SOCIALISM LIFE 4 - a salvaguardia del singolo




Alessandro Ceci
 

Se c’è una cosa che il COVID ha messo chiaramente in evidenza e di cui ipocritamente poco si parla, è che l’unico posto al mondo in cui lo Stato si preoccupi totalmente della vita di ogni cittadino (il più gratuitamente possibile) è dove il socialismo, la più importante esperienza democratica della storia, si è realizzato: in Europa.
Di fronte alla minaccia della salute e della vita di tutti, lo Stato si piega e si spiega, si pone e si dispone alla tutela e alla salvaguardia del singolo individuo. 

Nelle forme in cui accade in Europa, non accade in nessuna altra parte del mondo.
Non accade nei paesi liberali e liberisti, come gli USA, dove se non hai i soldi semplicemente muori. Poco si parla della lungimirante e storica battaglia sulla riforma sanitaria dei democratici e di Obama in particolare, che andava gradualmente verso la sicurezza collettiva, e che i repubblicani e Trump in particolare hanno smantellato, assumendosi la colpa del rischio della vita di migliaia di cittadini. 
Non accadeva nei paesi comunisti e non accade nel regime indefinito della Cina, dove la minaccia alla vita è stata ed è quotidiana, dettata da una malattia ben più grave, che si chiama totalitarismo. La tutela gratuita della vita, con uno Stato sociale, cioè disponibile a curare le malattie della società e a salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini, riducendo il rischio in semplice minaccia, c’è solo in Europa ed è stata la prima importante conquista del socialismo per la democrazia.

Socialism Life, appunto, il socialismo tutela la vita:
  • sia antropologicamente perché si occupa della forza della relazione sociale, di quella relazione che ci ha reso umani, della convivialità degli habitat di accoglienza della nostra vita;
  • sia politicamente, perché dispone le strutture dello Stato alla salvezza del singolo individuo, indipendentemente dal suo status, e utilizza l’energia del potere per favorire la cura e la tutela della sicurezza sociale. 
Questo del benessere sociale, cioè di un welfare state esteso alle nuove minacce all’umanità (sempre più spesso autoprodotte), per i socialisti, è una connotazione del passato che deve restare un impegno per il futuro.

Tuttavia il virus sovrano, come l’ha definito recentemente Donatella Di Cesare in un libretto magistrale[1], mette in evidenza altri due connotati tradizionali del socialismo che valgono anche come connotazioni per il futuro, troppo sottovalutati e spesso derisi dagli stolti del cieco modernismo, dal pavido machismo del populismo.

Il primo connotato ci ricorda che la crescita troppo spesso minaccia lo sviluppo e che la dinamica irrefrenabile delle mentalità acquisitiva diventa frequentemente “un’escrescenza incontrollabile[2]. “Non è solo una crisi, bensì una catastrofe al rallentatore, il virus ha fermato il dispositivo. Quello che si vede è una convulsione planetaria, lo spasmo prodotto dalla virulenza febbricitante, l’accelerazione fine a se stessa, che ha inesorabilmente raggiunto il punto d’inerzia. È una tetanizzazione del mondo.” Si tratta, dunque, “di un evento fatale che irrompe nel cuore del sistema.[3] Schumpeter definiva il capitalismo come una irrefrenabile forza di “distruzione creatrice[4]. Il socialismo ne ha sempre attenuato la dirompenza trasformando, con il fattore fiscale ad esempio, la crescita ottusa in ragionevole sviluppo. È un compito che, oggi più che mai, spetta ai socialisti per rinforzare ancora la nostra condizione democratica di vita. E spetta ai socialisti oggi più che mai perché la dirompenza nella globalità può comportare una distruzione globale.

Niklas Luhmann ripeteva spesso che la minaccia che piova diventa un rischio se non porto l’ombrello[5]. Ai socialisti spetta costruire gli ombrelli per ripararsi dalla pioggia, che oggi è una pioggia radioattiva acida, adeguatamente spietata, da dovunque provenga, come minaccia della nostra sopravvivenza; che, nell'incuria ipocrita della comodità dei potenti, può facilmente trasformarsi nel rischio ecologico della nostra estinzione. Ed è un rischio difficilmente gestibile perché siamo noi stessi a generarlo, è dentro di noi, dentro i nostri usi e costumi. Se è vero quanto ci dicono gli scienziati più esperti, infatti, il coronavirus è stato generato dalle abitudini alimentari di una parte di umanità. 
Il passaggio dalla crescita allo sviluppo non è un passaggio economico o tecnologico, è un passaggio culturale, cognitivo, addirittura cerebrale.

L’altro elemento del socialismo del passato che si propone anche per il futuro si chiama interdipendenza. Non è solo interconnessione. Siamo gli uni dipendenti dagli altri, per lo sviluppo della nostra intelligenza e anche per la nostra integrità fisica. Il socialismo ha sempre trasformato questa interdipendenza in socializzazione, in partecipazione democratica, in comportamento collettivo. Anche in questa epoca virale di massa abbiamo bisogno di un comportamento collettivo ragionevole per gestire e debellare il rischio di pandemia: gestendo le distanze, utilizzando protezioni, con una socialità equilibrata e controllata. Abbiamo bisogno di una nuova maturità. Come dice giustamente Donatella di Cesare: “il freno è tirato – il resto tocca a noi[6].

Cosa tocca a noi?
Che cosa dobbiamo costruire?
Ciò che abbiamo sempre costruito, ciò che i socialisti hanno sempre donato alla democrazia: il welfare state. Solo che questo nuovo welfare o è planetario o non è.

Sembra impossibile, ma non lo è. 
Gli istituti ci sono e gli strumenti pure. 
  • Il più importante degli istituti è certamente l’Onu che dall’equilibrio politico e dalla ricomposizione dei conflitti può essere riformato e addirittura riformulato nell’ottica della costituzione dei diritti planetari.
  • Il più importante degli strumenti è il Bilancio Sociale degli Stati, ciò che permette a ciascuno di noi di valutare gli impatti delle decisioni politiche, gli effetti che si determinano in conseguenza alle azioni compiute e ai programmi governativi deliberati.
Altri se ne possono aggiungere. Anche se non esiste un governo del mondo (ed è bene che mai esista) esistono gli istituti governamentali, come gli ha chiamati Foucault[7], in grado di gestire la governance a cui particolarmente tengono i governi e di generare riforme nell’ambito generale del network internazionale. Questa governance può favorire i paesi che si dispongono al welfare, in modo che sia esteso in una dimensione planetaria.

Ciò che manca è la coscienza politica, quella consapevolezza della dimensione dei problemi che induce l'azione a cambiare la propria organizzazione sociale. 


Ciò che è in discussione oggi, disvelato definitivamente dal virus rivoluzionario, non è come distribuire la ricchezza, se e come i ricchi distribuiscono ai poveri o se e come i poveri possono comunque avvantaggiarsi della ricchezza tramite un benessere sociale. Il problema che abbiamo oggi è molto più radicale. È stato estremizzato dalla morte indiscriminata e diffusa dalla pandemia. Il problema che abbiamo oggi è se sono più importanti i soldi o la vita. Il surreale dibattito sulla chiusura dei bar alle 23.00 (che secondo alcuni liberisti sfiagatati produrrebbe una catastrofe economica senza precedenti) è l'emblema banale di questa situazione. Qualcuno preferisce avere i propri bilanci più alti, anche se minaccia la vita di tutti.

Il socialismo, pertanto, ha ancora una funzione politica. 
La dimensione planetaria di sé e dei propri valori, il welfare che ha trasformato solo in alcuni continenti del mondo la crescita economica in sviluppo sociale, è ancora uno dei compiti dei socialisti anche per il XXI secolo. 

Socialism Life, allora. 
Il socialismo planetario salva la vita della specie umana.

ooo/ooo

[1] DI CESARE Donatella, Virus sovrano?. L’asfissia capitalistica, Bollati Boringhieri, Torino 2020
[2] DI CESARE D., cit.2020, p.12
[3] DI CESARE D., cit.2020, p.11
[4] SCHUMPETER Joseph, Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas libri, Milano 1977
[5] LUHMANN Niklas, Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1996
[6] DI CESARE D,, cit.2020, p.13
[7] FOUCAUL Michelle, La governamentalità, «Aut-aut», 28, 1978, pp. 167-168

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