TURISMO: SAGGIO DI POLITICA LOCALE - 3.b) le tendenze

Turismo
Una esperienza mediterranea
anno 1998




La città, questo sistema urbano complesso, cambia. Il trend che segue e che spesso la conduce è indicato nei dati. 
Ora, però, non ci interessa trascrivere un catalogo di cifre, che possono essere recuperate in qualsivoglia annuario statistico. Sappiamo già che nel il 2020 il turismo produce nel mondo, secondo le Nazioni Unite, un reddito maggiore dell’industria siderurgica ed automobilistica. Tanto basta. 
Ciò che ora qui interessa, poiché trattiamo del concetto di sostenibilità, è cogliere l’incisività del movimento turistico sulla tenuta e sulla trasformazione urbana. 

Un primo indicatore necessario per decodificare l’indirizzo del trend evolutivo turistico consiste naturalmente nella conoscenza del processo decisionale e delle categorie di scelta del target, cioè a dire, la conoscenza della struttura potenziale della domanda. 
Indagare la struttura potenziale della domanda significa infatti indagare sullo schema dei bisogni motivanti dei destinatari di tutte le politiche turistiche. È la struttura dei bisogni motivanti che orienta il modello culturale di riferimento degli individui. È sulla base del livello di soddisfazione dei propri bisogni, motivanti e motivatori, che “La Folla Solitaria[1] delle moderne società eterodirette valuta, decide e programma. 
Il momento preciso in cui il cambiamento della struttura dei bisogni individuali e collettivi modifica anche il criterio di valutazione dei turisti, è il momento in cui si forma l’esigenza di evasione, cioè nella fase immediatamente precedente alla decisione definitiva. 
Fino a qualche anno fa, questa struttura di bisogni insoddisfatti da sacralizzare era abbastanza stabile e permetteva agli operatori una programmazione sufficientemente mirata, costruita sulla base dell’esperienza di lavoro e sulla base delle richieste espresse o delle esigenze inespresse che potevano essere percepite direttamente al contatto diretto con il turista da un anno all’altro. 
Sottoposti al costante processo di eterodirezione del gruppo dei pari e alla civilizzazione quotidiana della comunicazione di massa, oggi, i turisti hanno acquisito una ridotta e controllata insoddisfazione permanente che induce ad una frequente trasformazione dei propri bisogni prevalenti e quindi una repentina tendenza decisionale. 
Una (ed anche più di una) “mano invisibile” ci guida, una educazione comunicativa occulta ci orienta e ci dirige dall’esterno verso forme di soddisfazione indotte. 
Soltanto quando davvero comprenderemo questi processi, quando cioè smetteremo di considerarli fantasiosi scenari di una trattazione enfatica, capiremo l’importanza economica della analisi qualitative sulle tendenze e sui comportamenti dei consumatori. 
Le ricerche sul mercato turistico sono abbastanza indicative. Se ne evince il diverso atteggiamento decisionale sulla tipologia della vacanza del turista negli ultimi anni. Il comfort e una soddisfacente qualità dei servizi orientano la clientela.
Il mercato nazionale e principalmente quello internazionale prediligono e, per certi versi, reclamano la qualità dell’offerta del prodotto turistico. Nella scelta della vacanza il cittadino internazionale medio tende ormai a soddisfare principalmente i suoi bisogni di autorealizzazione in un habitat di qualità, cerca una località identificata, piuttosto che semplicemente l’estetica dello spazio offerta da una inestimabile posizione geografica. 
La tendenza evolutiva è ormai, senza dubbio, verso sistemi urbani di qualità. E lo è, a maggior ragione, nelle località con una forte tensione storica, direi quasi con una introspezione culturale, come il nostro intero hinterland. 

Da noi, invece, domina, incontrastata l’inadeguatezza.
L’inadeguatezza urbana complessiva della “qualità offerta rispetto a quella domandata”, soprattutto nelle strutture ricettive, soprattutto negli alberghi, soprattutto quando “si scende dalle quattro alle tre stelle, o ancor più giù”, impedisce costantemente al settore turistico di trarre a pieno i benefici delle congiunture economiche favorevoli, impedisce di ottimizzare i trend economici.
Il nostro modello turistico, dunque, non è, non può essere, il consumo indiscriminato delle spiagge, l’invasione affollata e soffocante delle piazze, la confusione asfissiante delle strade. 
Il nostro modello turistico è, può essere, la fruizione del litorale, la socialità delle piazze, la percorribilità delle strade. 
Il nostro modello turistico non è, non può essere, la presenza del passante usa e getta. 
Il nostro modello turistico è, può essere, quello di una città internazionale, con servizi moderni, polo di riferimento di un hinterland geografico, con un ampio sistema di relazioni economiche, sociali e culturali.

Non si tratta naturalmente soltanto di un sogno o, diciamo così, di un obiettivo. Si tratta di una tendenza che, in quanto tale, non è raggiungibile in poco tempo. 
Né da soli. 
La gradualità è il metodo dei sistemi sociali complessi. 
Per la definizione limitata e finalizzata di un Piano Turistico Cittadino bisogna entrare nella logica del work in progress; cioè impiegarsi in un’attività costante, continuativa e coinvolgente, fatta anche di comportamenti invisibili e di rischi solitari, ma finalizzata alla costruzione del micro clima ambientale genetico d’imprenditoria diffusa. 
Il lavoro, nel mondo dei servizi, sembra un lavoro fatto di niente, perché spesso non si vede, perché è impalpabile, perché è la fiducia affidata all’aria e alle parole, cioè all’habitat e al sistema relazionale circostante. 
Ma è un lavoro che cambia la vita attorno a noi. 
E’ un lavoro che incide in modo determinante, qualificando o dequalificando, il livello del nostro scambio di vita quotidiano interno ed esterno: o, come diceva Simmel[2], le nostre relazioni differenziate o indifferenziate. 
Tra di noi, cittadini di una medesima città, si sviluppa un sistema di relazioni differenziate. Quando c’incontriamo ci riconosciamo, ci collochiamo all’interno di una precisa catalogazione sociale fatta per famiglie, professioni, attività. 
Ogni cittadino colloca il suo simile cittadino in uno spazio definito di cittadinanza. 
Con tutti i forestieri e quindi anche con il turista, che è una particolare tipologia di forestiero, noi sviluppiamo invece un sistema di relazioni indifferenziate, non lo riconosciamo, lo collochiamo nell’indistinta casistica degli ospiti. E ci comportiamo con loro con atteggiamento di distacco, spesso di supponenza, altre volte di larvata prepotenza.
Sennonché ogni singolo comportamento determina un effetto moltiplicatore irrefrenabile che incide direttamente sulla percezione complessiva dell’habitat urbano da parte del turista. Per imitazione o per rifiuto, l’ospite si adatta o ci lascia. Alla fine resta comunque soltanto colui che decide di adattarsi, contribuendo all’incremento dei comportamenti scomposti, per non dire incivili. Quando la somma dei comportamenti incivili supera un certo livello, anche qui, quando esce da un certo intervallo, si verifica un vero e proprio cambiamento di scala e, anche qui, il livello di sostenibilità della civiltà relazionale urbana accresce o riduce l’entropia della socialità civica, finché il sistema torna ad implodere o ad esplodere, favorendo il proliferare di una città confusa e spesso criminosa. Mentre la inequivocabile tendenza, volendo impropriamente circoscriverla al mero aspetto economico, è nella vendita di un prodotto qualificato, in una sorta di economia della civiltà.
E appunto questa in conclusione, una volta compreso che il concetto di sostenibilità dei sistemi urbani complessi è pervasivo (cioè che assorbe di sé ogni livello sociale), può essere una definizione di turismo: il mercato di scambio di economie della civiltà.

Da soli non si può far nulla.
Il concorso dei vari soggetti pubblici e privati, sociali, culturali, economici e politici è ormai determinante.
Lo sviluppo di un network, la evoluzione o la involuzione di una città è sempre la derivante di una molteplicità di fattori, la cui influenza è demandata al concorso di più competenze istituzionali e di vari soggetti economici e sociali.
Vi è ormai una decisa e per molti aspetti decisiva frammentazione del potere, positiva in termini di controllo democratico, ma sottoposta al rischio di deresponsabilizzazione dei decisori.
Per questo motivo, la formazione di una task force sul turismo, a cui partecipino tutti i soggetti responsabili, in una città di piccole e medie dimensioni, è un atto opportuno e necessario. Ormai i Sindaci governano comuni troppo grandi per i piccoli problemi e troppo piccoli per i grandi problemi. Spesso perdono l’iter amministrativo degli atti, a causa del diversità dei soggetti intercorrenti. Se, anziché organizzarsi esclusivamente con i propri assessorati, i Sindaci componessero comitati interamministrativi[3] per ognuno dei settori strategici delle loro città, si determinerebbe un rapporto operativo immediato tra i vari soggetti pubblici e privati interessati alla composizione degli atti ed alla evoluzione delle politiche. 
La capacità di interagire è la precondizione affinché la complessità dei fattori che compongono l’offerta turistica venga gestita con il minimo tasso di turbolenza. 
Il fatto che i Sindaci corrispondano fin dai primi mesi del loro insediamento a questa esigenza, permette di definire con maggiore razionalità l’ordine delle cose prevalenti e di aggredire con maggior frequenza i tanti punti di crisi del habitat urbano. 

Per i comuni come il nostro questa opportunità di affrontare in modo interdisciplinare il problema turistico è una esigenza.
La nostra città ha una valenza turistica globale. 
La nostra situazione ambientale, cioè, contiene tutte le caratteristiche e tutti i fattori turisticamente rilevanti, altrove soltanto singolarmente presenti. 
Tuttavia questa globalità della nostra valenza turistica, che potrebbe sembrare a prima vista come un insuperabile fattore di successo, nasconde fortissimi rischi di insuccesso e di degenerazione. 
Dietro l’apparente semplicità di un fenomeno con carattere di globalità, si cela, infatti, la complessità della sua gestione e del suo controllo. 
La globalità è un vortice in cui turbinano una infinità di occasioni e possibilità, una dimensione proteiforme di opportunità apparentemente libere da vincoli. E invece il rispetto dei vincoli, dei limiti, della sostenibilità del modello turistico è la competenza che ci si richiede ogni giorno. 
La enormità delle risorse di cui disponiamo impone una gestione tanto più oculata. 
Non è più la semplice concorrenza tra prezzi e servizi, l’elemento denotativo del valore turistico di un’area. Ben inteso: calmierare i prezzi in funzione dei servizi offerti è la condizione necessaria dello sviluppo, ma non è più la condizione sufficiente. 
Occorre ormai che il territorio intero, nella sua duplice accezione di habitat e di ambiente, venga gestito per innalzare il livello di qualità della vita. 
Il ciclo di vita delle località turistiche va rispettato, garantito, protetto. Perché il vero fattore di successo nella promozione turistica di una città o di un comprensorio, è proprio il sistema di vita offerto. È il livello di socialità delle relazioni urbane e il livello culturale della comunicazione a definire quasi automaticamente il segmento di mercato, ad individuare il target turistico da aggredire. 
Un basso livello di qualità della vita attrarrà flussi turistici di poco esigenti e predatori; viceversa, un alto livello di qualità della vita attrarrà un flusso turistico più esigente e stabile. 
Una politica promozionale avulsa dalla situazione ambientale di sfondo, è destinata al fallimento. 

È chiaro quindi che ogni atto imitativo, ogni esperienza che tenti di replicare situazioni altrove realizzate, è molto rischioso. Rischia di rappresentare un’immagine conformistica; rischia di proporre al mercato un’offerta standardizzata e spesso anonima.
L’omologazione delle politiche turistiche è la morte del turismo. Il nostro futuro è strettamente legato, direi compenetrato, alla unicità delle risorse ambientali e del patrimonio storico culturale. Ogni atteggiamento rapace nei confronti del turista, della città e di se stessi, ha un effetto moltiplicativo sul processo di dequalificazione della vita e dell’offerta. 
La civiltà dei comportamenti urbani è il lessico di qualsiasi discorso sul turismo. 

Bisogna aver coscienza della esigenza di redigere un Piano Turistico Cittadino, sulla base di un chiaro modello di sviluppo, fin dall’atto di insediamento di ogni nuova amministrazione cittadina. 
Tuttavia, affinché questo Piano funzionasse, come già ho detto, occorre che fosse sostenuto e realizzato con il consenso delle parti e dei cittadini. 
Questo consenso va costruito con una preventiva opera di sensibilizzazione sociale. Un’opera difficile e spesso anche dolorosa, che troppe volte ci sottopone alla sfiducia, allo scherno ed alla accusa di tanti. Ma un’opera che va comunque compiuta. 
Soltanto dopo si sarebbe potuto scegliere. 
Senza ampliare il fronte della discussione, non è possibile giungere ad un punto, cioè, di poter criticamente selezionare. Altrimenti si decide soltanto sulla base di pregiudizi personali, piuttosto che di giudizi collettivi. L’abitudine a confrontarsi aiuta a superare la sindrome della bottiglia nell’oceano della comunicazione. 
Nel villaggio globale dei network, per vincere, bisogna convincere. Come diceva appunto Pier Paolo Pasolini: “E’ nella città, non contro di essa, che bisogna cambiare la vita.[4]
E se non lo fanno i pubblici amministratori, chi lo fa?

Questo coraggio, la solitudine del riformista, è di chi decide per il rischio e per la presunzione di cambiare la vita nella propria città. 
Generoso di delusioni e di amarezza, tanto più forti in quanto le sente venire - o involontarie, o artatamente edificate - da un ambiente che invece dovrebbe accoglierlo, questo stato di solitudine che l’amministratore locale deve assumersi è una necessità civica ed anche pedagogica; un servizio che non tutti sono disponibili ad assolvere. 
Pochi invece, attratti dalla infantile visione del meglio, si dedicano a questa illusione, mischiando in un sentimento indistinto ideali e interessi, utopie e conteggi, abilità e contabilità, infausta tolleranza e feroce vendetta, amore, passione, trasgressione, azioni e degenerazioni di una costante e “diuturna fatica dell’ambizione personale[5]
E’ la provincia, con l’insuperabile portato di umanità e di barbarie che è il suo provincialismo. Ma la politica resiste, perché comunque la politica esiste. Quand’anche i cittadini non si occupassero di politica “sarebbe comunque la politica ad occuparsi di loro[6]

Otto von Bismarch, che non era propriamente un progressista o un innovatore, diceva che la politica è “l’arte del meglio che verrà[7]. Non già l’arte del possibile, ma l’arte della possibilità, la capacità cioè di produrre chance: quelle condizioni generali per il miglioramento della qualità complessiva di vita che noi possiamo preordinare. 
Questa è la consapevolezza che rende soli e solitari i riformisti: soggetti non adatti al conformismo della demagogia che, come sappiamo da Aristotele, è la peggiore forma di degenerazione di ogni democrazia.
So che è difficile, ma resto fermamente convinto che proprio e principalmente gli amministratori locali debbano assumersi la fatica di questi concetti. 
Il potere, diceva Bertrand Russell[8], sta alle scienze sociali come l’energia alla fisica. Con il potere e con l’energia possiamo costruire gratificanti ambienti di vita o terrificanti strumenti di morte. Possiamo decidere di trasformarci in genitori di livelli crescenti di civiltà democratica o in grandi despoti del micropotere locale. 
Se ci adopereremo nel semplice tentativo di moltiplicare i luoghi e le occasioni di confronto; provocatoriamente ed anche polemicamente; spesso con irruenza ma mai con astio; dove la differenza non sia distanza e l’unità non sia assimilazione; dove gli spazi comunicativi non siano oceani di solitudine; dove sia possibile capire e per farsi capire; noi riusciremo a produrre il meglio possibile per un prossimo domani che verrà. Lavorando, sempre e per sempre, con la città e mai contro di essa.
È un modo di vivere che ognuno, turista, ospite o autoctono, sente.


POLITICA TURISTICA LOCALE
ipotesi di Piano Turistico Cittadino


Ambiti                             Settori                            Progetti
Territorialità
Locale


Internazionale
·    Definizione di un hinterland
·    realizzazione di una società di commercializzazione e promozione del prodotto turistico

·    politica dei gemellaggi funzionale
·    costruzione di ostelli e di aree di internazionali
·    progetti U.E
·    Tourisnet Italia

Economicità
Target

Propensione  Consumo

Investimenti

             Ricerca
              Di
              Mercato     
            (medio periodo 5 anni)
          
Sostenibilità

Ambiente


Qualità:
Standard
Fruizione

    
Modernizzazioni
                 Infrastrutturali



                 Prestazioni          

Parchi            Socializzazione

Mare              Piano Spiaggia

Collina           Percorsi Turistici


Terracina City Card

Progetto delle 2P “Parallele
                                    Pedonali”
Rassegna manifestazioni culturali




Legge Alberghi Giubileo

Piano Viabilità    Interna
                               Esterna
                               Arredo Urbano

(disponibilità )    ENTE PORTO

(elasticità)           PIANO COMMERCIO

(innovatività)      TURISMATICA
·    tecnologia
·    rete
·    formazione

 ooo/ooo

[1] Reisman David, LA FOLLA SOLITARIA, Il Mulino, Bologna 19 
[2] Simmel Georg 
[3] anche utilizzando le stesse Commissioni Consliari 
[4] Pasolini Pier Paolo,il sogno del centauro, Editori Riuniti, Roma, ottobre 1993. 
[5] Yourcenaur Magaret, LE MEMORIE DI ADRIANO, Einaudi 
[6] Come diceva Pietro Nenni, e come già abbiamo altrove discusso. 
[8] Russell Bertrand, IL POTERE, Feltrinelli, Milano 199 




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