RELAZIONE SIMBIOTICA ISTITUZIONALE





A margine di un dibattito sulla riforma elettorale

Perché mai il povero elettore dovrebbe rispondere allo stesso modo a due domande diverse? 
Noi cittadini non siamo mica stupidi. 
Voi ci chiedete: “chi volete che vi governi”? 
E insieme: “Chi volete che vi rappresenti”? 

E noi, vittime di una malattia predefinita, dovremmo rispondere allo stesso modo a queste due domande notevolmente diverse. Il fatto però è che noi non siamo stupidi e questa discussione, oltre ad essere incomprensibile, diventa perfettamente asfittica. 

In realtà noi dovremmo rispondere coerentemente in un modo rispetto alla governabilità e in un altro modo rispetto alla rappresentanza. Ma voi non ce lo permettete, costringendoci nella condizione dello studente sfortunato; cioè di quello studente che di fronte ad una domanda ambigua del suo professore, qualunque risposta tenti comunque sbaglia. 

Non sarà un caso che quando le democrazie sono state egemoni sui processi storici e politici, hanno eletto in modo differenziato, ma non difforme, l’Organo Legislativo dall’Organo Esecutivo. Le Democrazie che hanno dato un impulso storico alla politica internazionale sono soltanto due: Atene in cui la democrazia è nata; Washington in cui la democrazia si è sviluppata. Entrambe eleggevano l’assemblea in tempi e modi diversi dagli esecutivi. 

Perché? 
Che cosa si verifica altrimenti? 
Qual è il meccanismo di equilibrio tra due organi diversi? 

Quando due organi nascono assieme muoiono inevitabilmente assieme. Si ingenera cioè una sorta di processo simbiotico che inquina le funzioni vitali di entrambi. E questo succede perché: 
  •  i soggetti istituzionali che vengono eletti in modo differenziato si controllano reciprocamente senza condizionarsi; 
  •  mentre i soggetti istituzionali che vengono eletti in modo indifferenziato, si condizionano reciprocamente senza controllarsi. 

Non c’entra nemmeno la pressione mediatica, che al limite dimostra emblematicamente il passaggio dal criterio della rappresentanza alla relazione responsiva nella democrazia della comunicazione. A rigore la commistione tra il principio della rappresentanza e il principio della governabilità vige in Italia, e in altri sistemi elettorali simili, almeno a partire dal 1948. 

Il punto è che per potersi controllare i soggetti istituzionali devono essere portatori di una legittimazione autonoma, altrimenti chi è stato eletto dal popolo (legittimazione diretta) non riesce giustamente a capire perché dovrebbe essere controllato da un soggetto istituzionale eletto da altro soggetto istituzionale (legittimazione indiretta – come ad esempio la Corte Costituzionale italiana) e/o dalla legge, specie se quella legge è prodotta – come nel paradosso italiano – da un soggetto istituzionale nemmeno eletto, ma nominato. 

Le democrazie mature hanno rotto questa connivenza ed hanno attribuito a ciascuna delle due istituzioni una legittimazione autonoma. O almeno l’hanno fatto per i due organi essenziali: quello che produce le leggi (Parlamento) e quello che le applica (il Governo). Svolgono funzioni autonome e devono offrirci prestazioni autonome. Preferiamo che alla produzione di una legge concorrano le esigenze e le aspettative delle variegate domande, che tanto più ampie e articolate si fanno con la esplosione della complessità sociale. Ma mai vorremmo che questa ricchezza di percezioni e di culture si scaricasse sulla funzione di governo che deve essere efficiente nei modi ed efficace nelle modalità, proprio a causa della rapida accelerazione delle dinamiche politiche nazionali ed internazionali. Se svolgono funzioni autonome per fornirci prestazioni autonome, è giusto e opportuno che siano autonomamente legittimate da elezioni popolari distinte. 

In effetti l’elezione congiunta tra soggetti istituzionali diversi scatena un infernale meccanismo degenerativo ricorsivo: se l’esecutivo governa male viene messo in discussione dall’elettorato assieme alla sua maggioranza che, per non perdere le elezioni, è costretta a mantenere in vita quell’esecutivo nonostante il suo malgoverno. Sennonché è proprio questo tenerlo in vita gli fa perdere le elezioni. È, infatti, raro normalmente che una maggioranza politica si suicidi dimissionando la sua più alta espressione politica; ma proprio perché non lo dimissiona quella maggioranza si suicida. In America non è successo nemmeno dopo i clamorosi casi di impeachment. Figurarsi se mai può accadere quando entrambi sono espressione della medesima situazione politica. Se nascono assieme, muoiono assieme. Spesso con reciproco danno. 

La relazione simbiotica tra l’esecutivo e il legislativo è sempre stato un limite notevole per lo sviluppo della democrazia. Lo è ancora di più ora che i processi sociali sono più spinti. Se il Parlamento fosse eletto ogni cinque anni non sarebbe più in grado di rappresentare un tessuto sociale che si modernizza ormai mediamente ogni tre anni. Se il Presidente del Consiglio fosse eletto ogni tre anni non avrebbe il tempo per governare. Quattro anni è un ibrido che non serve a nessuno di tutte e due. 

Per ovviare a questi due problemi fondamentali nella selezione della classe dirigente di una democrazia, e ai molti altri che potranno essere discussi altrove, agli albori di una riforma elettorale è indispensabile rompere la relazione simbiotica tra Parlamento e Governo. È un elemento vitale per ogni sistema politico nella complessità, non proprio dividere, ma differenziare i soggetti istituzionali e gli organi politici, per dare una risposta legislativa ed amministrativa congruente alle aspettative dei cittadini. Scindere la relazione simbiotica istituzionale che è stata, fin qui, un elemento di forte degenerazione della politica italiana, è oggi una esigenza insuperabile per la modernizzazione generale dello Stato. 

Le democrazie contemporanea viaggiano sulle linee dell’etere, sulle connessioni della società della comunicazione. La loro forma muta continuamente, la loro configurazione liquida – per dirla alla Bauman - si adatta alle dinamica di movimenti. Le democrazie contemporanee hanno una morfologia variabile in funzione dei domini relazionali che le riempiono. I network democratici della società della comunicazione assumono connotazione in base ad alcuni assimilatori di densità, che per noi sono strutture conservative di energia sociale. Questi assimilatori di densità, proprio perché sono caratterizzati da consuetudini ricorsive istintive, cioè da comportamenti abitudinari non valutabili razionalmente in ogni momento, devono essere semplici, cioè immediatamente comprensibili e facilmente controllabili. Tanto più semplici sono le strutture conservative della energia di un network sociale, tanto più quel network è democratico. Tanto più sono complicate, tanto più, queste strutture conservative, richiedono l’intervento politico di una tecnostruttura specialistica, il cui linguaggio incomprensibile nasconde un potere incontrollabile, un atto di fede puro sulla loro imparzialità o, meglio, sulla loro assenza di discrezionalità. Gli assimilatori di densità più evidenti di ogni democrazia sono il meccanismo fiscale e quello elettorale. Entrambi, per essere giusti, dovrebbero essere semplici. Ma non lo sono. Perché non devono essere giusti, ma opportuni. Non efficaci, ma utili. Non efficienti, ma comodi. L’Italia docet. 

In ogni caso, per quanto riguarda il sistema elettorale, senza entrare nel dettaglio, il meccanismo più semplice ci sembra quello di rispondere coerentemente in modo differenziato a due diverse domande e, quindi, l’unico meccanismo elettorale credibile ci sembra quello che riesce a scindere la relazione simbiotica istituzionale tra esecutivo e legislativo, eleggendo in due momenti diversi due organi istituzionali di versi sottoponendo i soggetti politici a meccanismi elettorali diversi. Le assemblee possono essere elette con il meccanismo proporzionale per essere in grado di esprimere la multiforme complessità del sociale in coerenza con le nuove esigenze di rappresentanza di democrazie della comunicazione in continua mutazione morfologica. Gli esecutivi possono essere eletti con il meccanismo maggioritario per essere in grado di semplificare il processo decisionale nel modo più efficiente e più efficace al fine di evitare la crisi delle aspettative crescenti dei cittadini elettori, in cui continuamente le domande aumentano e le risposte diminuiscono con altrettanta continuità. Sarà compito del Legislatore successivamente, riformare gli altri organi dello Stato e le procedure di reciproca regolazione affinché, con un sistema di “check and balances” si riesca a controllare e a mantenere in equilibrio le diverse forme di gestione del potere della democrazia moderna. 

La logica dell’equilibrio tra poteri è possibile proprio perché, e solo perché, essendo elette entrambe in modo differenziato, le Istituzioni Politiche democratiche restano autonome e, dunque, non possono essere reciprocamente condizionanti.

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