IL FUTURO E' PASSATO





L’obiezione sulla nomina a Premier del prof. Conte non può essere circoscritta alla banalità di un curriculum falsificato. Questo fa parte della miseria e della ambizione degli umani. Il curriculum poi è sempre una forma di auto celebrazione. Qualcuno lo usa per la sua santificazione. In questo caso, la leggera falsità, il piccolo equivoco, la dichiarazione poco chiara, l’imbroglio è funzionale alla propria esaltazione. Non è nemmeno vera e propria falsità, è una quasi verità funzionale anche alla propria gratificazione. Anche perché, rispetto alla nomina ricevuta, se un candidato ha frequentato o meno una università americana per una specializzazione, non interessa assolutamente a nessuno. In una democrazia ciò che conta non è il titolo universitario, occorre che il premier sia votato. Questo naturalmente non vale solo per Lui. Nessuno dei Premier che lo hanno preceduto è stato votato dal popolo italiano. Il nostro sistema politico prevede che il Premier sia nominato dal Presidente della Repubblica e votato dal Parlamento. È valso per tutti. Vale anche per Lui.
Ciò che preoccupa davvero, invece, è che la scelta sia caduta su un soggetto appartenere alla migliore nomenclatura, all’apparato tecnocratico che a vario titolo (come burocrazia o come managment o come esperti) ha finora fruito e usufruito del potere. Un tecnico che non costituisce certamente l’espressione di un cambiamento, ma la silenziosa, occultata perenne partecipazione agli entourage del potere, siano quelli di Renzi e della Boschi, siano quelli del Vaticano, il più forte potere occulto della storia d’Italia.
Ancora un tecnico.
La difesa a questa obiezione, che non riguarda il Premier ma la struttura elettorale e costituzionale italiana, la difesa banale e sprezzante, è che la nomina è politica in quanto il governo verrà eletto in Parlamento dai partiti votati dai cittadini.
Perché il governo Monti da chi fu eletto?
Tutti i governi sono che si sono succeduti nella storia repubblicana sono stati eletti dal Parlamento, sempre composto da partiti, sempre votati dai cittadini.
La differenza non fa alcuna differenza.
Niente di nuovo sotto il sole.

Dunque siamo sempre allo stesso punto: i partiti che nominano un premier con competenza tecnica e mediatica possibile, che sia garanzia degli equilibri necessari al loro reciproco potere.
Le vecchie condizioni porteranno inevitabilmente alle vecchie soluzioni.
In politica, se non cambiano le condizioni non cambiano nemmeno le soluzioni.
Non c’è niente di più usuale e ricorrente della vecchia egocentrica affermazione che il nuovo si possa realizzare senza alcun cambiamento. Il termine che definisce questa esaltazione della propria innovazione dentro procedure vecchie è uno solo: mistificazione. So che le aspettative di molti tendono a rifiutarlo, ma sempre di una mistificazione si tratta. Tutta la grande prospettiva di mondo nuovo portata avanti da Grillo in questi anni, si riduce alla contabilità ragionieristica affidata al prof. Conte. Una noia mostruosa.

Tuttavia c’è qualcosa di profondo ed estremamente preoccupante nelle proposte politiche presentate. A parte quelle sbarellate elettoralistiche che l’azione di governo provvederà a smentire con la solita tecnica: prima si allungheranno i tempi, poi si accuseranno gli altri, infine si cambieranno i significati attribuendo a micro decisioni il senso intero delle soluzioni propagandate. A parte questo, resta la preoccupazione democratica sul potere esorbitante della partitocrazia nella incostituzionale pretesa di imporre il vincolo di mandato. È la più drammatica espressione della partitocrazia e del potere discrezionale di nomina politica. I Parlamentari, né in quanto rappresentazione delle istituzioni, né in quanto rappresentanti dei cittadini, non esisterebbero più. Esisterebbero soltanto i partiti senza un effettivo controllo democratico. Torniamo indietro, molto indietro. Il Parlamento torna ad essere, come diceva Mussolini, una “Aula sorda e grigia”, come “bivacco di manipoli”.
Forse non si farà perché necessita di una riforma costituzionale e non ci sono i numeri. L’averlo soltanto pensato, però, mette decisamente la democrazia in pericolo ancora. Questo pericolo, questo comportamento estremizzato dopo la nomina dei parlamentari mposta dai partiti, è, come sospettavamo, l’effetto diretto di una legge elettorale totalmente costruita per precostituire gli esiti, anche se i calcoli sono stati fatti malissimo. In ogni caso, per quanto sgangherata è la minaccia, profonda e devastante, della democrazia.
Che cosa pensa l’illustre giurista?
Difenderà i cittadini italiani dal potere esorbitante di partiti autoreferenziali che vogliono assorbire l’intera rappresentanza ed eliminare definitivamente il libero rapporto tra eletti ed elettori? Difenderà i cittadini italiani o gli apparati di potere che vogliono affidare alla loro nomenclatura il potere di etero direzione degli eletti e il controllo esterno dei parlamentari? Ancora una volta degli istituti privati piegheranno ai loro interessi e ai loro voleri le istituzioni pubbliche?
Naturalmente non potrà dire nulla per non perdere il posto.
E anche in questo non c’è niente di nuovo. Non si tratta di essere terza Repubblica. Possiamo dire che è la terza volta che si prova a fare la repubblica. I nuovi capi sono portatori di un vecchio messaggio continuamente proposto: tutto è giusto e legittimo se sono io a farlo. La politica però non è fatta di singoli atti, ma da processi; e chi ha messo in piedi questo processo di autodistruzione propria e della democrazia è responsabile almeno quanto colui che oggi se ne avvantaggia. Proprio come sospettavamo.
Il dramma di tutto questo è che il futuro che ci aspetta è come il passato che abbiamo vissuto. Siamo preda di chi fa sempre le stesse cose, sperando sempre che le cose cambino.  


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