INTELLIGENCE: LA LIMINALITA' DI VAN GENNEP



Per gli studiosi di criminologia uno dei problemi scientifici più importanti è sapere per quale motivo alcuni paesi producono organizzazioni criminali strutturate ed altri paesi no. Tra i primi c’è certamente l’Italia che nelle quattro Regioni del Sud (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) ha generato quattro organizzazioni criminali strutturate (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Camorra). Tra i secondi ci sono certamente la maggior parte dei paesi del mondo, che appunto hanno bande di criminali e criminali individuali, ma non hanno organizzazioni strutturate e permanenti.
In termini epistemologici si chiama “il problema eziologico” e riguarda sia la criminologia del soggetto (le organizzazione criminali di ogni tipo), sia la criminologia dell’individuo (i casi criminali di ogni tipo). 

Perché nasce il crimine?

Come mai alcune nazioni fanno mafia ed altre no?

Non conosciamo una organizzazione criminale tipica e strutturata in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Germania, in Svezia, in Greca, in Belgio, Olanda a Lussemburgo, in Danimarca,in Australia e nemmeno negli USA, dato che tutte le organizzazioni criminali statunitensi sono di importazione.
Ci sono, invece, in Italia, in Cina, in Giappone, in Russia, in alcune nazioni dell’area balcanica, ma non in tutte, in Nigeria, ma non in altri Stati africani.
Perché?
La mia congettura, come direbbe Popper, è che il crimine, sia individuale che soggettivo, nasca da uno “stato di liminalità”.



Il concetto di liminalità è stato introdotto nel 1909 dall’antropologo Arnold Van Gennep (tradotto nelle sue opere con il termine liminarità) nel suo testo fondamentale dal titolo “I riti di passaggio[1]

Possiamo considerare Arnold Van Gennep, questo francese nato in Germania e trasferitosi a causa delle seconde nozze della madre, polemico giustamente con l’accademia e dall’accademia abbondantemente punito, filologo, linguista, egittologo ed esperto di culture orientali, il vero inventore della Etnologia. 
Fu lui ad elaborare per primo, proprio in quest’opera fortunata, il concetto di liminalità come il momento di passaggio da una condizione sociale ad un’altra.
Attualmente da noi un paese confina con un altro; ma non era così quando il suolo cristiano non costituiva che una parte dell’Europa; intorno a questo territorio esisteva tutta una fascia neutra, divisa praticamente in sezioni, le marche. Esse si sono a poco a poco ritirate, e sono poi scomparse, ma il termine letterale di marca conservò il significato di passaggio da un territorio a un altro attraverso una zona neutra. (…) Queste zone sono costituite, di solito, da un deserto, da una palude e soprattutto da una foresta vergine in cui si può passare e cacciare in piena libertà. Dato il carattere ambivalente della nozione di sacro, i due territori occupati sono sacri per coloro che vivono nella zona, ma d’altra parte la zona è sacra per gli abitanti dei due territori. Chiunque passi dall’uno all’altro lato si trova perciò per un periodo più o meno lungo in una situazione particolare, nel senso che sta sospeso tra due mondi. È questa la situazione che designo col termine di MARGINE, e uno degli scopi di questo libro è quello di dimostrare che questo MARGINE IDEALE e MATERIALE al TEMPO STESSO si trova in forme più o meno accentuate in tutte le cerimonie che ACCOMPAGNANO il passaggio da una situazione magico - religiosa SOCIALE a un’altra[2].

Naturalmente, lo studio antropologico di Van Gennep non si riferiva alla criminalità. Egli voleva mettere in evidenza il passaggio da uno status sociale all’altro. E ci voleva informare del fatto che questo passaggio coinvolge, oltre a colui che compie il rito, anche altri soggetti. Un intero habitat. Diciamo noi oggi, con una terminologia scientificamente più adeguata, che questo “rito di passaggio” pesa talmente nel network sociale (habitat) da rendere concavo il dominio relazionale del suo intorno. 
Per Van Gennep la liminalità (o ambiguità) è un margine, un momento intermedio di sospensione, il passaggio o il transito in cui si perdono provvisoriamente le connotazioni del proprio ruolo. Questo margine è una reale marginalità, in quanto relega l’individuo in uno spazio indefinito, in un interstizio della società nell’attesa di un suo ingresso in un nuovo status. L’ambiguità della sua condizione è dettata dal fatto che il soggetto in situazione di liminalità non è più ciò che era e non è ancora ciò che sarà. 

La liminalità, naturalmente, riguarda sia la dimensione individuale che quella sociale.

Se vogliamo che l’intelligence si occupi e si preoccupi delle organizzazioni criminali, cioè di quella che abbiamo definito “criminologia del soggetto[3], è alla dimensione sociale che dobbiamo riferirci. Vedremo in una successiva trattazione che le cose non cambiano (se non nella loro denominazione) nella psiche delle persone, cioè appunto nella “criminologia dell’individuo”.



Nella dinamica sociale possiamo comparare lo “stato di liminalità” al concetto di “vuoto politico”. 
Sul concetto di “vuoto politico” la pubblicistica nazionale qualche anno fa si è sbizzarrita in un gioco letterario ozioso. 

Il quesito era: esiste o no il vuoto politico?

Naturalmente si è trattato di un quesito insignificante che ha generato un inutile “parlar di nubi”.
In questo animato confronto c’è stato chi ha brillantemente sostenuto che il vuoto politico non esiste perché, in politica, ogni potere è sempre occupato da qualcuno. In realtà, se qualcuno può occupare uno spazio non suo è perché in quel momento quello spazio non è occupato, cioè perché c’è un vuoto. L’idea bislacca che ogni vuoto sia comunque occupato, contraddetta dai network che sono fatti essenzialmente di vuoti, proviene dalla mitologia greca, secondo cui, quando al tavolo degli Dei una sedia è vuota, c’è sempre un umano che cerca di occuparla. Il fatto è, che in questo exemplum non si dice, quante sono di volta in volta le sedie. E il vuoto politico è caratterizzato, non dalla sedia non occupata, ma proprio da quella sedia che non c’è. 
Si tratta certo di una illusione ottica poiché, anche per chi ne nega l’esistenza del vuoto politico. Nella gestione del potere c’è sempre un rito di passaggio, un momento in cui lo spazio dovrebbe essere occupato legittimamente e non lo è ancora; ragion per cui qualcun altro lo occupa illegittimamente. 
Un rito di passaggio, cioè uno stato di liminalità.
Ma lasciamo stare.
Tuttavia anche questa questione ci ha insegnato qualcosa. 


In anni di studi abbiamo imparato che le strutture politiche che reggono una società possono dividersi in 3 tipologie:
  • · la struttura di governo: che il potere politico decisionale;
  • · le strutture governamentali: che il potere degli istituti di amministrazione pubblica e della burocrazia;
  • · le politiche di governance: che è il potere dell’azione collettiva[4].
La regola è questa: quando il governo di un territorio è scisso dalla sua governance, le strutture governamentali degenerano e vengono sostituite dalle organizzazioni criminali. 
Facciamo un esempio concreto in quest’epoca di pandemia: se il governo decide di erogare un finanziamento ai disagiati e questo atto governativo non raggiunge immediatamente i cittadini (governance) perché la burocrazia blocca le procedure (strutture governamentali degenerate), i cittadini bisognosi si rivolgono agli usurai e alle organizzazioni criminali. 

La mia congettura è semplice e semplicemente comprovata sul piano storico: quando in un determinato territorio il governo è scisso dalla governance si produce un vuoto politico, cioè uno stato di liminalità, che degenera le strutture governamentali che vengono sostituite dalle organizzazioni criminali. Dalla camera degli dei spariscono una serie di poltrone che vengono trasferite in silenzio nell’anticamera sottostante e nessuno si accorge di niente; salvo verificare, qualche anno dopo, la presenza di organizzazioni criminali che controllano intere regioni nazionali e i traffici internazionali. Le organizzazioni criminali, come è successo in Sicilia dal 1820 al 1860 prima e poi dal 1943 al 1949, tengono per se stesse la governance e lasciano ai soggetti politici il governo. 

Dunque la criminalità organizzata nasce sempre da uno stato di liminalità.

Quando il governo di un territorio è scisso dalla sua governance, il potere anche si suddivide. 

Come è evidente, a differenza della letteratura prevalente[5], la mia congettura non considera la governance alternativa al governo ma complementare, per dirla con Maurice Duverger[6], come un Giano bifronte, il Dio romano con due profili in grado di guardare contemporaneamente a destra e a sinistra, le due facce opposte e complementari di una moneta. Il vuoto politico avviene quando la moneta si spacca e governo e governance non sono più collegati dalla funzione fondamentale dello Stato.

La realizzazione delle istituzioni e delle autonomie locali, nella tripartizione della nostra Carta Costituzionale, aveva appunto lo scopo di suturare la scissione dolorosa tra governo e governance, avvenuta in Italia in modo ricorrente e proprio laddove questa scissione si era fatta più purulenta e infetta, nelle regioni delle diverse mafie. Tuttavia, il dettato Costituzionale nella sostanza non è stato rispettato e noi abbiamo semplicemente riprodotto, nelle autonomie dello Stato Italiano (e specificamente nelle Regioni meridionali), la condizione di “governance without government”[7] già vigente nell’intero Stato Italiano prima del 1970. 

Una “governance without government[8] sbilancia l’intelligence, lo lascia schiacciato sulla funzione del potere. L’intelligence è una della struttura governamentali più importante di tutti gli Stati. Se il governo e la governance si scindono, l’intelligence degenera. Rischia di diventare una struttura fuori controllo. 

In Italia anche questo abbiamo abbondantemente vissuto.

Almeno ora ne conosciamo le cause.



ooo/ooo


[1] VAN GENNEP Arnold, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2006 
[2] VAN GENNEP A., cit. 2006, p.16 
[3] CECI Alessandro – MONTEREALE Liliana, Dissonanze Criminologiche, Ibiskos, Empoli 2014 
[4] Olson Mancur, LA LOGICA DELL’AZIONE COLLETTIVA, Feltrinelli, Milano 1983 
[5] Valga per tutti la esaustiva pubblicazione di Arienzo Alessandro, LA GOVERNANCE, Eddiesse, Roma 2013 
[6] Duverger Maurice, GIANO, LE DUE FACCE DELL’OCCIDENTE, Comunità, Milano 1976 
[7] Rosenau James N., Czempiel Ernest O. (a cura di), GOVERNANCE WITHOUT GOVERNMENT: ORDER AND CHANGE IN WORLD POLITICS, Cambridge University Press, Cambridge, 1992 
[8] Rosenau James N., Czempiel Ernest O. (a cura di), GOVERNANCE WITHOUT GOVERNMENT: ORDER AND CHANGE IN WORLD POLITICS, Cambridge University Press, Cambridge, 1992

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