TURISMO: SAGGIO DI POLITICA LOCALE 2.a)


Turismo
Una esperienza mediterranea
anno 1998
2 - …il paradigma di riferimento
   (ovvero: la connotazione situazionale)
2.a) vocazione e valenza


Parlare è assoggettarsi: la lingua è una reazione generalizzata
 Umberto Eco                                   


Questa della scelta assente è stata la nostra storia ed è in gran parte è ancora la nostra cronaca quotidiana. 
Da questa stessa consapevolezza siamo stati condotti, molti anni fa, quando assumemmo la presidenza della locale Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. Noi (io personalmente con il Consiglio di Amministrazione per intero), ci siamo posti il problema della sensibilizzazione sociale sulle scelte di politica turistica della città. 
La nuova dirigenza di questo minuscolo Ente, formalmente delegato soltanto alla promozione, alla informazione ed alla accoglienza del turista, ha voluto aprire un varco dentro le argomentazioni sedimentate. Contro i luoghi comuni della comunicazione cittadina abbiamo cercato il confronto la possibilità e l’opportunità di una valutazione che fosse il frutto di un’analisi. 
Abbiamo svolto una funzione precisa, talvolta provocatoria, ma utile, ritengo, ad affrontare i problemi veri della nostra politica di sviluppo turistico. Abbiamo assunto dei rischi e molti ne abbiamo subiti. Ma nessuno può seriamente sostenere di non aver trovato disponibilità, una volta varcato il cancello della nostra bella sede. Ci ha animato quella consapevolezza, quella ferma consapevolezza che occorresse uno spazio per chi volesse semplicemente contribuire; poiché oggi viviamo in un’epoca in cui la socialità non può più essere una situazione apparente, ma una condizione permanente di partecipazione diffusa. 
In un certo senso, l’apertura al pubblico del “Parco Chezzi”, è stato il simbolo di questa determinazione. 

In qualche modo il nostro sforzo è stato premiato. 
Indubbiamente, negli anni in cui abbiamo amministrato, si è diffusa in città una inusitata attenzione turistica[1], direi quasi una coscienza, che è stata spenta negli anni successivi e che non si estende più alla miriade dei micro comportamenti individuali. Oggi, infatti, si viene aggrediti soltanto alla presentazione di una qualsiasi ipotesi sperimentale, soltanto ad una semplice idea innovativa; come sa bene colui che mira, ad esempio, a pedonalizzare una parte, seppur circoscritta, della propria città. 
per migliorare la qualità della vita della nostra città è indispensabile, invece, adottare una metodologia di sperimentazione graduale e critica della utilizzazione degli spazi urbani. 
dobbiamo di nuovo passare, dopo 20 anni di assoluta stasi, dalla osservazione alla partecipazione; ed in questo passaggio abbiamo auspicato, ad esempio, che le manifestazioni cittadine non fossero soltanto un rito, la artefatta comunicazione di ogni pseudo evento, ma uno scambio culturale vero in cui la città potesse scoprire o riscoprire gli elementi della sua unità e della sua unicità. 
D’altronde la identificazione dei cittadini con i luoghi ove bruciano le loro esperienze avviene con forme di comunicazione empatica, cioè non necessariamente verbali. 
Le manifestazioni culturali e ricreative possono assumere questo duplice ruolo: una funzione interna alla città, nel sistema delle relazioni differenziate, di riappropriazione dei significati che i luoghi identificano[2]; una prestazione verso l’esterno della città, nel sistema delle relazioni indifferenziate, di attrazione e di qualificazione del target[3]
In ogni caso, dal punto di vista metodologico, le manifestazioni culturali e ricreative rappresentano una vera e propria tecnica di sperimentazione; la più piacevole tecnica di sperimentazione di alcune soluzioni alternative nella organizzazione della città. 
Infatti, sono questi eventi che devono regalare emozioni. 

Le emozioni si estendono ai luoghi che le ospitano; producono dei significati che riempiono le cose e le case, le strade e le piazze. Ognuno si lega a un nome. Questo nome disegna un luogo, la indissolubile bellezza dell’aria, un panorama, il mite temperamento del clima, una storia. E nella storia si scopre la intricata ed intrigante maglia dei destini umani, le speranze insoddisfatte, i sogni delusi di coloro che si sono incrociati addosso a un portone, all’angolo di un vicolo, su ogni selciato. Le orme degli uomini segnano gli spazi e ne fanno dei luoghi. 
Nel frattempo noi assumiamo la responsabilità di rendere giustizia al valore ambientale e culturale della vita urbana. Costruiamo delle mappe che ci guidano dentro i monumenti o attraverso la natura. Le manifestazioni culturali e promozionali sono esperienze ed esperimenti, amici cordiali che ci consigliano verso dove girare, quale posto frequentare, in quale terrazza sostare. 
L’esperienza è una voce sottile che da significato alle cose. 
L’esperimento è una esercitazione amministrativa che ci aiuta a fruire meglio della nostra città. L’esperimento è un esercizio che ci permette di testare ipotesi e soluzioni, che aiuta a decidere se proseguire o meno in quella direzione, quanto sia opportuno insistere su quella decisione, o se piuttosto modificare o trasformare una determinata soluzione, se cambiare definitivamente la scelta per una, altra e alternativa. Noi possiamo, in questo modo, agire sulla base di una metodologia critica. E governiamo, senza eccessivi traumi, la transizione di un luogo da "spazio attrezzato" ad un "luogo identificato". 

Dunque, la sperimentazione serve a testare la funzionalità dei codici identificativi di ogni area: se siano attivabili per una politica turistica attrattiva del predefinito target, o se non lo siano e, allora, se convenga o meno lasciare quello spazio alla efficienza dei suoi servizi. 
In questo modo la sperimentazione copre un gap; il vuoto della transizione da vocazione a valenza: perché, appunto, la sperimentazione non è un tentativo, ma un esperimento. 
Il tentativo è il frutto di una intuizione. 
L’esperimento è il primo atto di un progetto. 
Un tentativo trasmette una sensazione di incertezza e titubanza decisionale. 
Un esperimento, invece, deve essere necessariamente circoscritto in un limitato intervallo di tempo, perché indica un percorso e sgretola l’invisibile muro della indifferenza. La sperimentazione, specie se rivolta a una politica di identificazione degli spazi urbani, richiede ai cittadini la conoscenza dello schema progettuale di riferimento, impone una nostra valutazione ed eventualmente induce a una nostra partecipazione diretta. Non è possibile, infatti, passare da un generico spazio, per quanto ben servito, ad un luogo identificato in termini storici e culturali, senza una acquisizione cognitiva dell’habitat. 

La differenza tra vocazione e valenza turistica di una località, su cui ho tanto insistito negli anni, sta tutta qui. E non si tratta di un puntiglio accademico. Si tratta dell’ottica in cui ci si colloca per decodificare i segni e i significati di una località. 
In termini di comunicazione promozionale, per esempio, questa differenza “fa la differenza”. Non esiste una attività di promozione turistica qualificata[4] che non sia anche identificata. Ogni strumento comunicativo deve connotare i caratteri iconici dell’habitat di riferimento. 
La vocazione turistica vale per ogni spazio che abbia elementi attrattivi standard per il mercato. 
La valenza turistica si riferisce direttamente al connotato identificativo del luogo, ciò che fa di quel posto il posto di fruizione della estetica della vacanza e di soddisfazione dei propri bisogni di appartenenza e di autorealizzazione. 
La vocazione turistica è il carattere di ogni determinato spazio. 
La valenza turistica è il connotato di ogni luogo identificato. 
Naturalmente la questione non attiene soltanto alternative forme di pubblicità. La questione riguarda principalmente la tipologia di relazioni che si determinano interne all’habitat urbano, tra i cittadini stessi. 
Insistere sulla vocazione turistica significa gestire, possibilmente senza troppe interferenze, anche se ad un alto livello di efficienza, l’esistente. 
Mettersi, viceversa, nell’ottica della valenza turistica significa favorire ogni interazione comunicativa, nelle varie forme in cui si manifesta, tra i molteplici e differenziati soggetti sociali della città. 
La vocazione turistica induce a massimizzare gli scambi. 
La valenza turistica impone di ottimizzare le relazioni sociali. 
In ogni caso, almeno, ancora oggi è possibile, per la nostra città, sperimentare questa transizione, senza eccessivi traumi. 
A noi è stato offerto questo privilegio, anche se forse lo abbiamo male utilizzato; forse lo abbiamo consumato principalmente all’inseguimento di una serie ricorrente di tentativi piuttosto che alla predisposizione di un programma finalizzato di esperimenti. 
Molti anni fa, noi siamo stati fortunati, perché abbiamo avuto la possibilità di vivere questa esperienza. Per quanto minuscolo fosse il nostro Ente, per quanto limitata nello spazio e circoscritta nel tempo sia stata la nostra azione, per quanta carenza vi sia stata nelle risorse da investire, noi il privilegio di vivere i vincoli e le possibilità, i pregi e i difetti di una sperimentazione, lo abbiamo avuto. E abbiamo compreso quanto ampio sia il pericolo di ogni tentativo. Può anche riuscire, ma non si sa bene il perché. Allora avevamo un progetto di città. Poi si è proceduto a tentoni, senza un punto di riferimento generale e per approssimazioni successive. Fino a finire a prendere ciò che capita e a fare della nostra città il ricettacolo del nulla.

Il metodo tentativo/errore, che funziona nella ricerca scientifica, nell’amministrazione cittadina è rischioso, richiede coerenza e fermezza, direi determinazione, nella decisione politica. Sennonché questa determinazione non è conveniente per i politici locali. In certi momenti li espone, ne minaccia il consenso. L’errore eventuale e probabile produce una insoddisfazione così violenta da far dimenticare i buoni propositi del tentativo. 
Sottoposti alla pressione quotidiana della polemica e della convenienza di pochi agitatori sociali, al micro interesse di piccoli e tenaci gruppi di pressione cittadina, timorosi di perdere il loro clientelare rapporto con qualche quartiere, i politici locali cedono. Per mantenere la supremazia di personaggio sociale, perdono l’egemonia della propria personalità politica. E l’esperimento viene rapidamente ricondotto alla sua innaturale e degenerata condizione di tentativo. 
Praticamente non c’è tempo. 
Invece, in primo luogo, ogni sperimentazione deve restare circoscritta in un definito intervallo di tempo. Altrimenti rischia di procurare più danni, in termini di comportamento collettivo e di incisività dei gruppi di pressione, dei vantaggi a cui aspira. 
Ripeto: è necessario che ogni esperimento resti circoscritto in un preciso intervallo di tempo. Altrimenti il metodo trasborda e divora anche il suo obiettivo. Parafrasando Machiavelli, il mezzo snatura il fine. 
I pregi sono stati che, per molte scelte compiute, come per esempio per la pedonalizzazione, dopo un periodo di forte diffidenza e di tenace ostruzionismo, abbiamo avuto una schiera di tifosi proclamati, spesso anche con qualche esagerazione. Ciò che conta tuttavia è che la città abbia compreso il bisogno di procedere per fasi sperimentali, agire work in progress
I difetti non sono stati numerosi. O forse ne abbiamo veramente compiuto uno solo, ma è stato, in ogni caso, maggiore e peggiore di quanto avremmo potuto immaginare. 
L’intervallo della sperimentazione non deve mai essere troppo ampio. Rischia che non se ne riconoscano più i confini. Troppo a lungo non può durare l’incertezza. Questa dilatazione della fase sperimentale può generare un vuoto nel processo cognitivo della città, lasciando spazio a giudizi e pregiudizi improvvisati ed umorali. Più di tutto però la totale incertezza e confusione sulla durata degli esperimenti può aprire ai gruppi di pressione cittadina. Così i decisori, gli amministratori, possono essere sottoposti alla spinta mirata di alcuni soggetti economici e politici auto organizzati. Intuita la possibilità di interdire e di condizionare, alcune tradizionali lobbie di paese, i signorotti di sempre e i notabili di tutte le province, hanno rapidamente possono produrre una contestazione artificiale e artificiosa, artatamente pubblicizzata per indurre decisioni alternative a loro maggiormente gradite. Per ottenere un consenso clientelare, ma anche più semplicemente per dormire sonni tranquilli, i politici locali tendono a cedere. A quel punto il metodo salta. Il provvisorio diventa definitivo. L’utilità e l’opportunismo del ricatto politico diventano il criterio di comportamento prevalente in quasi tutti i settori della vita amministrativa, dalla firma di una ordinanza alla composizione della Giunta. 
La debolezza dei decisori è il vero elemento di instabilità di ogni organizzazione. La mediazione, la santa mediazione nazionale a cui si tenta, con molta ipocrisia e qualche menzogna, di attribuire l’essenza della politica, snatura il valore progettuale di un esperimento. 
Ma questo è probabilmente un altro discorso. 

Nonostante i limiti e i naturali errori, però, molte cose possono restare patrimonio di una coscienza collettiva ben più ampia. 
Del concetto di FRUIZIONE si aveva soltanto una vaga intuizione. Dopo le vissute esperienze[5] sappiamo, abbiamo fisicamente constatato, quale effettivamente sia la differenza tra un’area invasa e consumata, o un’altra invece fruita e goduta. Sui contenuti, anche se non ancora sui comportamenti, siamo cresciuti tutti, siamo cresciuti in modo collettivo e non sempre insieme. 

Resta una nuova condizione generale. 
In ogni loro settore le nostre città si sono aperte, mentre Terracina si è chiusa in una autarchia culturale di nuovo tipo. 
Negli ultimi tempi si è ripristinato un rapporto più libero tra amministratori ed amministrati. È come se fossero caduti improvvisamente i freni inibitori del potere. Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione i cittadini hanno ri-frequentato i canali della comunicazione democratica entro cui passa il confronto e da cui scaturiscono le scelte, le decisioni e le azioni. 
Ma i sistemi di comunicazione vanno alimentati e selezionati dagli stessi comunicatori. crescono in base al comportamento comunicativo degli stessi utenti. la comunicazione democratica è autogoverno, o non è. 
Altrimenti diventano degli oceani che circondano scogli di solitudine intellettuale, isole di tentativi occasionali e labili, che raccolgo i messaggi disperati lanciati in bottiglie tecnologiche ugualmente chiuse. Perché è dentro il sistema di comunicazione che si disegna la politica di una comunità. E c’è un momento in cui il confronto deve diventare serrato e definitivo; un momento in cui i decisori accelerano il ritmo dei loro argomenti; discutono in modo evidente e controllabile; si assumono le dovute responsabilità nei confronti della cronaca quotidiana e della storia delle loro città; propongono i progetti di breve, medio e lungo periodo; e sostengono le proprie idee dinanzi a chi vorrà partecipare o soltanto giudicare. 


ooo/ooo



[1] Devo dire che le posizioni del parlamentare eletto nella nostra circoscrizione elettorale hanno molto spento i miei entusiasmi. L’On. Maria Burani infatti sostiene che  il turismo andava bene trenta anni fa” in Economia & Città, Terracina, Anno III, n.22 – febbraio 1998.
[2] Riorientamento Gestaltico
[3] Trasformazione della Struttura della Domanda
[4] cioè mirata a precostituiti indici di qualità.
[5]  valgano ad esempio i casi di Viale della  Vittoria e di via Roma.

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