non pranza alle feste in cerimonia. 
È un futuro che non si può raggiungere mai, che si sveglia quando vuole, prima che sorga il sole o direttamente il pomeriggio, che non necessariamente deve alzarsi dal letto, che sa stare solo, che scrive un libro di colpo, una poesia come un fulmine, che ti fulmina al dolore più bieco. 
È un futuro che non senti, che non vedi. Non è fatto di giorni. È fatto di sogni, spesso di incubi. Non ha pace. Non ha convenzione. Ha soltanto convinzioni. 

Il futuro della politica, il futuro del socialismo sta in mezzo e spesso si perde. Comunque resta qui, a vederci passare, dentro le nostre comode ed utili macchine pulite, indispensabili per raggiungere il futuro programmato di massa, così banale e così usuale. Il socialismo deve essere scelto, non accade da solo, non cade dal cielo. Noi abbiamo di fronte sempre una scelta tra il potere energia divino, che costruisce significati e tutela la vita, e il potere energia demoniaco, distruttivo, della tracotanza, della prepotenza, della hybris della “diuturna fatica dell’ambizione personale”. Il cliché autorefenziale di una vita accomodata su riti e miti conservatori, o l’archetipo di una vita autopietica piena di significati. La scelta, come spesso ripeto, tra una vita consumata e una fruita. Il socialismo, come presupposto della nostra vita sulla terra, non è automatico. Deve essere scelto ogni giorno. Accogliere gli altri e dividere il cibo non è un gesto di buona educazione. È una condizione esistenziale fondamentale. È l’essenza della nostra esistenza; della nostra resistenza minacciata da un minimo virus. 

Il futuro della vita consumata è un cliché, deve essere soltanto osservato. 
L’altro futuro, quello della vita fruita, comunque della conoscenza, è un archetipo, deve essere costruito, non c’è ancora, ci sarà, forse. 
Il futuro della politica, poi, quello del socialismo è di tutti o non è; è un progetto, pragmatico, giudicato, spiegato, eventualmente condiviso. 

Quale futuro ci spetta talvolta siamo noi a scegliere, qualche volta possiamo decidere. Oppure no: oppure il futuro sta lì in agguato e prima o poi ci cade addosso, senza volere, senza capire. 
A ciascuno spetta un po’ l’uno, un po’ l’altro e un poco l’altro ancora. Siamo tutti un coacervo di differenze mischiate, mescolate, un misto di cliché e archetipo, di consumo e fruizione, di ricorrenze vuote e significati pieni. A molti di noi è toccato il primo futuro. A qualcuno il secondo. Forse involontariamente, forse abbiamo cercato di evitarli entrambi, ma alla fine ci è toccato un diversificato mix dell’uno e dell’altro. Il socialismo però, il presente futuro del socialismo lo abbiamo tutti e tutti restiamo qui, insieme, sul marciapiede della storia che dovrebbe dare senso alla cronaca, dove dovrebbe essere il socialismo e sembra non esserci più, dove vedi sfrecciare il futuro dell’accumulazione capitalistica, fatto di macchine e saluti, quell’altro futuro, mentre cerchiamo ancora la voce dell’idea che ci accompagnerà, una politica che consiste semplicemente e soltanto in una mano che si tende, l’amore che saremo ancora, che avremo sempre. 

L’Occidente è ormai caduto di là? 
Non credo. 
In politica “ormai” non esiste. 
Se l’Occidente è caduto di là, a chi donerà, il socialismo, il suo passato? 

Il sole di aprile è incostante e il mare annega ogni dolore. 
Quando la pandemia finirà torneremo in città. E ci riconosceremo nelle stesse persone che scorrazzano per le stesse vie del centro, dentro gli stessi negozi a comprare gli stessi vestiti. Qualcuno riprenderà a sposarsi a luglio, verso la fine, per ottimizzare il mese di agosto, renderlo funzionale alle gite, al sesso, al riposo e all’ozio. È il destino degli impiegati, che andranno nei viaggi organizzati per giovani coppie dove incontreranno giovani coppie che sono andate in viaggi organizzati per loro. 
Avremo visto tutto e avremo risparmiato. 
Ma non avremo vissuto. 

Il socialismo è vita. Non chiede a nessuno di vivere in condizioni di anomia, non chiede a nessuno di sapersi prostrare, nessuno deve acquattarsi nella normalità, restare in alienazione. Non bisogna sguazzare nei conflitti tra suocera e nuora, suocero e genero, fratelli e cognate, liti familiari piccolo borghesi, insulti, interessi e gelosie. Non cerca successive ipocrite riappacificazioni dentro i pasticcini delle ricorrenze, gli auguri per le nascite e i complimenti preordinati. 

Il socialismo se ne è andato da lì, è rimasto per strada, metropolitano, ancora qui, su questo marciapiede, con questa borsa, troppo grande, invadente, a cercare le parole che si offrono al mondo, dove, quando la vita è una produzione di significati. . 

E sarà sempre qui, questo socialism-life, a sperare che in qualcuno di noi un giorno si ridesti l’umano; un giorno, magari una mattina di agosto, al mare, quando ci alzeremo dalla sdraio presa in affitto nell’ombrellone a fianco ai nostri genitori, ai nostri parenti, un lettino o una sdraio qualsiasi che avremo trascinato sulla battigia di un qualsiasi chiosco, quando sposteremo con fatica le gambe e poggeremo un piede sulla sabbia per raggiungerete il bagnasciuga, con il corpo appesantito e consumato dalle creme e dai pranzi, o sciupato da notti obbligate, con le caviglie nell’acqua, di fronte a rifrangenze di sole e all’orizzonte, penseremo che il futuro che abbiamo raggiunto non è il nostro, che forse poteva essercene un altro, più pieno, eternamente desiderato e vissuto proprio perché mai raggiunto. 

Forse il futuro in cui siamo non è futuro, ma un perenne presente che sembra proprio diventato un passato. Finché i nostri figli non ci chiameranno e non ci reclameranno ad una realtà che non ha scampo e che non ne da. 

Quel giorno, quel socialismo vita che conosciamo ora, sarà sempre su questo marciapiede, a cercare la strada, dietro e dentro di noi, a guardarci continuare costruire una certezza che non c’è. Ci osserverà prigionieri di un eterno cliché nemmeno nostro, di tutti, di nessuno, uguale, di un conformismo atroce. 

Alla fine della nostra vita, della mia e della vostra, quando tutto il nostro futuro sarà stato raggiunto e quello socialista non ancora, quando arriveremo alla morte, chissà se ci perdoneremo questa decisione di non aver voluto vivere insieme. 
Un giorno semplicemente capiremo che abbiamo avuto, che ciascuno ha avuto, ciò che voleva e poteva avere. Anche se sembra inaccettabile per entrambi, entrambi lo dovremo accettare. Ciascun ha avuto il futuro che si è meritato, chi se lo è coltivato, chi lo ha agguantato, per fortuna, all’ultimo momento, chi non lo ha mai saputo prendere. 

Se l’Occidente è caduto di là, a chi donerà, il socialismo, il suo passato? 

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