LA VENDETTA POLITICA DELLA IGNORANZA

Francamente?
Francamente non credo che la miriade di comportamenti bullistici di questi anni: che diffondono presuntuosamente ignoranza e stupidità; che imperversano nella comunicazione sociale e politica , dai leader nazionali agli insultatori seriali sui social network; che gioiscono della riduzione dei laureati, della eliminazione dei vaccini, della emarginazione delle donne e della punizione degli immigrati; che credono nella terra piatta e vorrebbero, in retromarcia, tornare al medioevo; non credo francamente che siano il prodotto di un malessere collettivo dettato dall’imperversare della crisi economica e dalle mancate risposte alle aspettative elettorali deluse e deludenti. 

Credo francamente che si tratti della classica vendetta che rapisce le emozioni e i pensieri di chi ha sedimentato in silenzio l’odio contro l’affermazione degli altri, la ragione e, di più, contro il ragionamento. 

Non è più nemmeno una crisi di aspettative. 
Si tratta di una crisi di aspirazioni.

Non sono più classi subalterne che fanno sentire la loro voce a causa del disagio sociale ed economico. La prima generazione di immigrati è quella che confligge meno. Quando uno arriva ad un paese per fortuna e trova un alloggio o un lavoro di fortuna, tende a restare invisibile, come la miriade di indiani sfruttati nella coltivazione dei nostri campi. Compaiono come fantasmi di notte lungo le strade padane o pontine. Invisibili. Poco conflittuali. Silenziosi. 

Il bullismo degli ultimi anni non è delle classi subalterne. È dei ceti sociali subordinati, che magari raggiungono il potere per una platea insoddisfatta e radicalizzata, applaudente perché impaurita. Non è malessere. È vendetta. 

Li vedi sbraitare ad un qualsiasi talk-show, scrivere post aggressivi e offensivi. Mostrano, senza mai dimostrare, la loro assoluta mutante verità. Al prossimo talk show, con la stessa indelebile veemenza, li senti urlare alla stessa maniera cercando di imporre con i toni della voce e l’aggressione oratoria slogan opposti a quelli che poco prima, in un altro programma, avevano sbraitato. 
Esercitano la vendetta di chi si sente inadeguato. 
Lo avevo intuito sempre, ma l’ho razionalizzato oggi. Dopo aver letto un post assurdo di un influente senatore italiano che, dopo aver sobbalzato di qua e di là nel panorama politico italiano, sempre urlando e dissacrando, continua anche ora che ha finalmente raggiunto il potere. Gioiva del fatto che finalmente i laureati sono di meno di cinquantamila e il carrozzone universitario può essere distrutto[1]

Mentre girovagavo per la mia accogliente e, forse (speriamo di no), obsoleta libreria ho ritrovato un libro che qualche hanno fa è stato pubblicato in Italia. Allora non mi sembrava ma oggi lo considero un libro molto importante. È un romanzo e in molti lo abbiamo sottovalutato. Il libro, di Djlan Philip e intitolato, appunto, VENDETTA[2], merita di essere ridiscusso per le implicazioni che comporta. È un romanzo, ripeto. Racconta in modo glocale, cioè descrive un microcosmo con dinamiche universali, la vita dei ceti agiati francesi, non edulcorata dal buon pensiero della comodità. Si tratta di una vita violenta, dove tutti sono arrabbiati, scontenti. Eppure hanno successo e ottengono agiatezze. Tuttavia quel benessere è soltanto apparente. Ogni generazione, vecchi e giovani, ogni categoria, ricchi e poveri, ogni classe, operai, impiegati e imprenditori, ogni ceto, politici e cittadini, si lamentano, si irritano, si innervosiscono, “sono ugualmente, normalmente scontenti e distruttivi, autodistruttivi, cattivi”. Ogni cosa può essere distrutta, specie se non è stata ottenuta. Prima di tutto l’istruzione, sia essa familiare o scolastica, universitaria o specialistica. Ciascuno si porta dietro le reminiscenze dei suoi fallimenti, di ciò che non ha ottenuto, delle ambizioni tradite, delle aspirazioni deluse. E di quelle che sanno di non poter avere, l’assenza di speranza che educa i giovani ad una falsa ingenuità, ad una astuzia perversa. Fallimenti reali e potenziali che necessitano di giustificazioni di autodifesa, ossessive ripetizioni acritiche. Una barriera che nasconde, non solo paura e solitudine, ma egoistica autogustificazione. Vendetta. Bande e gruppi che confondono la socialità con l’appartenenza, e che esercitano un violenza riparatoria di sé, tutti nei confronti di tutti, che atterriscono per la possibile critica quindi si chiudono contro ogni altro, senza equilibrio, e si vendicano preventivamente. Una smania di distruzione che li rende, alla fine assenti. Una aggressività ’insopportabile. Ma non è niente altro che l’endemico simbolo della propria incapacità, della coscienza acuta di aver sbagliato, e una reiterata vendetta difensiva. L’egoismo vivo nella nostra società della comunicazione è un disperato tentativo di superare la percezione della propria inadeguatezza, con parole e comportamenti, un modo per vendicarsi di se stessi e degli altri che, credi, ti considerino minore in qualcosa. Addirittura insignificanti. “Tutti ugualmente egoisti e ugualmente normali, tutti scontenti e nessuno che perdona niente a nessuno.” 

Oggi, abbiamo bisogno di una democrazia che non c’è. Una democrazia che emargina la vendetta alle opinioni e alla rivendicazione impolitica. Una democrazia della comunicazione che deve sfuggire alla sindrome di Zelig la formica, contro la lotta egoistica nel localismo, contro il provincialismo, addirittura individualismo. 

Per questo abbiamo bisogno di istituti e istituzioni all’altezza dei tempi; abbiamo bisogno di istituti e istituzioni che non facciamo in modo che tutto viva. E la vita non si vendica: perché alla fine però, anche questa vendetta che s'incunea e si diffonde nella “folla solitaria” della società della comunicazione è un modo per incrociare le proprie esistenze. Magari mal sopportandosi, facendosi del male, ma non possiamo eliminare l’habitat in cui viviamo. 

Nella società della comunicazione parole nuove e slogan producono emozioni, comunque un immaginario collettivo e quindi un probabile consenso. 

Matrix c’è: ed è la minaccia democratica della comunicazione perché, come dice la bella canzone di Caparezza, “nell’età dei figuranti ci sono molti re e pochi fanti”. Re onnipresenti, come il caso di ogni Presidente italiano, che segue ogni evento da lontano. Ed esercitala sua vendetta inutile. 

Inutile?

Certo, perché: nella vita si può essere presidenti, ricchi, forti e addirittura unici, ma quando si offende la dignità degli altri non si è niente. 


ooo/ooo

[1] https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10218961687023046&set=a.1063204270236&type=3&theater
[2] DEJIAN Philippe, Vendetta, Voland, Roma 2011

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