INTELLIGENCE: GLOCAL RELATIONSHIP THEORY - 2 - Denominazione

Come la vogliamo chiamare?




Nel corso degli anni, la denominazione “Teoria dei Giochi” è diventata inadeguata o, come ho già detto, inopportuna. Almeno bisognerebbe usare il plurale, le “Teorie dei Giochi”, vista la notevole mole di contributi scientifici su vari aspetti che, negli anni, ha catalizzato. Tra i più importanti, oltre naturalmente la Teoria dei Giochi di Oskar Morgenstern, considero: la teoria del comportamento razionale di John Harsany[1], la teoria delle strategie dominanti di John Nash[2], la teoria dell’azione intelligentemente condotta[3] di Giovanni Sartori[4] (se, come credo, può essere considerata collegabile al corpus della “Teoria dei Giochi”), il teorema della Equivalenza di Aumann[5], il teorema dei giochi non atomistici di Shapley[6], fino alla teoria dei Nudge di Thaler[7]. 
Inizialmente avevo pensato di denominare la mia impostazione sulla realizzazione e utilizzazione analitica dei giochi “Teoria delle aspettative ragionevoli”. Mi sembrava questo il vero elemento di distinzione. Fin dai suoi esordi, infatti, la Teoria dei giochi si basava sul presupposto, come si dice, della “Pareto-efficienza”[8]. Perfino Adam Smith immaginava, nello studio della concorrenza perfetta e dell’equilibrio macroeconomico, che gli attori, i giocatori, adottassero sempre un comportamento razionale rispetto ad una condizione di piena informazione. Nel corso della evoluzione della “Teoria dei Giochi”, talvolta la piena informazione è caduta, sostituita da una condizione di informazione incompleta, ma il comportamento razionale no: in tutte le congetture proposte gli attori (i giocatori) adottano sempre un comportamento razionale. 
Poi ho pensato, sulla base dell’analisi dei giochi applicati e uno studio approfondito sui modelli elettorali, che non fosse così; che gli attori (i giocatori) cioè prendessero le loro decisioni e adottassero comportamenti non sulla base di una valutazione razionale delle informazioni acquisite, ma sulla base di aspettative ragionevoli. Non sulla base di un calcolo costi/benefici e una coerenza logica prodotta dall’aristotelico principio di non contraddizione; piuttosto, sulla base di una ragionevole possibilità, di una probabilità che qualcosa di migliorativo della propria situazione accada. Appunto, una aspettativa ragionevole. 

Ho visto che il premio Nobel 2017 per l’economia, Richard Thaler, con la sua “Teoria dei Nudge”, sostanzialmente sostiene che le decisioni dei consumatori vengono prese in modo emozionale e non in modo razionale. I Nudge sono i piccoli rinforzi positivi. Più precisamente Thaler, partendo dal concetto di razionalità limitata, sostiene che le decisioni o preferenze sociali mancano di autocontrollo razionale e che sono invece dettate da specifiche connotazioni psicologiche. Per Thaler le decisioni sono parzializzate, o meglio, parcellizzate, cioè semplificate perché costruite su ragionamenti isolati e circoscritti per ogni singola decisione, senza un’analisi logico-razionale dei costi e dei benefici che quella decisione comporta per la complessità del fenomeno a cui si riferisce. Le decisioni verrebbero prese sulla base di uno schema di valori orientato dal possesso di un bene: lo giudichiamo di più alto valore se lo possediamo e di più basso valore se non lo possediamo. Sono pertanto decisioni orientate da emozioni, decisioni emozionali, che producono vere e proprie limitazioni cognitive. 
Thaler mutua dalla filosofia politica il concetto di Nudge e lo applica all’economia. Nudge è quella gomitata data al vicino di posto che serve a riattivare e riorientare la sua attenzione. 
Thaler crede che, per orientare il processo decisionale dei gruppi sociali occorrano piccole gomitate che concentrino la loro attenzione sulla decisione da prendere. Sono pungoli, piccoli stimoli e rinforzi che orientino, con un “paternalismo libertario”[9], il processo decisionale dei gruppi e dei soggetti sociali. Si tratta di piccoli stimoli etici che cambiano “l’architettura della scelta”[10] senza ostruire o nascondere le opzioni alternative: “Mettere frutta al livello degli occhi conta come un nudge. Proibire il cibo spazzatura no”[11]. 

Per me anche questo approccio, sebbene autorevole e fondato per la società della comunicazione e i network, è ancora impreciso. Si continua a ragionare su estremizzazioni radicali che, nelle scienze sociali, a cui la “Teoria dei Giochi” si applica, non ha alcun senso. Continuo a credere che bisogna concentrarsi sulle aspettative, cioè che le decisioni (e quindi i comportamenti) degli attori (giocatori), vengono prese sulla base di aspettative di miglioramento del loro status e in modo che queste aspettative siano ragionevoli (non razionali né emozionali), credibili e credute. Da questo punto di vista, come vedremo, sono molto utili gli studi sulla Sentiment Analysis. 
In ogni caso, su questa mia ipotesi volevo, quindi, formulare una Teoria delle Aspettative Ragionevoli che concorresse, con e contro le altre già proposte, ad una migliore definizione della Teoria dei Giochi. Alla fine, però, mi sono accorto che quella delle Aspettative Ragionevoli non era una Teoria, al limite poteva essere Teorema. Il Teorema è una proposizione che dimostra una ipotesi. La Teoria è un paradigma che si compone di diversi teoremi dimostrativi integrati. La Teoria dei Giochi è un paradigma teorico complesso che contiene tutti i teoremi, da Condorcet a Thaler, che lo compongono. E dunque non considero il mio teorema delle Aspettative Ragionevoli adeguato a modificare la inappropriata, impropria e inopportuna, denominazione della “Teoria del Giochi”. 
Ho optato allora per una concezione più ampia e, per me, corrispondente. 

Ritengo che il paradigma teorico della “Teoria dei Giochi” possa, in modo più appropriato, essere definito meglio come Glocal Relationship Theory, in modo che possa rientrare anche nel nuovo campo di studi della Network Analysis, più adeguata ai tempi moderni. 
Glocal, perché un gioco è uno strumento di analisi relativo ad un determinato contesto, nella doppia dizione di confine (Kuhn) e orizzonte (Gadamer) in un definito habitat cognitivo o scientifico (Popper). Nella sua architettura, per dirla con Thaler, e nella sua dinamica ogni gioco è globale, perché riproduce frequenze, procedure, strutture funzioni e prestazioni comuni e comparabili. Nella sua applicabilità e nell’articolazioni dei ruoli e delle regole il gioco è unico, costruito interamente su un singolo e singolare caso, definito, irreversibile. Locale. 
Relationship, perché gli equilibri dei giochi, siano essi dinamici o statici, più o meno ottimali e ottimizzati, è sempre dato dalla natura complessiva e integrata delle relazioni. In epoca di network, poi, queste relazioni si chiamano connessioni integrate, che possono essere rappresentate in uno specifico connettogramma e definire, di volta in volta, la morfologia variabile di una rete. 
Theory, perché raccoglie tutti i contributi in un paradigma aperto e commensurabile, finalizzato alla definizione delle dinamiche individuali e soggettive di un definito habitat. 

È soltanto una proposta.



ooo/ooo


[1] HARSANGY C. John, Comportamento razionale e equilibrio di contrattazione, Il Saggiatore, Milano 1977

[2] NASH John, Equilibrium Points in n-Person Games, Proc. Nat. Acad. Sci. U.S.A., 36, 1950 e Non-Cooperative Games, Ann. of Math., 54, 1951

[3] SARTORI G., Politica. Logica e Metodo delle scienze sociali, Sugar, Milano 1980
[4] SARTORI G., cit. 1980
[5] AUMANN R.J. e M. Maschler, “Game-theoretic analysis of a bankruptcy problem from the Talmud”, Journal of Economic Theory 36, 1985, 195–213.
[6] AUMANN J. Robert e SHAPLEY S. Lloyd, Values of non-atomic games, Princeton University Press, Pinceton, 1974.
[7] THALER R., SUSTEIN C., Nudge: La spinta gentile, Milano, Feltrinelli, Milano 2009.
[8] Pareto sostiene che si raggiunge una condizione ottimale quando, date le permanenti condizioni sulle preferenze o sulla tecnologia, è impossibile ottenere migliori livelli di benessere del complessivo habitat di riferimento (in questo caso il gioco).
[9] THALER R., SUSTEIN C., cit. 2009.
[10] THALER R., SUSTEIN C., cit. 2009
[11] THALER R., SUSTEIN C., cit. 2009

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