GENEALOGIA DEMOCRATICA: 10 - SPENTA E RIACCESA


Come abbiamo già visto, il pensiero democratico pian piano si spense. SI spense con l’inesorabile passaggio dal logos tripolitikos al logos duopolitikos fino al logos monopolitikos.
Il modello anomalo della democrazia era stato costruito su 4 principi fondamentali:
1.  l’uguaglianza di fronte alla legge, proposta da Solone, e che aveva trovato espressione fisica nella istituzione della Ekklesia, cioè della assemblea dei cittadini;
2.  la rappresentanza, introdotta dalle riforme di Clistene, che avevano trovato concreta e fisica espressione nella Boulé, cioè nella assemblea dei 500 che approvano le leggi;
3.  l’amministrazione, realizzata da Efialte, che consisteva nel vasto corpo di funzionari pagati che costituivano la burocrazia di Atene;
4.  la partecipazione a un modello politico complessivo e complessivamente equilibrato, realizzato negli anni da Pericle, in cui la oggettivazione delle decisioni veniva definita da appositi tribunali in grado di governare la giustizia (leggi) e di governare con giustizia (etica).
Il passaggio cognitivo fondamentale che affossò  la democrazia per molti anni, è avvenuto, come abbiamo descritto nell’analisi del pensiero politico nella Antica Roma, con la transizione dalle forme di governo (Aristotele) alla definizione della natura del potere (Seneca).
La democrazia fu affossata inesorabilmente. Non definitivamente, però.

Secondo Massimo L. Salvadori, la democrazia “entrò in una notte destinata a durare quasi duemila anni, vale a dire da IV secolo a. C. al XVII secolo d.C.”.
Più precisamente noi abbiamo datato a Seneca l’avvento della notte democratica, considerando anche la penombra pomeridiana del Governo Misto di Cicerone.
Il problema non cambia.
Di qualche secolo prima o di qualche secolo dopo, precedente o meno al “meriggiare pallido e assorto” della filosofia politica democratica, sempre di una lunga, lunghissima e oscura notte si tratta.

Per Massimo  L. Salvadori è proprio da dove è stato affossato che il concetto (e la concezione) della democrazia riemerge: dal problema della legittimazione del potere. Il pensiero democratico, secondo Salvadori, riemergerebbe dalla dissacrante argomentazione di Marsilio da Padova.
Ề proprio vero?
E poi, la democrazia che è emersa è la stessa democrazia che è stata affossata?
Finley sostiene chiaramente di no.
Per Finley:
1.  la democrazia degli antichi è prescrittiva o normativa, cioè ci dice “come eventualmente si dovrebbe agire”, mentre la democrazia dei moderni è descrittiva, ci dice come è e come funziona un sistema democratico: “tutti i pensatori politici antichi esaminarono le diverse forme di governo dal punto di vista normativo, cioè in base alla capacità con cui ciascuna di esse poteva aiutare l’uomo a conseguire un obiettivo morale nella società”, mentre gli autori moderni “si astengono dal porsi diversi obiettivi ideali, evitano concetti come quello di vita buona e insistono sui mezzi, sull’efficienza del sistema politico, sulle sue caratteristiche pacifiche e aperte”.
2.  La maggioranza dei moderni è favorevole alla democrazia, mentre la maggioranza degli antichi non lo era: “Nell’antichità gli intellettuali nella stragrande maggioranza erano contrari al governo popolare, e di questo loro atteggiamento fornirono varie spiegazioni proponendo di volta in volta diverse alternative. Probabilmente la maggioranza dei loro eredi moderni, specialmente ma non soltanto in  Occidente, concorda al contrario, sul fatto che la democrazia è la migliore forma di governo immaginabile, oltre che la meglio nota; tuttavia molti convengono che i principi tradizionalmente invocati per giustificarla, non hanno un’applicazione pratica né si può permettere che l’abbiano se si vuole che la democrazia sopravviva”.
3.  Inoltre, gli Antichi erano pochi, noi siamo tanti: “la popolazione ateniese occupa un territorio di circa 7.500 kmq. di superficie, equivalente circa al Granducato del Lussemburgo. Nei secoli V e VI a.C. i due centri urbani dell’Attica, la città di Atene e il porto del Pireo non accolsero mai più della metà di essa; anzi per la maggior parte del V secolo la frazione urbana fu assai più vicina  a un terzo che alla metà”. Nel massimo periodo di presenza urbana, Atene non superò mai i 40 o 45 mila cittadini maschi adulti: si tratta di una “società face to face, che forse può risultare familiare i una comunità universitaria di tipo anglosassone, ma che non ha riscontro oggi su scala municipale e tanto meno su scala nazionale”.
4.  Sbaglia invece clamorosamente Finley nel sostenere che, l’assenza di una comunicazione pubblica, cioè “un mondo privo di mezzi di comunicazione di massa” e addirittura “privo di mezzi di comunicazione come li intendiamo noi”, non fosse “una spiegazione sufficiente” per la individuazione delle differenze tra democrazia degli Antichi e quella dei moderni. Così come totalmente sbagliato è ritenere che “la democrazia ateniese era diretta, non rappresentativa” o che “non esisteva alcuna forma di burocrazia”. La riforma di Clistene introdusse, come abbiamo visto, il principio fondamentale della rappresentanza nell’assemblea dei 500 e la riforma di Efialte era chiaramente indirizzata alla costituzione di una burocrazia amministrativa. Piuttosto l’assenza dei mezzi di comunicazione che non fosse l’araldo, fanno per noi una differenza che, per dirla con Sartori, fa tutta la differenza.
5.  un altro elemento di notevole differenza tra la democrazia degli antichi e quella dei moderni consiste nella “questione del grado di istruzione e di preparazione del cittadino medio”. Su questo aspetto però non mi pare ci sia una grandissima differenza tra l’epoca antica e quella moderna.  Il problema è stato trattato da Platone principalmente nel Teeteto e che oggi si traduce nella ipotesi della incompetenza da parte di un popolo totalmente impreparato a decidere dei complessi problemi economici e sociali. non credo tuttavia che sia un problema giusto e nemmeno giustificato. non soltanto perché in una democrazia i cittadini quasi mai decidono direttamente la soluzione di un problema. Ai cittadini spetta essenzialmente il compito di decidere chi è che deve decidere. In primo luogo perché non è vero che chi è più preparato è anche colui che decide nel migliore dei modi, come dimostrano i tanti danni irreversibili della tecnocrazia. In secondo luogo perché il problema non è chi deve decidere, ma come si decide, cioè non è la qualità del decisore che conta ma la qualifica del processo decisionale. Inoltre, nelle democrazie dei moderni e in quella degli antichi la decisione politica è sempre supportata da una presa di coscienza tecnica, ai politici spetta il compito di decidere portando a sintesi sociale le informazioni derivanti dalle competenze tecniche, a tutela dei cittadini elettori e della loro vita reale. Ancora, non è poi vero che ai politici decidono tutto, spesso decidono soltanto sugli indirizzi generali e votano talvolta soltanto sui contenuti tecnici. Esistono poi degli organi nella democrazia che si specializzano con una discussione pubblica, come ci ha insegnato Cicerone per primo a Popper poi, la orazione politica (cioè una congettura falsificabile) non sempre è soltanto demagogica; spesso è il presupposto di una oggettivazione critica. Una oggettivazione che, specie nelle scienze sociali, non riguarda soltanto, come voleva Platone, il problema della demarcazione tra doxa, opinione, ed epistemé, conoscenza. Ề un problema che riguarda principalmente la la acquisizione di una scienza della vita, come l’ha chiamata Husserl, cioè una lebenswelt che contiene e supera la tradizionale epistemologia banalmente costruita sui criteri della ripetitività e della riproducibilità. Senza entrare in una lunga disquisizione, possiamo sostenere che le scienze sociali in generale (e la decisione politica in particolare) sono condotte essenzialmente dalla lebenswelt. per tutti questi motivi, e per altri che se ne potrebbero indicare, la democrazia, nella storia, ha statisticamente sbagliato meno, molto meno, di ogni altro regime politico noto. Nonostante la incompetenza media dei cittadini.
6.  C’è tuttavia un altro tema, non differente ma comune alla democrazia degli antichi e dei moderni. Ề un tema che fa da sfondo e da presupposto politico di ogni democrazia in ogni periodo storico. La politica è sempre (e in democrazia ancor di più) pedagogica. Insegna. Alla fine, a forza di viverla, la politica la si impara. La competenza politica degli italiani rispetto al resto del mondo, ad esempio, istintivamente e razionalmente, è di gran lunga superiore perchè la società italiana è stata quasi esclusivamente una società politica. La politica è pedagogica.  La democrazia, che in Italia non c’è quasi mai stata, è pedagogica del civismo e della civiltà.

Dunque no, la democrazia degli antichi non è la stessa di quella dei moderni, è diversa, ma non è altra. Ề una categoria diversa dentro la stessa tipologia, come la democrazia dei contemporanei è una diversa categoria della democrazia dei moderni, nella stessa unica tipologia.
In realtà, mentre la democrazia affossata come forma di governo era un modello di vita, la democrazia riemersa come legittimazione del potere era un metodo per agire politicamente e per governare sistemi complessi.

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