ATTRAZIONE EUROPEA



il processo di democratizzazione endogena 


Alessandro Ceci                                                                             venticinqueagostoduemiladiciannove


Nonostante la letteratura della catastrofe che imperversa tra europeisti ed anti-europeisti, io continuo a considerare lo sviluppo del continente europeo, forse l’unico in migliore sintonia con le mutazioni del modo. 
A differenza di molti, quasi di tutti, considero l’Europa, non in una fase involutiva, ma in una lenta fase evolutiva. 
Per dirla in altri termini, al di là di quel che sembra, l’Europa va sempre meglio. 

So che può apparire una eresia a molti esperti analisti, ma non lo è affatto. 
Prendiamo questa affermazione di Angelo Panebianco: “I cambiamenti geopolitici in atto, e i conseguenti effetti sulle istituzioni politiche ed economiche occidentali, hanno anche una importante «coda», un’ulteriore conseguenza non intenzionale: determinano cioè una drammatica perdita di attrazione o, se si preferisce, una drastica riduzione della capacità degli ideali democratici occidentali di influenzare atteggiamenti e comportamenti nel resto del mondo[1]

Una “drammatica perdita di attrazione”? Eppure, lo stesso Panebianco, poco prima aveva sostenuto che uno dei due fattori di crisi dell’Unione Europea “è costituito dal forte e improvviso aumento, per effetto della nuova instabilità mediorientale (…) dei flussi Migratori dal Medio Oriente e dall’Africa sub sahariana[2]
Ma perché tutti questi migranti non vanno in Russia o in Cina, nuove potenze emergenti assieme alla “India, forse anche Brasile, Indonesia, Sud Africa[3], visto che nel mondo si assiste “alla crescente attrattiva delle politiche delle potenze autoritarie[4] che “ridefiniscono a svantaggio dell’Ovest le linee di influenza, lo penalizzano nei giochi di potere su scala globale[5]
Misteri della fede.
Dico io: se i cittadini in fuga arrivano quasi esclusivamente in Europa, qualche attrattiva, l’Europa, la deve pur esercitare. 

Non so cosa si intenda per attrattiva. 
Forse ci si riferisce alle grandi imprese, ai grandi player economici internazionali. Anche in questo caso, tuttavia, non credo che le sedi delle prime 10 o 100 grandi imprese internazionali siano in Russia, Cina, India forse anche in Brasile, Indonesia o in Sud Africa dove si fanno i giochi di potere su scala globale a cui l’Europa non parteciperebbe. 

Purtroppo, gli eventi politici, specie quelli continentali, vanno giudicati in un arco temporale lungo, dalla storia piuttosto che dalla cronaca quotidiana. E sul piano storico, ciò che sta avvenendo in Europa è per me chiarissimo. 
Riporto, per comodità, quanto scritto in un libro di qualche anno fa: “Ebbene, come vedremo meglio, che l’Europa sia l’unica piattaforma che ha conquistato territorio senza nemmeno una guerra, ma sulla libera adesione di popoli e nazioni. L’Europa ha esercitato una governance che ha permesso la sua espansione continentale senza mai guerreggiare, mentre altri sono incastrati, emarginandosi, in micro conflitti assolutamente marginali[6]. E questo è avvenuto, grazie all’Euro, che Panebianco giudica, giusto per dire, “una trappola per topi”. Una trappola che fa della Croazia uno Stato in pieno sviluppo e della Serbia uno Stato in crescita rallentata. L’Euro è una trappola per chi non lo rispetta, anche perché essere trasformati in topi non credo sia una grande ambizioni per i colti cittadini europei. 

Ho l’impressione che siamo noi da riformare, il nostro sguardo da riorientare. 
Siamo ancora drogati da una idea di Stato ottocentesco, dalla illusione di Westfalia, e non riusciamo a vedere le nuove condizioni di sviluppo dei network democratici contemporanei. 

La politica delle nuove piattaforme continentali di nazionalità è dettata da una integrazione tra strategie di governance e strutture di governo. La crisi emerge laddove governance e governo sono scisse, dove si genera un vuoto politico nella gestione governativa della governance

L’Europa ha la più grande governance del mondo moderno. Per quanta forza militare, egemonia o supremazia politica possono avere tutti gli altri, è con la governance che si gestisce la propensione al consumo, è con la governance che si diventa influenti nel mondo moderno. Non serve una Carta Costituzionale per fare uno Stato. Servono politiche di governo che siano simbiotiche alla governance. Da questo punto di vista, anche la presenza polemica (per quanto ridicola) dei populisti e dei sovranisti, favorisce il processo di politicizzazione europea perché per la prima volta lo scontro è più sulle idee che sui territori, più sulla natura politica dell’Unione che sui suoi confini. 

L’Europa, con la sua governance che certamente deve migliorare e con il suo governo che certamente deve migliorare, è tuttavia perfettamente attrezzata per il nuovo mondo: molto di più dei suoi concorrenti continentali, ormai rallentati da strutture statali e politiche ottocentesche. Mi sembrano i generali di Mussolini, che conquistavano il deserto per supremazia politica, ignari che sotto ci fosse il petrolio. Il nuovo petrolio è la gestione della propensione al consumo tramite la comunicazione nella società in senso lato e l’Europa è perfettamente attrezzata. 

Se attrazione è il prodotto di un processo di comunicazione, l’attrazione europea è forte, fortissima; anche se riguarda più i cittadini che l’establishment. 

Mi chiederete dove sta il deficit? 

Il deficit sta, dentro la comunicazione. E in questo concordo con Panebianco quando lamenta la “drastica riduzione della capacità degli ideali democratici occidentali”. Nella forte comunicazione europea è totalmente assente una discussione, Rorty direbbe “narrazione”, sulla nuova democrazia dei network (non dei sistemi, delle società o delle comunità che invece abbiamo abbondantemente). 

La democrazia nell’epoca dei network deve essere ridefinita, addirittura rielaborata. 

Questa è la vera esigenza europea. 
Basti pensare che una didattica europea non c’è, non c’è la scuola europea ma soltanto un riconoscimento dei titoli statali. C’è anzi il tentativo medievale di qualcuno di realizzare una scuola regionale. 
Non c’è una politica fiscale europea né un metodo elettorale comune europeo. 
Non c’è nessuno dei 3 fattori morfologici dei network politici: il fattore fiscale (i soldi), il fattore elettorale (gli uomini), il fattore culturale (le idee). 
E non c’è nessuno dei 3 fattori morfologici perché ancora non si è capito che, nella società dei network la democrazia è qualificata dalle connessioni e non solo dai poli, dalla governance e non solo dal governo: perché, come diceva Hannah Arendt, in modo assolutamente lungimirante, nel mondo dei network: “la politica nasce nell’infra e si afferma come relazione[7]

ooo/ooo


[1] PANEBIANCO Angelo, L’Europa sospesa tra Occidente ed Oriente, in PANEBIANCO A. BELARDINELLI S., All’alba di un mondo nuovo, Il Mulino, Bologna 2019, pag. 50 
[2] PANEBIANCO A., cit. 2019, pag..44 
[3] PANEBIANCO A., cit. 2019, pag..44 
[4] PANEBIANCO A., cit. 2019, pag.. 51 
[5] PANEBIANCO A., cit. 2019, pag..51 
[6] Calvi M., CECI A., CECI E, Stateless. Piattaforme continentali di nazionalità. Nuovi scenari globali della geopolitica. Ibiskos, Empoli 2016, pag. 82 
[7] ARENDT Hannah, Che cosa è la politica, Comunità, Milano 1995, pagg. 7-8

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