LA DEMOCRAZIA FLUTTUANTE
dicembreduemiladiciotto
Jan Zielonka fa notare che “calunniare i nemici politici è un elemento di routine di tutte le campagne politiche”[1]. Di fronte a questa constatazione storica, la devastazione retorica non può essere attribuita, come responsabilità, esclusivamente ai “populisti”.
“Si dice che i
populisti usino la retorica moralistica, facciano promesse irrealistiche, e
lancino ingiusti attacchi personali ai loro oppositori. Ma, purtroppo, tutte
queste caratteristiche possono essere affibbiate alla maggior parte dei
politici di oggi e non solo al gruppo di cui stiamo parlando. Prima di ogni
elezione nazionale, politici di partiti diversi si lanciano in vuote promesse
sociali. La retorica tronfia e moralistica fa parte anche del repertorio
liberale”[2]. Egli ritiene che noi
stiamo assistendo ad una contro-rivoluzione antiliberale successiva al crollo
del mondo bipolare nel 1989. Quella sarebbe stata una rivoluzione liberale,
così come l’ha definita Ralf Dahrendorf[3]. Oggi
assisteremmo a una contro-rivoluzione antiliberale, così come l’ha definita Jan
Zielonka.
Vedo che molti la pensano così.
Il paradigma però è abbastanza banale e davvero
sbagliato. Quando accade qualcosa di nuovo, i credenti sognano l’avvento del
regno dei cieli o la profezia satanica degli ultimi giorni. Naturalmente non è
vero né l’uno, né l’altro. Pertanto, il cambiamento del mondo, simboleggiato
dal crollo del muro di Berlino del 1989, non è stata una rivoluzione liberale e
quella a cui stiamo assistendo non è una contro-rivoluzione antiliberale. Né
Dio, né Satana.
Indubbiamente il 1989 rappresenta ancora per noi una
enorme innovazione migliorativa rispetto ai 40 anni di sistema bloccato
post-bellico. Per evitare la guerra e la eventuale reciproca sconfitta
nucleare, le superpotenze hanno ingessato le dinamiche politiche del mondo,
assicurando lo sviluppo possibile dentro il regime disponibile: il
totalitarismo comunista o le semidemocrazie liberiste.
Il 1989 ha finalmente sbloccato il sistema, mostrando
alla storia che la democrazia, anche parziale ed equivoca, vince sul piano
sociale (economico e politico) e non sul piano militare; vince con le sue
ragioni non con la sua forza. E vince definitivamente anche se lentamente.
La democrazia che ha vinto nel 1989, però, non è quella
liberale, quella che c’era. Ha vinto la democrazia che ancora non c’era, quella
che sarebbe dovuta avvenire e che avrebbe dovuto essere ridefinita, quella che
sarebbe dovuta entrare, per dirla con Rorty[4], in
una nuova narrazione.
Succede sempre così: quando uno è abituato a vivere
reggendosi su due gambe, se ne perde una, per mantenere ugualmente
l’equilibrio, deve riorganizzare complessivamente e completamente l’intero suo
corpo.
Il 1989 è stato indubbiamente un grande periodo di
mutazione politica. La democrazia occidentale e, direi, il mondo, hanno perso
entrambe le gambe su cui si reggevano e si sono trovati a fluttuare nello
spazio, privo di gravità politica. Non si è trattato, come pure ingenuamente si
è creduto, di un semplice mutamento: cambia qualcosa per adeguarsi ai tempi,
cambiare qualcosa affinché nulla cambi. Si è trattato di una mutazione
complessa e complessiva.
Per mutamento
si intende un cambiamento del fenotipo sociale. Come e più dei singoli
organismi le società hanno una serie di caratteri e di caratteristiche, come ad
esempio l’aggregazione familiare, gli usi, i costumi e, in generale, i
comportamenti individuali, che sono percepibili e osservabili. La sociobiologia
contemporanea[5]
distingue questi caratteri in fenotipi negativi, quelli che cadono in
desuetudine e tendono a scomparire nel corso degli anni, e i fenotipi adattativi,
quelli che si riscontrano nell’habitat, si propagano rapidamente come moda,
restano come background culturale e si solidificano in tradizioni[6].
In ogni caso, il mutamento di una qualsiasi organizzazione è sempre un
cambiamento fenotipico.
Per mutazione,
invece, si intende un cambiamento del genotipo sociale. Infatti, il cambiamento
del genotipo non modifica i caratteri di una determinata organizzazione, ma la
sua connotazione. Si tratta di un cambiamento dei geni sociali, di una
trasformazione strutturale del DNA di una determinata società. Ad esempio, il
modello di vita degli umani passa da migrante a sedentario, da agricolo a
industriale, da fisico a bionico. Una mutazione cambia dunque definitivamente
il corredo genetico di un contesto politico o di una determinata società.
La mutazione che
stiamo vivendo è soltanto la quarta della intera storia dell’umanità.
Dopo la conquista della posizione retta, la formazione
delle comunità, la logica endofasia indispensabile per la sopravvivenza
(Ontopower); dopo l’autorappresentazione verticale del divino potere
patriarcale, la costituzione delle società e la logica formale per governare il
tempo e lo spazio (Egopower); dopo la rivoluzione industriale, la composizione
dei sistemi, il controllo della vita e la logica computazionale dei computer
(Biopower); stiamo assistendo alla quarta mutazione, l’avvento della società
della comunicazione, la integrazione dei network e la logica quantistica
funzionale alla multidimensionalità probabilistica della verità e della realtà
(Epipower)[7].
Il filosofo Slavoj Žižek racconta che i cinesi, quando vogliono
esprimere un malaugurio auspicano di essere “benvenuti in tempi interessanti”[8]. Perché
i tempi interessanti sono tempi turbolenti e incerti, tempi dolorosi e
drammatici della facile perdita e della difficoltosa riconquista. Sono i tempi
del cambiamento radicale.
Noi
viviamo nei tempi interessanti della grande quarta mutazione: la transizione
nella società della comunicazione. Il corpo della nostra democrazia fluttua
improvvisamente, non nella società liquida di Bauman[9], ma
nell’assenza di gravità dello spazio relazionale infinito che deve essere
dunque totalmente riequilibrato. Certo si rischia di essere attratti e
assorbiti dal nulla dei buchi neri, ma possono anche essere agevolmente
evitati. Il nuovo mondo, a differenza di quel che appare, è tutto cervello e
pochi muscoli. È dunque con il cervello che va riequilibrato. È un mondo di
network che reclama una logica quantistica per essere governato. Il rischio, il
buco nero la cui attrazione ci minaccia, è il decervellamento di massa che crea
vuoti cognitivi irreversibili.
In
politica abbiamo bisogno di una nuova narrazione per una nuova democrazia, una
nuova fondazione che abbia come fondamento:
1.
una sintattica
quantistica in cui le regole dell’infinitamente piccolo valgono anche per
l’infinitamente grande;
2.
una semantica
connettiva in cui il posizionamento dei soggetti politici sia definibile
dalla connettografia tra domini relazionali;
3.
i network vengono governati tramite tre fattori morfologici delle risorse (fattore
fiscale), degli uomini (fattore elettorale) e delle idee (fattore culturale);
4.
integrazione
costituzionale tra governo e governance al fine di evitare vuoti in cui
il governo sia lasciato alle istituzioni e la governance ad istituti governamentali totalmente privi di
legittimazione democratica ed efficacia politica.
Occorre, dunque, riequilibrare la democrazia al nuovo
habitat sociale, non lottare contro improbabili controrivoluzioni.
A me sembra che i ceti intellettuali e politici siano
fuori narrazione, cioè che non abbiano la minima consapevolezza della mutazione
che stiamo vivendo e che, comunque, non facciano alcuno sforzo per ripensare,
descrivere e discutere il senso e il significato di una democrazia che ancora
fluttua nello spazio planetario della società della comunicazione.
[1] ZIELONKA Jan, Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa
Liberale, Laterza, Bari 2018, pag. 15
[2] ZIELONKA J., cit. 2018, pag.
15
[3] DAHRENDORF Ralf, Riflessione sulla rivoluzione in Europa,
Laterza, Bari 1990
[4] RORTY Richard, La filosofia dopo la filosofia, Laterza,
Bari 1989
[5] Wilson O. Edward, LA
CONQUISTA SOCIALE DELLA TERRA, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013
[6] i fenotipi (che possono anche essere
considerati funzioni sistemiche) trasportano energia in forma di informazioni
(teoria cibernetica) ai genotipi (che possono anche essere considerati
strutture): alcune funzioni depositano energia-informazione dentro alcune
strutture, processo decisivo e centrale per l’intera epigenetica.
[7] CECI Alessandro, Cosmogonie del potere, Ibiskos, Empoli
2011.
[8] ŽIŽEK Slavoj Benvenuti in tempi interessanti, Ponte alle Grazie, Milano 2012.
[9] BAUMAN Zigmunt, La modernità liquida, Laterza, Bari 2011
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