I REATI FAMILIARI E LA FAMILIARITA' DEL REATO



Alessandro Ceci 

abstract: nel momento della mutazioni da un’epoca storica ad un’altra istituti e istituzioni cadono o in desuetudine o in destabilizzazione, diventano incubatori di ritiro sociale o violenza, le due forme della emarginazione. Non fa eccezione la famiglia, che perde il suo significato e il suo ruolo di educazione alla socialità. Violenza rimbalza fino a noi in ogni forma e in ogni luogo, nella prossimità della famiglia; il crimine è tutto nostro, non nel senso che la maggioranza degli uomini lo frequentano, ma nel senso che s’incunea nei luoghi che abbiamo edificato per frequentarci. Oggi però, nella quarta mutazione dell’epipower, istituti e istituzioni rischiano un forte processo di delegittimazione e la nostra vita (violenza compresa) può finire letteralmente fuori luogo.

Alghero 2019


1. La curvatura dello spazio sociale

Ho l’impressione che si capisca poco della storia dell’umanità, da quando il nostro remoto progenitore australopiteco è sceso dagli alberi e ha conquistato la posizione retta a noi, se non consideriamo il primo presupposto di qualsiasi relazione sociale, sia essa criminale o no.

Il primo fondamentale postulato delle relazioni e, in generale, di tutte le scienze sociali è che lo spazio di qualsiasi habitat è concavo.

Il postulato, come avrebbe detto Ortega y Gasset, “semplicissimo ad essere enunciato per quanto non sia altrettanto semplice ad essere analizzato[1], significa che ciascuno piega il dominio delle relazioni intorno al punto del suo posizionamento in modo più o meno profondo in funzione del proprio peso.

Non è un caso, infatti, senza entrare ora nel merito, che il problema più importante della epistemologia delle scienze sociali è quello, come sosteneva Sartori[2], della ponderazione, cioè della capacità di saper valutare i pesi, potremmo meglio denominarla “docimologia della curvatura dello spazio sociale”.



L’idea di Einstein, di una massa che curva lo spazio tra diversi oggetti, vale anche nell’immateriale spazio sociale, in cui ciascuno di noi pesa e piega le relazioni interne al proprio dominio. La massa che curva lo spazio è il prodotto di una serie di elementi: la presenza, la ricchezza, l’intelligenza, la cultura, l’imprinting. Il più importante di questi elementi, quello che più di ogni altra cosa fa massa e piega verso se stesso lo spazio sociale, le frequenze delle onde relazionali è indubbiamente il potere. 

Vale per questo la formula di Bertrand Russell secondo cui il potere sta alle scienze sociali come l’energia alla fisica: 
P : S = E : F.

Significa che “il concetto fondamentale della scienza sociale è il potere, allo stesso modo che nella scienza fisica il concetto fondamentale è quello di energia[3]. In ogni caso, rispetto al tema che stiamo trattando, significa che “Le leggi della dinamica sociale possono essere enunciate soltanto in termini di potere, non in termini di questa o quella forma di potere[4].



Dunque, è con il potere che possiamo decodificare la nostra fitness evolutiva, proprio come con il concetto di energia decodifichiamo la natura del movimento dei corpi fisici.


2. I reati familiari nelle mutazioni politiche

Dal punto di vista del potere la nostra evoluzione politica è caratterizzata da: 
  • mutamenti, cioè un cambiamento del fenotipo sociale. Come e più dei singoli organismi le società hanno una serie di caratteri e di caratteristiche, come ad esempio l’aggregazione familiare, gli usi, i costumi e, in generale, i comportamenti sociali, che sono percepibili e osservabili. La sociobiologia contemporanea[5] distingue questi caratteri in fenotipi negativi, quelli che cadono in desuetudine e tendono a scomparire nel corso degli anni, e i fenotipi adattativi, quelli che si riscontrano nell’habitat, si propagano rapidamente come moda, restano come background culturale e si solidificano in tradizioni[6]. In ogni caso, il mutamento di una qualsiasi organizzazione è sempre un cambiamento fenotipico. 
  • mutazioni, cioè un cambiamento del genotipo sociale. Infatti, il cambiamento del genotipo non modifica i caratteri di una determinata organizzazione, ma la sua connotazione. Si tratta di un cambiamento dei geni sociali, di una trasformazione strutturale del DNA di una determinata società. Ad esempio, il modello di vita degli umani passa da migrante a sedentario, da agricolo a industriale, da fisico a bionico. Una mutazione cambia dunque definitivamente il corredo genetico di un contesto politico o di una determinata società.
I mutamenti, naturalmente, sono tantissimi ed alcuni anche notevolmente pesanti, in grado di curvare decisamente lo spazio concavo attorno a noi, di curvare il nostro habitat sociale; come, ad esempio, la vita sedentaria e la coltivazione dei campi, l’invenzione del fuoco o quella della ruota, fino alla “galassia Guttemberg[7], la invenzione della stampa.

In questi anni di studio abbiamo, invece, individuato quattro, solo quattro[8] mutazioni nella storia dell’umanità, cioè di cambiamenti genotipici, e tutti scatenati sempre dallo stesso cromosoma, quello che porta più chiaramente di altri l’intera informazione genetica, l’unico in grado di governare, di equilibrare o squilibrare, il processo di adattamento: il potere. Con un linguaggio più evocativo le ho chiamate le quattro cosmogonie del potere, quelle mutazioni cioè che ridefiniscono interamente i nostri rapporti con l’universo, il cosmo delle regole e delle regolazioni, la complessità delle relazioni fenomenologiche in cui siamo immersi.

2.1 – ontopower

La prima mutazione va dalla conquista della posizione retta alle piramidi egiziane, l’avvento dell’ontopower, il potere ontologico della sopravvivenza, l’epoca della logica endofasica, l’epoca delle comunità, quando la famiglia era essenzialmente un luogo di protezione, perfettamente identificata con le relazioni parentali collettive, in cui i reati erano dettati dalla paura della disarticolazione delle regole di trasmissione tradizionale della vita, sotterrata da miti e riti di appropriazione della propria presenza nel mondo. Naturalmente in quell’epoca il nostro concetto di famiglia, chiusa e circoscritta, non era corrispondente. Si trattava prevalentemente di gruppi parentali con un altissimo tasso di promiscuità, in cui i crimini erano essenzialmente il prodotto dal soddisfacimento dei bisogni primari nella scala gerarchica di Maslow[9]: i bisogni di sopravvivenza e di sicurezza. Li possiamo chiamare reati di protezione che si rivolgono contro il distruggente, colui che rappresenta una minaccia di distruzione della regolarità protettiva del gruppo. La minaccia percepita si riferiva essenzialmente alle relazioni orizzontali laddove l’organizzazione sociale era il derivato del matriarcato primigenio[10]. La sopravvivenza era assicurata da una prima verticalizzazione del potere in cui il processo decisionale veniva spesso attribuito agli anziani, in quanto più esperti e più persistenti nella vita. La tradizione assicurava una garanzia ineguagliabile di tutela del gruppo etnico. Un gruppo prevalentemente chiuso che il reato, in qualche modo, delegittimava e apriva, indebolendo la sicurezza collettiva e individuale. 



2.2 – egopower

Da Narmer, primo faraone della prima dinastia egiziana, fino alla fine del Medioevo, al Rinascimento e all’Illuminismo, alla formazione degli Stati, l’avvento dell’egopower, il potere egocentrico dell’autorappresentanza, l’epoca della logica formale. È l’epoca delle società e dei suoi ruoli, delle strutture gerarchiche che si propagavano dalla famiglia alle strutture politiche. Ciascun componente del nucleo familiare doveva infatti avere la capacità di svolgere un ruolo preciso all’interno della famiglia a cui appartiene che, in qualche modo, duplicava la società (o viceversa). La famiglia si compone dei soggetti che vi appartengono per nome e parentela. I soggetti s’identificano con il cognome e la provenienza, con la collocazione sociale e con le relazioni di casta, ceto, classe. I reati erano dettati dalla paura della disarticolazione delle regole di trasmissione tradizionale della vita, sotterrata da miti e riti di appropriazione del proprio posizionamento nel dominio relazionale di riferimento. Nasce qui, davvero, il nostro concetto di famiglia, chiusa e circoscritta, auto tutelante e garante del futuro preordinato delle future generazioni. Si trattava prevalentemente di ruoli sociali nettamente separati, che dovevano assolvere ai dovere per ottenere dei diritti, senza alcuna forma di relazione promiscua. Il crimine consisteva nel rifiuto del riconoscimento del ruolo degli altri e della propria responsabilità gerarchica. I crimini rappresentavano, dunque, un rifiuto o un furto di posizione interna o esterna, dettati dal bisogno di riconoscimento e di scalata nell’attribuzione della ricchezza o del potere. Li possiamo denominare reati di posizionamento e sono normalmente attribuiti al pretendente, a colui che pretende un ruolo diverso da quello che gli è stato attribuito. Il criminale non vuole distruggere niente, vuole ottenere con ogni mezzo per sé ciò che è occupato da altri, sempre all’interno della stessa immutabile gerarchia che ritiene di poter invertire a proprio vantaggio. Pertanto le relazioni familiari sono soltanto di ordine gerarchico con il ruolo di supremazia del padre (o del maschio) anche giuridicamente tutelato. Il processo decisionale è sempre attribuito, dunque, al ruolo istituito alla decisione, sia in ambito politico che familiare. La famiglia stessa, infatti, ha una connotazione fortemente politica, in cui il potere del capo non può minimamente essere discusso. In questo senso non è la tradizione a tutelare il gruppo, ma la legge quale fondamento dell’organizzazione gerarchica e legittimazione dei ruoli istituiti. Si tratta pertanto di un’organizzazione molto rigida, in cui il crimine interno ha quasi sempre una natura di ribellione.



2.3 – biopower

Dalla rivoluzione industriale alla caduta del muro di Berlino, in soli duecento anni profondissimi di storia, in cui siamo passati (per traumi sconvolgenti) dal cavallo al missile, l’avvento del biopower, il potere del controllo della vita, la sua cura, la sua tutela, la sua gestione dalla culla alla bara, l’avvento della logica computazionale. È l’epoca dei sistemi, caratterizzata da grandi traumi di accelerazione: rivoluzioni, golpe e guerre mondiali. La velocità con cui la mutazione è avvenuta è stata talmente rapida da diventare ripida, da chiedere il doloroso percorso lungo le crine della violenza consecutiva, quasi successiva. Le grandi rivoluzioni americana, francese, inglese (e, forse, quella più distante e reattiva russa) rappresentano l’avvento del biopower, il potere del controllo della vita, il controllo dei biologico dei corpi per la guerra, per la battaglia, prima, per la produzione ed il consumo poi. L’epoca della logica computazionale e dell’avvento dei computer. Ortega Y Gasset connoterà questo periodo storico che produrrà i grandi totalitarismi (scoperti da Hannah Arendt) come l’avvento delle masse sul proscenio della storia. È l’epoca dei sistemi, industriali e sociali, educativi e ricreativi, con funzioni e strutture integrate e corrispondenti, con la famiglia che diventa una integrazioni di comparti e flussi generazionali. Ci sono sempre i ruoli, ma ci sono anche funzioni e prestazioni. I ruoli diventano compiti attinenti ad un modulo normalmente confinato entro gli argini temporali delle età. Il nucleo familiare deve essere in condizione di contemplare e possibilmente integrare il lavoro del padre, della madre e gli impegni dei figli. Si diventa amici degli amici, ma i genitori condividono tra loro quelli della loro generazione e i figli ugualmente. Famiglia e società sono composte da gruppi di pari. Decadono la casta, il ceto, la classe. Nasce lo status e si afferma l’uomo etero diretto, come ha affermato Riesmann[11], dalla mano invisibile del gruppo dei pari. La famiglia si compone di moduli di status sociale, talvolta non corrispondenti precisamente al sesso, ai luoghi di socializzazione e alle generazioni. Il crimine viene considerato come il prodotto di una assenza di identificazione con il proprio status, il rifiuto di un vincolo morale funzionale all’equilibrio sistemico dei ruoli. I crimini rappresentavano dunque il rischio collettivo alla identità sistemica. E il crimine di famiglia può essere interpretato come il rifiuto della identificazione sistemico-parentale con la rinuncia violenta ad assolvere al proprio ruolo. Non si esercitano più funzioni. Non si offrono più prestazioni. Il criminale si allontana e si rinchiude in un suo stato di liminalità, che risulti fuori dal controllo del tempo e dello spazio come connotato fondamentale della tenuta sistemica. Il criminale si allontana dal controllo della sua vita prodotta dalla microfisica del potere tramite istituti e istituzioni separati eppure collegati dalla nostra multiforme azione, cioè dalla capacità di ciascun cittadino di svolgere contemporaneamente una molteplicità di ruoli. Il reato in famiglia non è né un rifiuto, né un furto di status. È una rinuncia, una frattura una lacerazione del sistema conformistico e conformizzato della famiglia. Li possiamo denominare reati di possesso, quei reati attribuibili al concorrente, a colui che pretende di costruire per se stesso un nuovo sistema relazionale che concorre, spesso illecitamente, con quello da cui proviene. Proprio questo è il caso in cui il criminale vuole distruggere la natura sistemica da cui proviene ed in cui si è formato. A Lui non interessa necessariamente di ottenere un successo per se stesso. Non lo rifiuta, naturalmente. Ma nemmeno lo reclama. L’importante è distruggere il modulo famiglia in cui si sente imprigionato. Crede di rompere ogni contatto e ogni integrazione tra ruoli (di figlio rispetto al padre e/o alla madre) disarticolando il sistema e disintegrando ogni possibile composizione. Sente il processo decisionale come suo. Sa di poter agire liberamente e definitivamente, perché la famiglia è una composizione di comparti che ciascuno può disarticolare per sempre. Questo è il suo potere, anche se criminale, e lo esercita. Per evitare che ciò accada in modo incontrollato, la società sviluppa il suo potere di cura. Il biopower si afferma con il principio della medicalizzazione di massa, con la cura contro il reietto, il diverso, il malato, il criminale che deve essere stigmatizzato e lasciato dentro la famiglia o rinchiuso in istituzioni liminali. La famiglia è un modulo di contenimento e di cura, con setting educativi e/o terapeutici, e deve essere in grado di sostenere la regola (anche se non è una legge) di integrazione sociale. Che siano aperti o chiusi, i sistemi reclamano una loro identità e una loro identificazione, che il crimine lacera del tutto.



2.4 – epipower

Dal crollo delle mura e delle torri a noi stiamo vivendo l’ultima, la quarta mutazione: l’avvento dell’epipower, il potere epistemologico dell’autorappresentazione, la verità che produce realtà e anche la realtà che induce verità. Siamo nella società della comunicazione e dell’intelligenza collettiva, dell’ologramma della conoscenza e le minacce di omologazione, l’epoca della logica quantistica. L’epoca dei network. Anche la famiglia è un polo di un network che assume una morfologia variabile, cioè che cambia forma continuamente. La famiglia è uno di questi poli, ugualmente ologrammatica, omologante, collettivamente intelligente ed individualmente isolante. Lo spazio concavo produce accelerazioni improvvisi e improvvise stasi, buchi neri che assorbono energia sociale e, talvolta, una vita cupa e senza prospettive. Il potere nella società contemporanea si esercita con scenari di verità che tentano di produrre una loro realtà. Ora, talvolta la verità e la realtà sono simbioticamente connessi. Molto spesso però tra i soggetti della società e della famiglia si produce una scissione simbiotica tra verità e realtà. I figli credono in verità che non sono quelle dei genitori perché non vivono nella loro stessa realtà. Questa scissione spesso accade quando l’informazione non si trasforma in comunicazione. Ciascuno vive nella sindrome di Shannon, nel surplus delle informazioni che nascondono la conoscenza, nel dominio relazionale dei propri social network. La comunicazione non scatta e nemmeno una relazione tra partecipanti allo stesso nucleo familiare. Il crimine familiare s’incunea lì, in questa scissione tra verità e realtà, nel vuoto di una informazione che non riesce a diventare comunicazione. In altri termini io credo che il reato di famiglia sia il prodotto della rottura di una connessione cibernetica interna alla famiglia, quella connessione cioè che permette alla informazione di trasformarsi in comunicazione. Il crimine familiare contemporaneo nasce dal silenzio e dalla solitudine. Non più ruoli, funzioni e prestazioni, ma connessioni e sconnessioni, individui che interagiscono o soggetti solitari che scompaiono nell’ombra. E il reato è un disperato tentativo di uscire da quell’ombra. La famiglia moderna è senza nucleo. O è un polo connesso con l’universo quantistico della società o è una prigione di solitudine che genera o Hikikomori, persone sole ed isolate da ogni mondo, o tossici, persone che cercano una loro identità nell’artificio del mondo, o assassini, persone che cercano una loro presenza pro-scenica con la violenza efferata. La famiglia senza nucleo o è relazione o non è. Quando non insorge una minaccia che può trasformarsi in rischio; come diceva Niklas Luhmann[12], la minaccia che piova diventa un rischio per me se non porto gli ombrelli. Se la famiglia contemporanea non è un ombrello relazionale che eviti a ogni minaccia di diventare rischio, è un pericolo, è essa stessa il rischio più ampio per la produzione di un crimine. Per questo motivo, contro il trend decrescente dei reati, i reati in famiglia crescono: semplicemente perché quei reati sono effettivamente reati di prossimità, i reati nel dominio relazionale più vicino, immediato, dove ciascuno può esercitare la sua potenza ipotetica. Il crimine è una pretesa di autorealizzazione che la famiglia non riesce a soddisfare. La famiglia diventa un intralcio quando non ha relazione, perché non ha nemmeno nucleo. Non sostiene, non orienta: ostruisce. Perché? Perché la minaccia all’autorealizzazione è un rischio per le proprie aspettative. Quindi non più lo status ma le aspettative. Si capisce allora che, se nella percezione cognitiva di un soggetto, la verità prodotte da surplus informativo è scissa dalla realtà critica della comunicazione relazionale, la famiglia diventa il luogo di incubazione di un malessere che sulla famiglia stessa si scarica, in quanto ostruttiva o ostruente dei desideri del singolo. Il criminale allora, l’unica potenza che può esercitare è quella della violenza. Per questo possiamo denominarli i reati della potenza (e della prepotenza).



3. Le mutazioni politiche

Quattro, solo quattro mutazioni, in una dinamica del potere che è sempre la stessa: garantire la propria vita, dalla sopravvivenza (ontopower) alla cura (biopower), e governare l’ambiente, dalla rappresentanza (egopower), alla rappresentazione (epipower). 

Quattro mutazioni fondamentali che hanno dotato l’umano di quattro dimensioni logiche fondamentali: la logica endofasica, la logica formale, la logica computazionale e la logica quantistica[13]

Quattro mutazioni che hanno fornito l’umano di quattro strumenti interpretativi fondamentali: la conoscenza, la razionalità, la coscienza e la ragionevolezza. 

Quattro mutazioni che hanno generato quattro habitat sociali differenziati: la comunità, la società, il sistema e il network.

Che cosa accade quando si passa da una mutazione all’altra? 

Certamente quello è il momento più delicato.

Ogni mutazione, ogni enorme mutamento che viviamo, porta con sé, come diceva Ortega y Gasset, “la sua norma e la sua enormità, il suo decalogo e la sua falsificazione[14]. Si scinde il governo dalla governante e le istituzioni e gli istituti che caratterizzavano l’epoca precedente cadono o in desuetudine o in destabilizzazione. La norma perde la sua dimensione di normalità, diventa enormità. Si disarticola e si destabilizza la sintattica della narrazione sociale che conoscevamo. Il decalogo, lo statuto e i valori in cui credevamo perdono di senso e di significato. Si disarticola e si destabilizza la semantica della vita. 



4. I reati familiari 

Questo è successo anche alla famiglia, come a tanti altri istituti (come la scuola, ad esempio) e a tante altre istituzioni (come le assemblee parlamentari o consiliari, ad esempio): nell’intervallo sociale della sua stessa sostenibilità, avendo perduto ogni sintattica (norma) e ogni semantica (decalogo), la famiglia perde lentamente ogni legittimazione, ogni fondamento etico, ogni vincolo e cade o in desuetudine (nel senso che viene sempre meno frequentata e condivisa) o in destabilizzazione (nel senso che viene sempre meno desiderata e tollerata). 

I dati specializzati EURES, infatti, ci forniscono alcuni inequivocabili indicatori fenomenologica. 

Dal 1994 ad oggi i reati familiari sono stati compresi costantemente tra i 200 e i 230 l’anno, con una incidenza del 30%, notevolmente cresciuta da 10% iniziali, sui reati complessivi.

Paolo De Pasquali suddivide i reati in famiglia in:
  • Reati intragenerazionali o orizzontali, quando viene colpita una vittima della medesima generazione del carnefice, come nel caso dell’uxoricidio o del fratricidio, pari al 53,7% dei reati familiari (in aumento);
  • Reati extragenerazionali o verticali, quando viene colpito un componente della famiglia di generazione diversa, come nel caso del parricidio (9,5% in calo) o del figlicidio (16,4% in aumento);
  • Reati di massa, quando un familiare uccide più di due altri familiari e si verifica un vero e proprio eccidio parentale. 
Ci sono omicidi in famiglia che sono una forma di suicidio e che vengono compiuti prevalentemente da persone di età superiore ai 64 anni (21,4%), mentre gli omicidi compiuti da persone con una età compresa tra i 35 – 44 anni (20,4%) assumono la forma della reazione o della rivendicazione. È emblematico, come spesso si ripete, il fatto che gli omicidi in cui le donne sono vittime (68%) sono praticamente il doppio di quelli in cui le vittime sono i maschi (32%)[15]. Questi omicidi, tuttavia, dimostrano perfettamente la dimensione di obsolescenza e delegittimazione dell’istituto familiare. Gli omicidi tra coniugi conviventi, infatti, sono il 33% (uxoricidio 90% uccisione del marito 10%), gli omicidi compiuti dal partner amante sono invece l’8%, mentre gli omicidi compiuti dall’ex coniuge partner sono il 12%. Naturalmente, i maschi uccidono prevalentemente all’interno di una relazione intragenerazionale la moglie o la propria partner, mentre le femmine uccidono prevalentemente all’interno di una relazione extragenerazionale i propri figli. 

La famiglia è oggettivamente in discussione. 

La famiglia è decisamente in discussione anche se si pensa che la maggioranza dei delitti, sebbene compiuti con programmazione, sono per il 28% passionali, per il 23% derivanti da litigi e insopportabilità, per il 5% per interessi economici (delitti premeditati pari al 56%), mentre soltanto l’11% dei delitti familiari è compiuto a causa di disturbi psichici e il 17% a causa un raptus o una incapacità momentanea di intendere e di volere. La bassa incidenza dei reati di ordine economica mostra con chiarezza che l’istituto della famiglia è la causa del reato. 

Non voglio annoiare con una sfilza di dati che possono essere facilmente reperiti da più fonti e sono tutti abbastanza omogenei. Ciò che interessa ora comprendere è che l’istituto della famiglia è in una crisi di delegittimazione derivante da mutazione sociale, cioè da una delle 4 transizioni d’epoca. I connotati sono evidentissimi. Uccide di più chi ha più potere, il marito rispetto alla moglie e il genitore rispetto ai figli, segno emblematico che l’assassino sente fortissima la perdita di autorità non sostituita da una crescita della propria autorevolezza. Il reato, che sia o no omicidio, è sempre più il prodotto di una frustrazione relazionale, individuale e soggettiva, che la famiglia non riesce più a sanare, a contenere, a lenire. I conflitti di integrazione sociale, che prima trovavano in istituti di accoglienza il luogo della loro composizione (la casa, la chiesa, la scuola, il sindacato…), oggi non trovano luogo di composizione e lasciano l’individuo solo, spesso in un vuoto cognitivo incontenibile che scaturisce in violenza o in totale isolamento. Ralph Dahrendorf la chiamò l’underclassmen[16], la classe degli uomini che stanno di sotto ogni livello di socializzazione e di vita. Non è però una definizione precisa. Valeva per l’epoca dei sistemi sociali a cui Dahrendorf si riferiva. Oggi, nell’epoca dei network, questi individui che non riescono a diventare soggetti, vivono nel vuoto, né sopra né sotto, dentro i nostri habitat, ma nel vuoto. E non sono nemmeno una classe. Non sono un ceto. Sono soli e si esprimono come possono, con la violenza o con il mutismo. Cercano una identità e una identificazione in una prossimità che non c’è più né in famiglia né altrove. È più facile trovarla in rete, nei social network che proteggono con un avatar la incubazione solitaria della violenza o del ritiro: le due forme estreme della emarginazione. 

Questa crisi della famiglia (e per me di tutti gli istituti e le istituzioni delegittimate dalla transizione) è stata individuata e classificata più di 15 anni fa dalla American Psychiatric Association, e denominata come Relational Desorder, un disturbo relazionale che nasce dalla modalità di interazione tra persone: un soggetto che singolarmente preso non fa rilevare alcun disturbo di ordine patologico, se inserito in un contesto relazionale di riferimento altera il suo stato psichico e mostra una vera e propria patologia che si esprime in relazioni disturbate. Si tratta dunque di una patologia individuale che si sviluppa in relazioni di gruppo e che quindi si radica, specialmente se fossero vere le ipotesi che ne attribuiscono cause genetiche, nel primo istituto in cui un gruppo di soggetti sono legati da particolari relazioni d’intimità e di condivisione indotta. Questo tipo di disturbo può essere sanato o gestito in un contesto di stratificazione di ruoli parzialmente formalizzato, privo di promiscuità ma non privato di complicità, in cui la relazionalità sia la funzione di un ruolo sociale proclamato e quindi con il tempo acquisito (prestazione energetica istituzionale del potere). 

Se le istituzioni di riferimento entrano in un loop di delegittimazione, questi ruoli perdono la prestazione energetica ed istituzionale del potere. A qualsiasi età l’individuo resta solo con se stesso. I più giovani, più deboli, o si ritirano o si bullizzano. Gli adulti, più forti, o si deprimono o uccidono. Sono tutti emarginati dalla sostituzione dei sistemi con i network, dalle connessioni che sostituiscono le relazioni. 


5. Le tre famiglie

Non a caso, Massimo Recalcati, in perfetta sintonia con la formula Russell che identifica potere sociale e energia fisica, attribuisce al ruolo del padre la connotazione di questo cambiamento familiare. Negli anni saremmo passati:
  • dal padre legge, “che vuole incarnare la Legge”, che “si pone come padre educatore, come un padre che coincide con la Legge” e che “non può che dare vita a un sistema repressivo fondato sul potere disciplinare”, perché “non può che degenerare in una versione superegoica della Legge”. Il crimine dentro e contro questa famiglia legge rappresenta, in genere, una forma di ribellione;
  • al padre pulsione, che “interdice la seduzione narcisistica della coppia bambino-madre, che sottrae il bambino dal «servizio sessuale della madre”; il padre dell’interdizione pulsionale che aiuta il figlio alla sua sublimazione. In questo caso, “la pulsione non sarà più rigidamente vincolata al corpo materno, ma potrà seguire le vie più lunghe e inedite della propria soddisfazione”. Il crimine dentro e contro questa famiglia legge rappresenta, in genere, una forma di affermazione;
  • fino al padre desiderio, che rappresenta la sintesi tra tesi (padre-Legge) e antitesi (padre-pulsione). E ci appare più come una proposta di Recalcati: quella della riformulazione di funzione del padre che possa contenere gli opposti, che diventa padre testimonianza, in grado di trasmettere come eredità il desiderio, cioè: “recuperare la funzione simbolica dell’interdizione, ma solo su una donazione”. Il crimine dentro e contro questa famiglia legge rappresenta, in genere, una forma di appropriazione. 


6. La quarta famiglia

Recalcati si ferma qua. 

E sbaglia. 

Abbiamo bisogno di una quarta famiglia.

Spetta alle nuove generazione riformulare, sintatticamente e semanticamente, il ruolo legittimato della nuova famiglia nella società della comunicazione.

Come sarà?

Non una famiglia in cui il padre trasferisce in eredità ai figli il desiderio, ma una famiglia che sappia condividere il godimento della vita. 

Sapete che Lacan[17] distingue il desiderio dal godimento. 

Naturalmente noi non possiamo ora incastrarci in una analitica disquisizione sulle differenze lacaniane tra desideri e godimento. Qui possiamo considerare soltanto 2 aspetti della distinzione tra il concetto di desiderio e quello di godimento:
  • il primo riguarda la indispensabile caratteristica del desiderio di esprimersi esclusivamente tramite un Altro. In modo specifico tramite la madre, il desiderio si costituisce come domanda rivolta all'Altro, come capacità di essere nel mondo, di restare, di resistere. Nel desiderio dell’Altro c’è intero il riconoscimento di sé stessi, il proprio significante, perché noi siamo soggetti che possono riconoscersi soltanto in quanto soggetti significanti, come secondo il noto aforisma di Lacan: “il significante rappresenta un soggetto per un altro significante”;
  • Il secondo aspetto riguarda la traduzione del termine francese jouisspance, che non contiene, come in italiano, il significato di felicità. E nemmeno la dimensione collettiva[18]. Ogni uomo, quando nasce, assorbe il mito edipico come metafora del simbolico in cui vene rappresentata la sua vita. Tuttavia, per ciascuno, il padre costituisce la regola di castrazione, quella che proibisce al figlio il godimento primordiale della madre. Il padre è il potere della proibizione: “la castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio”. In questo modo, per Lacan, l’uomo entra nella società, perde la sua presupposta naturalità, perde la sua oggettività integrata nella natura, il suo essere “cosa” per entrare come “individuo” nel simbolico del proprio habitat, nel sociale tramite il linguaggio. In questo senso, il significante per l’uomo non può che essere la sua dimensione collettiva. Nessuno può soddisfare i propri bisogni da solo e direttamente. Lo può fare soltanto tramite gli Altri, in primis tramite la sua famiglia. La famiglia è pertanto il luogo in cui l’uomo si educa al simbolico linguistico e sociale, il luogo in cui si esprime il significante e la richiesta all’Altro, giacché: “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”.
Il godimento, che “inizia come un solletico e finisce come un incendio”, è come l’energia e come il potere, può essere pericoloso o anche una grande opportunità. Lacan lo riconosce. Riconosce che esiste una sola, unica possibilità in cui desiderio e godimento si coniugano assieme, intrecciandosi: la possibilità dell’amore, quando il godimento acconsente al desiderio. Solo nell’amore il godimento non è mai perduto; giacché il godimento dell'Uno si realizza sempre e soltanto con l'Altro.

Questa è la quarta famiglia, quella che dobbiamo ancora realizzare, che non sappiamo se le nuove generazioni saranno in condizione di costruire. Una famiglia in cui non si trasferisce nulla, in cui non si eredita nulla, in cui i genitori non trasferiscono ai figli alcun desiderio. Una famiglia invece costruita sulla relazione d’amore per tutti, genitori e figli. Dove tutti costruiscono le loro relazioni sul godimento della vita. 


Conclusione

Non so se questo avverrà.

Non so se la famiglia resisterà, se evaporerà e se i reati che vi si compiono cresceranno e si mescoleranno nei mille atti violenti al limite della follia, senza significato e, come vuole Sofsky, senza ragione, senza causa. Reati ingiustificati di cui abbiamo paura perché minacciano più di altri il nostro vissuto quotidiano. 

Il comportamento criminale è esclusivamente umano. 

Il crimine contro se stessi e contro la propria famiglia è l’unico crimine che accomuna gli umani alle bestie. 

Perché? 

Perché le bestie non conoscono e, di più, non riconoscono, gli istituti e le istituzioni, non conoscono e non riconoscono la famiglia. 

Se noi non troveremo una semantica della vita sociale nella quarta mutazione, nella società della comunicazione, noi resteremo nel vuoto e perderemo la insuperabile funzione politica della governance e del governo, quella funzione che ha permesso la nostra fitness evolutiva. 

Il nostro compito e quello delle giovani generazioni è di riempire i vuoti che la mutazione ha generato, riempirli di senso e di significati.

Nell’incipit del mio sito internet c’è scritto che la vita è una produzione di significati. 

Credo che questa sia la vera distinzione nei gradi dell’organico, tra noi e gli altri viventi. 

Ridaremo nuovi significati alle istituzioni e alla democrazia.

Riempiremo di nuovi significati gli istituti di accoglienza come la famiglia e la scuola, i luoghi dello scambio fisico e culturale. 

In tutti questi habitat della nostra socialità i reati continueranno, come già accade, a ridursi, perché noi condivideremo, oltre ogni ostruzione e ogni limite, il godimento della vita.

Sono certo che nessuno derogherà a questa natura inequivocabilmente umana.



BIBLIOGRAFIA

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ZALAI-GAAL István, Közép-Europai neolitikus temetök social-archeologiai elemzése, Bi Balogh Ádam Múzeum Ėvkönyve, 14, 1988


NOTE

[1] ORTEGA Y GASSET Josè, La ribellione delle masse, Il Mulino, Bologna 1962 
[2] SARTORI Giovanni, La politica, logica e metodo delle scienze sociali, Sugar, Milano 1981 
[3] RUSSELL Bertrand, Il Potere, Feltrinelli, Milano 1981 
[4] RUSSELL B., cit. 1981. 
[5] Wilson O. Edward, LA CONQUISTA SOCIALE DELLA TERRA, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013 
[6] Liliana Montereale ha individuato perfettamente come i fenotipi (che possono anche essere considerati funzioni sistemiche) trasportano energia in forma di informazioni (teoria cibernetica) ai genotipi (che possono anche essere considerati strutture). E lo fanno con i Conemi che sono …. Comunque vogliamo denominarli, resta il fatto che alcune funzioni depositano energia-informazione dentro alcune strutture, processo decisivo e centrale per l’intera epigenetica. 
[7] McLUHAN Marshall, La galassia Guttemberg, Armando Editore, Roma 2013 
[8] Ceci A., cit., 2011 e 2012 
[9] MASLOW Abraham, Motivazione e personalità, Armando Editore, Roma 2010 
[10] CECI Alessandro, Femminicidio: il crimine di Dio, in Rivista Italiana della Sicurezza, Anno I, n. 1, Gennaio – Aprile 2018, pagg. 11 - 46 
[11] RIESMAN David, La folla solitaria, Il Mulino, Bologna 2009 
[12] LUHMANN Niklas, Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1998 
[13] Ceci Elvio, QUATTRO DIMENSIONI DI LOGICA, in Schegge di Filosofia Moderna XIV, Gaeta 2014 
[14] ORTEGA Y GASSET José, L’uomo e la gente, Armando Editore, Roma 2002 
[15] Questi femminicidi vengono ormai classificati nella categoria del Femminicidio per la cui analisi fenomenologica rimando al mio testo CECI Alessandro, Femminicidio: il crimine di Dio, in Rivista Italiana della Sicurezza, Teasis Engineering, Anno I, n.1, aprile 2018, pagg. 11 - 46 
[16] DAHRENDORF Ralph, Il conflitto sociale nella modernità: saggio sulla politica della libertà, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1989. 
[17]LACAN Jacques, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003, p. 145; LACAN J.., “Sovversione del soggetto e dialttica del desiderio nell’inconscio freudiano” (1960) , Scritti, t. 2, Einaudi, Torino, 1974, p. 830; LACAN J., Il seminario, Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), Einaudi, Torino, 2008, p. 98-99; LACAN J., “La significazione del fallo” (1958), Scritti, Einaudi, Torino, 1974, p. 687; LACAN J., Il seminario. Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1971), Einaudi, Torino, 2010, p. 130; LACAN J., Il seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973), Einaudi, Torino, 2011, p. 8.; LACAN J., Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo (1975-1976), Astrolabio, Roma, 2006. 
[18] Vedi BATTAGLIA Salvatore, Grande dizionario della lingua italiana, Utet, Torino 2002

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