GENEALOGIA DELLA DEMOCRAZIA: 8 - La Filosofia Pragmatica (politica) di Cicerone



Pian piano la democrazia, come realtà storica e come concezione politica, comincia ad evaporare.
Possiamo ad esempio sostenere che Marco Tullio Cicerone, nato ad Arpino 106 a.C. e morto il 43 a.C. assassinato sulla spiaggia di Gaeta, ad esempio, fosse un democratico?
Un po’ si e molto no.
Siamo attorno al 56 a.C., negli anni  della “scomparsa di Crasso dalla scena della politica e della vita, ed il definitivo accostamento di Pompeo verso l’aristocrazia senatoria, mentre il 20 gennaio del 52 gli endemici disordini urbani culminarono nel trucidamento di Clodio.  Allora Pompeo aveva dato inizio a un “governo personale mascherato sotto il titolo di «console senza collega» e sostenuto, di fatto, da “gladiatori miloniani” che tenevano sotto pressione il senato.
Il paradigma politico di Cicerone è il logos duopolitikos di Platone e, come Platone, scrive il De republica e il De Legibus; ma, diversamente da Platone, Cicerone dichiara di richiamarsi alla tradizione aristotelica-peripatetica, quella scientifica che avevano elaborato lo stoico Panezio e lo storico Polibio, la tradizione pragmatica delle scienze sociali.
Per Cicerone, infatti, il supremo concetto platonico di giustizia può realizzarsi appieno soltanto “in rapporto alle relazioni sociali. E, come per Polibio, Cicerone ritiene che Roma sia il simbolo storico, l’esempio, di questa scienza sociale in grado di tramutare, con la politica, in pragmatismo storico i valori filosofici: “resta così fondata filosoficamente la giustificazione della necessità per il saggio di partecipare alla vita politica, e l’offrire e il dichiarare tale giustificazione ai suoi concittadini non solo nell’àmbito pratico, ma anche in quello teoretico.   
Tra la nascita di Giulio Cesare e la nascita di Cristo, in 100 anni di storia, i 100 anni più turbolenti del potere e della politica romana, i 100 anni in cui, secondo Luca Canali, abbiamo assistito ad una vera e propria “rivoluzione romana, caratterizzata dall’avvento su proscenio della storia della “plebe urbana e il proletariato rurale (arruolato nelle legioni dopo la riforma mariana), in cui si può constatare “la rivincita della ㄍborghesia》alleata al movimento dei populares”. Su quei 100 anni si staglia, per me, la figura morale e scientifica di Marco Tullio Cicerone.
C’erano: Mario, Silla, Mario contro Silla, Varrone, la rivolta di Spartaco, Crasso, Pompeo, Sertorio, Pompeo contro Sertorio, Crasso contro Pompeo,la congiura di Catilina, Cesare, Cesare contro Pompeo, Bruto e Cassio, Marc’Antonio, Ottaviano, Antonio e Ottaviano  contro Bruto e Cassio, Antonio con Cleopatra, Ottaviano solo, Ottaviano contro Antonio, la battaglia di Azio e Ottaviano che divenne Augusto nel 27 a.C.. Tutti interpreti di un solo scontro, quello predefinito dal logos duopolitikos platonico: da una parte la Repubblica, rappresentata dalla oligarchia del senato, dall’altra la Monarchia, che rappresentava le rivoluzionarie classi emergenti dei populares e della borghesia. Tra di loro, ma anche su di loro, la più alta espressione della filosofia pragmatica, il vero padre fondatore della scienza sociale, l’epistemologo popperiano e quantistico ante litteram che per primo ha fatto della falsificazione teorica nella relazione comunicativa (nella forma dell’orazione) e non maieutica (cioè da cercare in se stessi) o dialogica (cioè semplicemente discorsiva), il connotato della oggettivazione scientifica: Marco Tullio Cicerone.
Naturalmente non entrerò nel dettaglio, per opportunità letteraria e per spazio (riservando altrove questa possibilità). Dirò soltanto che a me sembrano profondamente ingenerose e vacue le contestazioni alla figura di Cicerone di chi insegue permanentemente il mito dei supereroi. Tra questi anche Luca Canali, altrettanto ingeneroso quando afferma che Cicerone “fu un esempio      《illustre》 dell’arte di barcamenarsi: dopo una prima fase di orientamento genericamente 《democratico》- egli era concittadino di Gaio Mario -, oscillò fra impegno politico conservatore e otium cum dignitatae; ma infine, prima di gettarsi allo sbaraglio contro Antonio con le sue famose e insultanti orazioni Antonianae che causeranno la sua morte violenta, tentò persino un illusorio avvicinamento a Ottaviano. Ingenerose, superficiali e totalmente sbagliate.
Nel logos duopolitikos di Platone la democrazia era stata semplicemente cancellata. C’era la Repubblica oligarchica e c’era la Monarchia tirannica.
Marco Tullio Cicerone fu sempre per la Repubblica. Fu conservatore e repubblicano. Forse fu repubblicano proprio perchè fu anche conservatore (perché profondamente legato ai valori tradizionali del mos, cioè del costume o, come diremmo meglio oggi, della identità romana già proposta - e composta - da Polibio).
Cicerone cercava l’equilibrio, concordia ordinum, tra le istituzioni repubblicane, ma un equilibrio costruito sulla base del consenso tra le compagini sociali attive, specialmente tra i senatori aristocratici, gli optimates e gli equites, i borghesi del ceto equestre, come fece quando fu console nel 63 a.C., amato e rispettato per i fantastici risultati politici di buona amministrazione che ottenne.
In questo senso Cicerone può essere annoverato, anche se in piccola parte, tra gli autori della democrazia, quando la democrazia non c’era più da molto tempo. Non soltanto per la sua filosofia pragmatica e per la sua epistemologia critica, ma anche principalmente perché egli favorì sempre la partecipazione sociale alle istituzioni repubblicane, come descrisse nella orazione Pro Sestio, alla costante ricerca di un consensus omnium bonorum, di cui doveva essere garante, all’interno delle istituzioni repubblicane, il princeps. E non bisogna dimenticare un altro elemento fondamentale della teoria politica ciceroniana: il princeps doveva essere espressione della volontà popolare. Sulla base dell’insegnamento ricevuto da Publio Cornelio Scipione Emiliano, Cicerone riteneva che la res publica romana, pur non essendo propriamente democratica, fosse tuttavia res populi, una realtà politica che comunque apparteneva al popolo, anche se questo non poteva e non doveva amministrare. La direzione politica della Repubblica romana che Cicerone difendeva strenuamente spettava al Senato. L’esecutivo era il potere dei Magistrati. La proprietà della Repubblica, però, apparteneva inequivocabilmente al popolo.
Dunque, oltre ogni superficialità, il pensiero politico di Cicerone, la sua ricerca dell’optimus status rei publicae, fondato sulla mikte politeia (cioè con la forma di costituzione mista), è la ricerca di un ordine prodotto dall’equilibrio tra optimates, equites e popularis, in grado di garantire armonia tra idea e storia, tra ratio e res. Soltanto questa condizione può farci passare dalla politica alla socialità, dall’optimus status rei publicae all’optimus status civitatis, alla civicità come presupposto indispensabile di ogni civiltà.  
Al fondo di questa funzione della politica come produttrice di civicità in quanto precondizione di civiltà, c’è l’idea, che verrà successivamente espressa da Bertrand Russell, di un potere-energia in grado di creare socialità, complessità sociale e ordine (comprensivo del caos), come complesso, ordinato e caotico è l’universo.

Non è proprio e necessariamente un pensiero democratico… ma quasi.

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