INTELLIGENCE: L'APPROFONDIMENTO DI ILDE ASCANI



La mia amica Ilde Ascani ha utilizzato il telefono, in questa epoca di distanziamento sociale, per stimolare in me un approfondimento sui temi che stiamo trattando. Secondo Lei siamo già in una situazione di rischio democratico perché si è determinata una società platonica, aristocratica, secondo il filone dei migliori al governo dei fenomeni complessi che va dai filosofi di Platone alla teoria delle élite di Pareto, Mosca e Michels. 

L’aristocrazia di questa nostra epoca è composta dai pochi tecnologi in grado di governare la comunicazione; coloro che possono connettere e interpretare, connettere e programmare, connettere e controllare i flussi di news, informazioni e comunicazioni, che determinano i nostri scenari quotidiani di verità. Si tratta di una nuova aristocrazia politica che detiene le leve, non dell’epistemé, ma certamente della doxa, che orienta il sentiment di popolazioni di utenti/elettori che influenzano le decisioni politiche e il comportamento del leaders. 

La doxa, cioè l’opinione, certamente. 

Lepistemè, cioè la conoscenza, un po’meno. La conoscenza richiede un forte controllo critico, come diceva Popper, che giustifichi rendendole falsificabili, le ipotesi. 

L’opinione, invece, è labile, leggera, si costruisce sul nulla, dettata da un posizionamento predefinito – schieramento – serve ad assolvere le scelte fatte anche senza ragione e ragionamento, ma per semplice adesione. E porta con sé una parola vuota, contraddittoria, vacua. Si è cattolici contro il Papa, comunisti e contro i proletarizzati, liberali contro ogni emancipazione, democratici e controllori dei processi di crescita dei figli che, per non essere degenerati, devono diventare emuli della vita dei genitori. 

Invece, dice la mia amica Ilde Ascani, la parola nella democrazia ateniese aveva un peso nel bene e nel male. Nel bene perché ha dato la vita a Socrate. Nel male perché quella stessa parola pesante gli ha dato la morte. Non era un fatto puramente formale. La parola pesante e significativa dava vita a interi regimi e condizioni sociali ovunque si esprimesse, nell’Agorà o in teatro, nella Boulé cioè nell’assemblea dei 500 o nei vicoli e nelle strade di Atene dove davvero si svolgeva la scuola. La parola pesante, la comunicazione critica, la conoscenza collettiva e non quella riservata ad una aristocrazia dei migliori (da definire naturalmente) era l’essenza della democrazia. 




Rafforzo il concetto espresso da Ilde con la constatazione che, il peso più importante della parola nella funzione pubblica e politica, è stato proposto in epoca romana da Cicerone. Cicerone è il primo a costruire una epistemologia delle scienze sociali, attorno al concetto, più volte conclamato, della “eloquenza dei fatti”. Nonostante i tentativi abbozzati da Aristotele, non c’erano le scienze sociali prima di Cicerone. È proprio Cicerone ad elaborare il nuovo orizzonte epistemologico delle Scienze Sociali. L’orazione ciceroniana, sia all’interno del foro romano, sia nel senato, sia fuori ai comizi pubblici, costruisce la storia, analizza gli eventi e induce a decisioni congruenti. Si tratta di una parola controllata epistemologicamente perché gli oratori a confronto devono essere minimo due, con tesi possibilmente avverse. L’orazione di Cicerone era il confronto fra gestalt alternative, visioni, ipotesi, teoria della verità. Cicerone aveva la illusione di credere (e tutti i democratici con lui) che la orazione che era in grado di affermarsi perché vinceva convincendo, era la più vicina alla realtà; era la verità più in simbiosi con la realtà. 

Oggi tutto questo sarebbe saltato perché nella società della comunicazione, come diceva Marshall MC Luhan, “il medium è il messaggio”. Dunque, colui che governa il medium governa il messaggio. Pertanto, la piccola aristocrazia degli esperti della comunicazione tecnologica (che non sono più nemmeno soltanto informatici) detiene le leve del potere reale del network glocale in cui viviamo. Torna la vecchia idea di Marx che le idee dominanti sono quelle della classe dominante e che la classe dominante è quella di chi detiene i mezzi di produzione. Soltanto che oggi non si producono oggetti, ma informazioni. Anzi, anche le informazioni sono mezzi per la produzione del sentiment collettivo. 

La definizione è semplicistica, per me. 

La domanda che sto proponendo in questi testi è proprio questa: può, l’intelligence, selezionando epistemologicamente le competenze necessarie per favorire una migliore decisione politica dei detentori del potere mantenere le verità in simbiosi con la realtà e costituirsi come funzione di garanzia democratica collettiva? 

Io credo di si, ma bisogna entrare in una nuova dimensione cognitiva. 

Necessita una riconcettualizzazione. 

Anzi, penso che sia una responsabilità riservata proprio all’intelligence, per la sua capacità di stare dentro ed oltre le cose, all’interno e all’orizzonte dei fenomeni politicamente rilevanti per una società democratica. 


La mia verità sulla realtà è più complessa. 

Credo che l’idea cattolica e marxista di un deus ex machina dietro i fenomeni dell’esistenza, e quelli sociali in particolare, sia relativamente giusta. 

Credo che il deficit sia nel fenomeno non fuori di esso, fedele alla nota affermazione dell’esistenzialismo di Sarte secondo cui il fenomeno è ciò che appare[1], anche se troppo spesso ciò che appare non è ciò che vediamo. In ogni caso fuori non c’è nulla. Tutto è dentro il fenomeno, inevitabilmente e inevitabilmente anche la società della comunicazione. Dunque può esserci, nel fenomeno della nostra società, una elite di potere che tenta di manovrare le cose verso esiti precedentemente programmati (senza mai davvero riuscirci). Ma non c’è un dio o un demone che costruisce una realtà per tutti. Possono essere inventate interamente delle verità, ma quelle verità diventano realtà soltanto quando tutti le auto-producono. La verità si impone perché è autoreferenziale. Una cosa questa che ha capito prima di tutti e perfettamente la struttura politica della Chiesa Cattolica che ha reiscritto interamente l’archetipo collettivo del mondo per fare in modo che ogni mondo di ogni singolo individuo producesse il potere della Chiesa cattolica. Sono appunto i meccanismi autoreferenziali più pericolosi. 

Dunque, per me il rischio è dato dai circuiti di autoreferenziali di produzione della verità. Non nelle semplici fake news. Ogni utente che scrive e riscrive le sue opinioni rispetto ad una determinata news è il produttore del sentiment collettivo che tenta di imporsi. 

Perché però ogni utente cominci a produrre in modo autoreferenziale la verità che deve essere imposta alla realtà? 

Il fatto è che le false notizie sono catene che si influenzano e si producono reciprocamente. 

La cultura dovrebbe servire proprio a questo, a spezzare queste catene, a far morire le fake news nella loro stessa vacuità. Qualche stolto tiranno tenta di abrogare, per questo motivo, i centri produzione culturale, come i teatri, le librerie, i cinema e soprattutto le scuole e le università. Ma è stolto quel tiranno perché la cultura è una esigenza biologica di sopravvivenza per il genere umano e se la elimini dalla società, la trasferisci automaticamente nel web. Alla fine, come ci ha insegnato la strategia del “Tit forTat”, gli aggressivi produttori seriali di fake news muoiono nella inesistenza epistemologica della giustificazione delle loro asserzioni e i comunicatori di significati reali nel medio periodo si affermeranno con costanza e continuità 

A livello della conoscenza generale, e a maggior ragione di quella particolare necessaria all'intelligence, spesso si pensa di aver raggiunto un livello di eccellenza soltanto per aver raccolto la maggior parte delle informazioni sotto un comun denominatore. Ma quel comun denominatore non è un general problem solving. 

L’intelligence della comunicazione deve supportare con contenuti anche alternativi general problem solving. L’intelligence deve avere la disponibilità del know how necessario a una decisione appropriata. Il nuovo intelligence deve essere il connettore tra il processo decisionale e le competenze nazionali in un circuito di conoscenza utile al processo decisionale. Dunque, l’intelligence della comunicazione ha una enorme potenzialità: quella di progettare l’azione, non solo per acquisire nuovi dati, ma per interagire con i problemi e le loro possibili soluzioni. Il modello di intelligence della comunicazione non può prescindere da un programma di sostegno all’azione, che potremmo denominare di advice taker, cioè la capacità metodologica di utilizzare la logica nella gestione delle informazioni e della comunicazione. 



L’acquisizione di nuove conoscenze può avvenire in modo duplice: in modo indiretto, cioè avendo accesso a skills prodotti da altri; oppure in modo diretto, avendo gli altri da cui cogliere degli skills. L’advice taker, cioè il programma di sostegno all'azione, utilizza i modelli come risultato di un processo cognitivo già avvenuto e genera una serie di strumenti che, applicati a casi concreti, indirizzano verso le migliori soluzioni attraverso manipolazioni sintetiche. Ma l’advice taker funziona a patto che i modelli siano corrispondenti. Resta dunque centrale la definizione dei gradi di corrispondenza, secondo i criteri fin qui individuati; gradi di corrispondenza che vanno valutati all’interno dell’intervallo di sostenibilità, perché anche un modello è una organizzazione, con una sua struttura formale e una sua struttura informale. Anzi, potremmo addirittura sostenere che il grado di corrispondenza di un modello è direttamente proporzionale al grado di coincidenza tra struttura formale e informale: quanto più la formalità sintattica di un codice coincide con la informalità della semantica tanto più il modello è attendibile. 

In ogni contesto sociale l’attività (comportamento o azione) di un soggetto (individuo o gruppo) si formalizza in un ruolo. Se questo ruolo corrisponde ai valori applicativi all’interno di procedure del modello, quel soggetto svolge anche una funzione. Se, invece, una volta introdotto il ruolo di quel determinato soggetto all’interno di un definito contesto, il modello trasferisce valori cognitivi all’osservatore. Quando il valore cognitivo viene espresso, rappresentato e discusso, diciamo che l’osservatore o l’analista ha assolto ad una prestazione. 

Che significa? 

Qualche giorno fa ho regalato, per il suo compleanno, a mio fratello, che è un valido chirurgo, un libro sulla storia di un mitico medico delle paludi pontine che andava a visitare i suoi pazienti nelle case coloniche e, spesso, nelle capanne in cui si ammalavano. Era l’epoca della bonifica della palude pontina, quando le idrovore mussoliniane prosciugavano quelle acque malferme dalla malaria. Andava in quei luoghi, il medico, per curare e riconosceva i sintomi della malattia nell’habitat da cui emergeva, nella vita dei suoi pazienti, parlando delle loro abitudini, dei comportamenti usuali e quotidiani. Oggi, uno dei deficit epistemologici che determina l’assenza della relazione di cura è che i medici, che salvano la pelle delle persone, si occupano più della malattia che della vita. Questo è un limite molto forte della eccessiva specializzazione. Quella relazione era una vera e propria relazione comunicativa di intelligence. 

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[1] SARTRE Jean Paul, l’Essere e il Nulla, il Saggiatore, Milano 2008

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