SOCIALISM LIFE 3 - il paradosso straniante

 


di Alessandro CECI


Il compianto Luciano Pellicani, professore relatore della mia tesi di laurea scomparso l’11 aprile 2020 vittima di polmonite da Coronavirus, ripeteva spesso che socialismo è un nome polisemico, che ha, cioè, una pluralità di significati. E ricordava altrettanto frequentemente che Sun Yat-sen, padre della Repubblica Popolare Cinese, ironizzava affermando di averne contato 323 significati. 

Di almeno 323 significati possibili del termine socialismo, la sinistra italiana è stata capace di non prenderne nemmeno uno. 
Per odio o per calcolo, il nome del socialismo è stato debellato, abrogato, semplicemente cancellato dal vocabolario della politica italiana. 
Questa operazione di “straniazione” , come lui stesso l’ha definito, è stata la più violenta operazione politica di Walter Veltroni, con il rifiuto della tradizione europea per scimmiottare, con un partito totalmente fuori contesto, i miti televisivi americani. Eppure il socialismo, nella veste delle socialdemocrazie europee, è stata la più importante esperienza e la più imponente espressione della democrazia nella intera storia della umanità. Nessuno nella storia, né l’Atene di Pericle, né l’America fino ad Obama, è mai riuscito a radicare così profondamente il principio democratico come il socialismo in Europa Occidentale. 

Tuttavia permettetemi propedeuticamente una digressione personale. 
Un militante socialista come me, diventato socialista anche perché affascinato dalla competenza e dall’intelligenza del circolo degli intellettuali di “Mondopeario” e grazie al nuovo corso di Bettino Craxi, deve essere profondamente risentito, per non dire definitivamente offeso, da Craxi stesso e dal suo entourage; perché, è inutile nascondersi, loro hanno svenduto le insuperabili ragioni universali di questa unica realtà storica con un bonifico sul conto corrente “protezione” in Svizzera. 
Noi allora credevamo veramente nel cambiamento. Governare il cambiamento, non solo era auspicabile, era davvero possibile, era probabile. Venire a conoscenza che questa opportunità storica, questa innovazione strutturale che, oltre l’alternanza alla guida di governo permettesse anche l’alternativa tra schieramenti politici e la emancipazione socialista anche della democrazia italiana, fosse stata tradita, nel momento stesso in cui noi versavamo i poveri emolumenti interamente nelle casse del partito, dalla misera attrazione del danaro, è stato un trauma, una ferita permanentemente sanguinante e mai pià rimarginabile. 
Si dirà: “facevano tutti così”. 
È vero.
Oppure: “non lo vedeva solo chi non lo voleva vedere”. 
Giusto. 
Noi però avremmo dovuto essere i riformisti, i riformatri, gli innovatori, coloro che non facevano come gli altri, coloro che avrebbero cambiato eticamente ed anche moralmente le relazioni politiche nazionali, in sintonia con l’esaltante esclusività storica delle socialdemocrazie europee. Il fatto che quei dirigenti politici del movimento socialista italiano, laico e riformista, abbiano tradito le nostre speranze e le nostre ambizioni e bruciato le nostre competenze sull’altare del proprio interesse personale monetizzato, è intollerabile. E irrecuperabile. Se non chiariremo questo prima di impegnarci a capire quale è la funzione del socialismo nel XXI secolo e se c’è ancora un ruolo per un partito socialista, se non chiariamo, se non metabolizziamo quest’elemento fondamentale e fondante dell’etica politica del passato, del presente e del futuro, noi, per quanti sforzi faremo, non risorgeremo mai, né intellettualmente né politicamente, dalle nostre ceneri. 
Mi fermo qui. 
Non voglio autoflagellarmi. 
So che i riferimenti personali contano poco perché appartengono alla cronaca. 

L’idea politica, invece, il socialismo, appartiene alla storia, produce storia, e, su quel piano, ha inequivocabili ragioni che non sono, nonostante i beceri tentativi dei sinistrati italiani, occultabili. 
Allora, nella dimensione della storia. non in quella della cronaca, resta il quesito diretto, in primis alla sinistra italiana: come mai il PCI, ma anche altri elettori democristiani, che è stato comprensivo, per non dire connivente, con la morte fisica e psichica, di intere società e persone, di nazioni e di individui, che ha elaborato una giustificazione e una scusa per ogni invasione sovietica, da cui era regolarmente finanziato, non ha trovato alcuna giustificazione ai deficit dei socialisti, che pure erano rimasti soli e preda di Berlusconi (alcuni), tuttavia indispensabili per la ricostruzione di una sinistra democratica italiana? 
Certo c’era la volontà di realizzare in un partito il compromesso storico che non si era riusciti a realizzare nello Stato e nella società. 
C’era anche l’infantile mito americano, che ha indotto i comunisti a costruire un partito/film/fumetto, fatto di icone kennediane e leader pettinati alla Clinton, ma totalmente avulso alla tradizione socialdemocratica europea e alla più significativa condizione democratica che nella storia si sia mai realizzata. Una eccezione che nessuno ha seguito. 
C’era però anche qualcosa di più, un virus di cui non si parla per tenerlo occulto, un odio di famiglia, classico e violento che quasi sempre trasforma i parenti in serpenti. 

Il libro di Walter Veltroni s’intitola Odiare l’odio, ma avrebbe dovuto intitolarsi Odiare l’odio degli altri. Mai in tutto il libro, in cui si descrive con dovizia di citazioni dati e particolari l’odio dei fascisti, dei nazisti, dei populisti, dei brigatisti, dei terroristi, dei leghisti e degli internauti, mai si parla dell’odio dei comunisti di cui i socialisti hanno fatto le spese. 
L’odio comunista, nemmeno nella versione del totalitarismo sovietico, semplicemente non esiste. Occultato clamorosamente. 
Occultato l’odio storico contro i socialisti fino alla opportuna cattiveria, come lo stesso Veltroni definì la odiosa politica di rottamazione del suo pupillo Matteo Renzi. Come se la cattiveria, opportuna o meno, non fosse la sorgente dell’odio che invece viene attribuito, in un banale schema inevitabilmente marxista, alla precarietà economica che induce disagio sociale. Fino a che non ti accorgi che un infermiere, per niente precario, con un lavoro regolare ed un contratto a tempo indeterminato, uccide una coppia di amici soltanto perché li vede troppo felici. 
Comunque l’odio comunista non c’è. La tecnica dell’occultamente è evidente; e Veltroni, conoscendola, l’ha definita meglio. Si tratta del “paradosso straniante”, che consiste, in estrema sintesi, nella contemporanea evoluzione della civiltà, “la più grande area di sapere e comunicazione della storia umana” , e barbarie, “l’angusto rinserrarsi nell’angolo cieco di un pollice alzato o capovolto” . 
Il pollice capovolto, con cui gli imperatori romani decretavano la vita o la morte dei gladiatori perdenti, è lo stesso indice della mano di Veltroni quando ha decretato la morte dei socialisti, rifiutando di iscriversi alla tradizione socialdemocratica europea e, occultandoli dalla denominazione, ne ha proclamato l’estraniazione. Uno strategemma, un trucchetto utile ad occultare il fatto che, mentre i socialisti italiani avevano indubbiamente sbagliato nella cronaca politica (ma avevano ragioni da vendere nella dimensione della storia), i comunisti viceversa, specularmente, avevano indubbiamente vinto nella cronaca politica ma clamorosamente perso nella dimensione storica. 
Quel dito capovolto è servito ai dirigenti del PCI di occupare, sotto falso nome, il posto dei socialisti. 
Dunque l’odio strumentalmente gestito dai comunisti contro i socialisti, quel dito capovolto proprio di Veltroni, ha realizzato questo “paradosso straniante”: nel momento in cui i socialisti sono stati condannati, con l’odio opportunamente necessario, all’estinzione evitandone ipocritamente il ricordo in una qualsiasi denominazione, il nascente Partito Democratico (mezzo comunista e mezzo democristiano) si è rinserrato in un angusto angolo cieco rispetto alla tradizione europea. Quell’angolo è cieco perché non esiste (o non sono stati capaci di elaborare) alcuna ipotesi, per non dire teoria, comunque alcun progetto democratico per il XXI secolo. E questa elaborazione non è stata possibile perché oltre il socialismo democratico europeo, in quanto migliora realizzazione della democrazia da sempre nel mondo, non si riesce ad andare se prima di tutto non si è socialisti. 

Allora è questo il terzo compito a cui bisogna dar corpo per la elaborazione di un manifesto per il socialismo del XXI secolo: quello della rielaborazione di un progetto democratico che abbia nel principio di uguaglianza planetaria delle opportunità, come caposaldo di ogni elaborazione del socialismo ovunque, il suo saldo fondamento.

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