SOCIALISM LIFE 1 - senza calpestare vite


di Alessandro Ceci

Secondo Alex Honneth, a causa del fatto che “le energie utopiche attualmente si sono esurite[1], l’idea e l’ideale di socialismo si sarebbe spenta nella società contemporanea. 

L’affermazione è forte e difficilmente controllabile: sia perché non è detto che le energie utopiche, o utopistiche, si siano esaurite; sia perché non è detto che l’ideale del socialismo si sia definitivamente spento, ma potrebbe essere soltanto provvisoriamente sospeso. 

In epoca di internet e di social network affermare che le energie utopiche si sono esaurite è quasi un azzardo, viste le volgari fantasticherie che infestano la nostra vita quotidiana, una infinità di micro verità opportunistiche che alterano la realtà. 

Tuttavia è vero che, in questa epoca di confusione ribelle, il socialismo non è riuscito ad intercettare l’attuale malcontento, che non è solo un umore, un malumore, ma è un malessere sociale. Abbiamo assistito, negli ultimi 20 anni, a una indignazione (se non proprio una protesta) che ha assunto, talvolta, varie discutibili forme; non sempre violente, ma di ampia portata, forse la più ampia dalla fine della guerra ad oggi. 

Il primo aspetto di questa incapacità di rappresentanza del socialismo può, a mio avviso, essere attribuita al fatto che la trasformazione avvenuta con la globalizzazione non è un mutamento – cioè una modificazione del fenotipo sociale -, ma una mutazione – cioè una modificazione del genotipo sociale -. Cambiano, non solo gli ambiti delle relazioni sociali, ma la struttura base della società che da sistema diventa network. Siamo alla quarta mutazione dell’intera storia dell’umanità[2], passiamo dalla società industriale alla società della comunicazione e cambiano tutti gli elementi fondamentali e connotativi del vivere collettivo. E se cambia la tipologia di società, cambiano anche i suoi elementi caratterizzanti, che ne definiscono l’identità. Quindi, se il socialismo viene concepito soltanto come alternativa, come opposto complementare del capitalismo, la scomparsa della società industriale che ha entrambi generati comporta la scomparsa anche dei suoi figli degenerati. La letteratura filosofica della politica ci ha insegnato (da Marx a Schumpeter, da Aron a Dahrendorf) che il socialismo e il capitalismo sono le due facce opposte della stessa medaglia, opposte e complementari, il Giano Bifronte della industrializzazione. Allora, come i figli legittimi dei monarchi destituiti con il passaggio alla repubblica, il cambiamento di regime politico annulla il ruolo sociale ed elimina ogni interesse verso di loro. Cambiata la società, capitalismo e socialismo non interessano più a nessuno perché entrambi hanno perso la loro presenza storica, non hanno più la loro funzione e la loro prestazione è inutile. In altri termini, quella presenza ha perduto la sua persistenza. 

Per quanto riguarda la seconda motivazione della caduta in desuetudine dell’idea del socialismo, possiamo farci tentare dall’azzardo di Axel Honneth che, riportando la citazione di Ernest Bloch, parla della interruzione del “flusso di questa corrente di pensiero utopista[3]. Il disagio sociale, in questa epoca di mutazione strutturale, non trova sbocco perché manca “la capacità di pensare a un qualcosa in grado di spingersi oltre l’esistente, di immaginare una realtà sociale al di là del capitalismo[4]

La globalizzazione, in altri termini, ha annullato la speranza. 

L’uomo solo si sente incapace di cambiare il mondo. Prima egli percepiva, in quanto appartenente a un qualsiasi istituto governamentale di sostegno (partiti, sindacati, associazioni), di essere in grado di cambiare i rapporti di forza e le condizioni sociali della sua casa, della sua fabbrica, della sua città, della sua regione o della sua nazione, come simbolo per il mondo intero di una nuova era. Ora, lui da solo, chiuso, imprigionato in una liminalità immateriale, perduto, sperduto nel web, in una solitudine senza corpo e senza confine, non più posizionato in una località definita in termini di appartenenza e d’identità, lui, quest’uomo solo, non è più in grado di cambiare l’universo di se stesso. Può professare qualsiasi credo politico perché nessun credo politico ha più alcun significato; sa schierarsi perché stare di qua o di là, non comporta alcuna differenza, non significa letteralmente più nulla. La sua non è più una possibile utopia. È soltanto una individuale, personale illusione. Non è più una speranza. È una ipnosi, una allucinazione. La globalizzazione ha distrutto la localizzazione e, quindi, agire politicamente in uno spazio identificabile ed identitario, non ha più alcun senso. Resta una sensazione di vuoto, d’incapacità, d’inutilità. Si perdono i contenuti collettivi, si è persa la semantica dell’azione politica e si può credere a qualsiasi fantasia a tutte le fantasticherie necessarie per sentirsi vivi e alternativi. Perché siamo soli. Ciò che avverrà dipende da altri, altrove. Ciascuno sa di essere solo, impotente, ininfluente e, dunque, drammaticamente anarchico. 

Il socialismo, se inteso come filosofia di cambiamento delle condizioni di vita in un determinato luogo, in un tempo definito e in uno spazio circoscritto, perde totalmente i suoi riferimenti storici e resta soltanto un’ossessione per qualche nostalgico. Per questo motivo, come diceva appunto Honneth, “Quasi in una sola notte […], due grandi antagonisti del XIX secolo si sono scambiati i ruoli: la religione sembra una promettente forza etica lanciata verso il futuro, mentre il socialismo è percepito come una creatura spirituale del passato”.[5]

Un fantasma, insomma. 

Un fantasma creato da una dis-percezione collettiva: la religione viene percepita come universale e a-storica (e non lo è), cioè globale; il socialismo viene percepito come particolare e storico (e non lo è), cioè locale. La religione sembra maggiormente in sintonia con la globalizzazione. Questo non basta però. Indipendentemente dal cambiamento della situazione estensiva sulla storia, la forza della religione è di essere rimasta in una dimensione cognitiva, in una dimensione cioè in cui l’uomo può ancora “oltrepassare utopisticamente l’esistente[6] e tutti i propri personali deficit. Il socialismo no. 

L’altro problema è internet. Il terzo aspetto da trattare. La tecnologia, che nella industrializzazione era l’espressione più evidente del potere capitalistico, sia come costrizione dell’uomo alla nullificazione della catena della montaggio, la riduzione della vita ai tempi della linea e della produzione, sia come benefit della ricchezza e emblema dello sfruttamento capitalistico del proletariato, la tecnologia che era la manifestazione del potere economico delle classi dirigenti, oggi è massificata, disponibilità di tutti, luogo di gratificazione individuale e indipendente, simbolo di emancipazione personale e di corrispondenza alla modernità, strumento della immediatezza collettiva che connette tanti a tanti e taglia le relazioni a tutti. L’assenza di relazione sociale, la sostituzione della relazione sociale con la connessione individuale, distrugge il presupposto stesso di ogni azione politica, la protesta, che era considerata una distruttiva patologia storica, diventa atopica, un prurito fastidioso ma sopportabile, insignificante, senza una classe di anomici o alienati, ma con un’infintà di emarginati a diversi livelli. Galimberti[7] denuncia questa situazione come l’apoteosi di un nichilismo di massa che travolge le nuove generazioni. È possibile. In ogni caso tutto questo annulla ogni speranza, rende obsoleti tutti i desideri e preventivamente inflazionati tutti i godimenti. La rinuncia è disponibile ed attrattiva. La speranza obsoleta rende obsoleta la vita. La vita è obsoleta perché ormai non finisce più, resta, resiste anche dopo la morte in uno spazio immateriale, certamente non fisico, ma decisamente cognitivo, nel web, dove è stata in tanti anni lentamente e costantemente costruita. Quella verità della vita perenne è più forte e pervasiva della realtà della vita conclusa. Ciascuno, sebbene morto, scomparso come entità fisica, materiale, può pirandellianamente continuare a vivere, perfino agire comunicativamente, nella verità immateriale del web, definitivamente immortale, eternamente presente. Se, come sosteneva Pirandello, nessuno è mai morto quando vive nella mente di un solo amico, vivere impresso nella mente collettiva di tutti i nostri amici social significa appunto non morire mai. Resistere. Esistere indipendentemente da noi. E allora? Allora il futuro (e il passato), come nel mondo ossessivo e ossessionante immaginato da Orwell, non conta più nulla, perché è la vita che non conta più nulla. Ci resta un piatto e infinito presente, la noia e il dolore universale e insuperabile, l’insoddisfazione endemica dell’uomo immortale. Conta solo un presente desertico e assetato, continuamente ricostruito nell’universo infinito del World Wide Web. 

E allora? 

Allora ci troviamo in uno spazio quantistico a cui non eravamo assolutamente preparati. Il lavoro, ad esempio, come il paradosso del gatto di Schrödinger, è vivo e al tempo stesso morto. Possiamo sostenere legittimamente che il lavoro si trova, oggi, in una sovrapposizione quantistica, cioè può essere contemporaneamente sia vivo sia morto come conseguenza di nuove connessioni semantiche della socialità quotidiana. Il lavoro, infatti, che abbiamo appreso come elemento fondamentale della sopravvivenza propria e della propria famiglia, come conduttore della vita, più o meno agiata, e delle prospettive future per le generazioni successive, oggi è la precondizione di una morte precoce per se stesso e per le proprie famiglie, come dimostrano continuamente i casi di assassinio di massa per inquinamento (ILVA Taranto) e i casi di diffusione incontrollata delle pandemie a causa delle connessioni professionali e delle relazioni in habitat lavorativi (COVID). Il lavoro, nella logica quantistica della società della comunicazione, è lo stato quantico unico rappresentato da due dimensioni fisiche interagenti: quella della vita e della sopravvivenza derivante dal reddito che produce; quella della morte e dell’assassinio derivante dai danni che induce. Il lavoro oggi è un entaglement quantistico, proprio come il paradosso di Schrödinger[8]. Anche il lavoro dunque, in quanto emblema del principio si sovrapposizione applicato alle scienze sociali, oggi rende più evidenti che mai i suoi effetti paradossali. Produce la vita mentre induce la morte. Forse è una condizione che ci è sempre stata, ma che oggi entra in una definitiva sua contraddizione storica e, nella lebenswelt, cioè nella vita reale di Husserl, costringe ciascuno di noi a scegliere se sopravvivere morendo nello sfruttamento occupazionale della proletarizzazione o morire sopravvivendo nella emarginazione escludente della disoccupazione. 

Ci sarebbe pertanto ancora tanto spazio politico e sociale, culturale per il socialismo; ma non per il socialismo che abbiamo finora conosciuto. Quello storico, il socialismo storico è necessario ma non più sufficiente. 

Il nuovo socialismo deve finalmente aggiornare i codici semantici, i suoi significati. 

Se qualcuno ritiene che il socialismo sia una filosofia politica del XX secolo (se non addirittura del XIX), ormai morta, o spenta nel XXI, sbaglia. 

Jorge Luis Borges era convinto “che inevitabilmente la nostra vita calpesta il dolore degli altri”. Il socialismo di sempre, del passato, del presente e del futuro, è fare di questa coscienza etica la più grande energia della propria responsabilità politica. 

Possiamo ricostruire, aggiornare, i nostri codici semantici per definire meglio un socialismo della vita, concentrato non più soltanto sui rapporti economici, sovrastrutturale, relazionale, adatto al dolore impercettibile diffuso dalla società della comunicazione nelle fasce classiste dello sfruttamento, certo, ma anche nelle fasce interclassiste della emarginazione e della esclusione. Un socialismo che eviti l’omologazione massificante che schiaccia il singolo con la etero direzione del gruppo dei pari, con accensione automatica e automatizzante della sinapsi agli input della dominante relazione responsiva con cui vengono culturalmente civilizzati oggi gli individui collettivi, la folla solitaria che noi siamo, trasformata sempre più da cittadini ad utenti. 

Il socialismo che dobbiamo aggiornare è un socialismo che supera il dolore nichilista della indifferenza e della alienazione, ovunque si trovi, nei giovani che rifiutano scuola e amicizie (NEET, Hikikomori o genericamente ritirati sociali), negli umani rifiutati dagli umani come nelle irrazionali politiche di contrasto alla immigrazione, nei diritti che vengono ancora collegati ai doveri piuttosto che, come si dovrebbe, ai bisogni. 

Il socialismo che deve essere aggiornato per riprendere il ruolo politico, sociale e culturale che gli compete è lo stesso socialismo che combatte le distinzioni, addirittura le demarcazioni, tra gli haves e gli haves-not, contro il cleavage della concorrenza tra chi ha e chi non ha, non più soltanto i mezzi di produzione, la ricchezza o il potere. O la proprietà. John Kenneth Galbraith ci ha insegnato che il concetto di proprietà nel mondo contemporaneo non significa più nulla e che il potere, o meglio il dominio dei rapporti di forza è riservata a una tecnostruttura che gestisce e controlla, con una legittimazione attribuita sulla base di un presupposto autoreferenziale di competenza, la proprietà degli altri. 

Il cleavage della concorrenza oggi è tra chi ha delle aspettative e chi ha le opportunità. La globalizzazione ha diffuso nel mondo l’inganno del sogno americano in cui tutti hanno delle aspettative ma soltanto alcuni hanno delle opportunità. Il futuro-presente del socialismo si gioca intermente sul principio di equità nella dinamica delle chances di vita, nel controllo delle aspettative e nel criterio di offerta delle opportunità; come ho scritto altrove; testo a cui rimando. 

Il socialismo della vita è il socialismo che distribuisce con giustizia ed equità le opportunità di tutti sulla base di un diritto di umanità che si impone alla universalità del diritto di cittadinanza sulla base dei bisogni, oltre che naturalmente dei meriti. Aggiornare il socialismo con i codici semantici della vita, questo è il nostro compito, ovunque si esplichi nel mondo e in qualsivoglia situazione sociale si esprima; quei codici semantici, cioè, che permettano a ciascuno di noi di fruire della propria vita senza che sia invece inutilmente consumata. 


8 settembre 2020 




[1] HONNETH Axel, L’idea di socialismo, Feltrinelli, Milano 2016, p.15 
[2] CECI Alessandro, Cosmogonie del potere, Ibiskos, Empoli 2011 
[3] HONNETH A., cit. 2016, p.13 
[4] HONNETH A., cit. 2016, p.13 
[5] HONNETH A., cit. 2016, pp. 9-10 
[6] HONNETH A., cit. 2016, p.14 
[7] GALIMBERTI Umberto, L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2008 
[8]Si possono anche costruire casi del tutto burleschi. Si rinchiuda un gatto in una scatola d'acciaio insieme alla seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d'essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un'ora forse uno dei suoi atomi si disintegrerà, ma anche, in modo parimenti probabile, nessuno; se l'evento si verifica il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un'ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato, mentre la prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione {\displaystyle \Psi }dell'intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso”. Schrödinger:E., Die gegenwärtige Situation in der Quantenmechanik [La situazione attuale della meccanica quantistica], Die Naturwissenschaften 23 (1935) 807–812, 823–828, 844–849; citazione a pag. 812. Articolo originale tradotto in lingua inglese Archiviato il 4 dicembre 2012 in Archive.is

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