GENEALOGIA DEMOCRATICA: 4 - Pericle
a)
Il modello democratico
Atene era allora un grande puzzle scomposto. Un pezzo di qua
un pezzo di là, un potere sopra, un potere sotto.
Pericle, Περικλῆς, figlio di
Santippo e Agariste, Alcmeonide da parte di madre, nato ad Atene il 495.a.C. e morto per causa di peste il 429 a.C., “uomo di grandi capacità nella parola e nell’azione”[1], che sostenne Temistocle l’innovatore
e avversò Aristide il conservatore, che accusò di corruzione
Cimone per legarsi politicamente e in amicizia al democratico radicale Efialte,
“potente
per dignità e senno, chiaramente incorruttibile al denaro, dominava il popolo
senza limitarne la libertà, e non era da lui condotto più di quanto egli stesso
non lo conducesse”[2],
Pericle fu il primo a
comporre questo puzzle, lanciando un monito irrinunciabile e definitivo agli
anni futuri: la democrazia è un modello.
La democrazia non è un atto né un fatto. Non è una mera
manifestazione di volontà, un desiderio per quanto sia stato espresso e sia
ancora esprimibile. Né è un evento naturale della storia, un fenomeno
inevitabile e incontrollabile in quanto parte della dinamica ecologica della
vita. La democrazia è un modello, non solo politico, un modello complesso e
complessivo che si compone, con equilibrio, di una infinita quantità di
elementi: l’orazione, la strategia, il comportamento, la tolleranza, la
capacità e l’accettazione critica, lo stile, gli istituti, le istituzioni, le
leggi, la loro applicabilità, il loro rispetto, l’etica, lo stile, l’arte, la
rappresentanza e la rappresentazione, la forza militare, il controllo della
sicurezza, la qualità dell’habitat, la educazione, la giurisdizione, la
competenza tecnica e quella militare, la forza, la cultura, l’immagine,
l’uguaglianza giuridica, la vicinanza sociale, la opportunità economica, le
tasse e i contributi, la concentrazione e la distribuzione della ricchezza, la
sicurezza interna e la espansione esterna, il controllo dei soldi e quello dei
patti, potere, potenza, autorità, autorevolezza, opposizione, consenso e
l’amore perfino.
La democrazia è un modello che si alimenta della vita che ne
fluisce dentro.
Pericle lo ha insegnato alla storia e noi ancora non lo
abbiamo del tutto appreso.
Dunque, affinché la democrazia funzioni, è indispensabile che
la vita ne fluisca dentro, cioè la partecipazione dei cittadini alla politica:
“noi, infatti, siamo i soli a considerare
un cittadino che non prende parte agli affari pubblici, più che inattivo,
inutile”[3].
Il modello democratico si sostiene su quattro pilastri
essenziali.
1.
L’educazione, ogni città ha
bisogno di una educazione che sia connotativa di quella città e, dunque, Atene
aveva bisogno di educare i suoi cittadini alla cultura e ai valori di Atene. Si
chiamava paideia e si poteva realizzare soltanto in determinato habitat
sociale: “affermo che tutta la città è la
scuola della Grecia, e mi sembra che ciascun uomo della nostra gente volga
individualmente la propria indipendente personalità a ogni genere di
occupazione, e con la più grande versatilità accompagnata da decoro”.
2.
Il
consenso politico, legato
inscindibilmente al processo decisionale, nella nomina delle istituzione, nella
gestione degli istituti, nella scelta delle politiche, nella produzione delle
leggi e anche, per quanto riguarda la giurisprudenza, nella emanazione delle
sentenze: poiché, infatti, “i diritti civili spettano non a
poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia”.
3.
La partecipazione, nella parità, se non delle
opportunità o delle condizioni, almeno delle considerazioni (l’applicazione
della legge e l’azione politica); la capacità di vivere interamente la vita
sociale e politica; di mettersi a disposizione della collettività con le
proprie attitudini e le proprie capacità; di essere rispettosi dei reciproci
comportamenti; di impegnarsi ad assicurare la legalità pubblica e privata, la
competenza nell’ambito della amministrazione (che somma decisore politico e tecnico
burocratico): “di fronte alle leggi, per
quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità,
mentre per quanto riguarda l’amministrazione dello stato, ciascuno è preferito
a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da
una classe sociale, ma più che per quello che vale”;
4.
La temperanza, termine più adatto di
equilibrio (appartenente alla filosofia politica di Solone – la temperanza
riduce le distanze, l’equilibrio, indipendentemente dalle distanze, evita la
disarticolazione -), di ordine economico (“E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono
alla città, non ne è impedito dall’oscurità del suo rango sociale”), di
ordine sociale (“Liberamente noi viviamo
nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge
dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci con il
vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda
molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi.”),
di ordine cognitivo (“ponderiamo
convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un
danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle
discussioni prima di entrare in azione”), ma principalmente di ordine etico
(“Senza danneggiarci esercitiamo
reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza
soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono
nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a
tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi
le infrange una vergogna da tutti riconosciuta”).
b)
Egemonia politica
Che sia fedele o no, il discorso di Pericle per i
morti della I guerra del Peloponneso, riportato da Tucidide e
molto noto, esprime effettivamente il senso della politica democratica di
Pericle, replicato, anche se con diversi toni e accenti, da distinti e diversificati autori E
confermato, direi, giustificato, dal suo comportamento, dalle sue azioni
politiche.
Il modello democratico si sostiene, questo è il
senso generale del discorso, soltanto con la Egemonia Politica: “abbiamo una costituzione che non emula le
leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio che imitatori”.
Egemonia, in greco ἡγεμονία, era in Grecia Antica un elemento politico concreto.
Quando si costituiva una lega o un accordo tra diverse città stato, la città
che aveva preminenza politica sulle altre era, appunto, egemone. La città
egemone aveva dei doveri, quello di difendere i territori delle città alleate,
e dei diritti, riscuoteva infatti dei tributi, spesso anche pesanti. Quando
queste organizzazioni internazionali entravano in guerra, il comando spettava
ad un generale della città stato egemone. Pericle era perfettamente cosciente
della egemonia militare marittima di Atene, costruita da Temistocle, che
rafforzò decisamente, sia per controllare la possibile invasione persiana, sia
per contrastare la forza nei combattimenti a terra di Sparta, sia per integrare
la protezione di tutto il territorio greco:
“ la potenza dell’impero, nella maggior parte
dei suoi elementi l’abbiamo accresciuta noi stessi, che oggi siamo ancora più o
meno nell’età di mezzo e abbiamo reso la
città sotto tutti gli aspetti sufficiente a se stessa al massimo grado sia per
la guerra, e sia per la pace.”
---I
due atti fondanti della politica egemonica di Atene, durante il periodo di
Pericle, sono:
- in politica
estera, il rafforzamento della
Lega Delio-Attica e il controllo politico, ma anche principalmente
economico, di Atene sulle città alleate. Nel 478 a.C., quando Pericle
aveva soltanto 17 anni, gli Ateniesi fondarono una summachia, una Lega di città costiere necessaria per
proteggersi dalle invasioni persiane via mare. La città scelsero in
piena autonomia e spontaneamente di “riunire
le loro forze sotto la direzione di Atene per impedire il ritorno dei
persiani nell’Egeo”[4]. Ciascuno avrebbe dovuto garantire agli altri, in
modo proporzionale alla sua forza, gli eserciti e le navi di cui aveva disponibilità.
Laddove ciò non fosse stato possibile e per la costruzione di un comune
nuovo apparato militare di protezione, era previsto un tributo (phoros) che le città avrebbero
dovuto versare. Quasi tutte le città, nel tempo, decisero di tenersi le navi
e i militari. Quindi pagarono annualmente il tributo. “In sintesi, Atene combatteva, gli
alleati pagavano”[5]. Il tema dell’imperialismo ateniese e del ruolo di
Pericle è molto controverso e discusso, anche malamente discusso per le
comparazioni inopportune o decisamente sbagliate, con l’imperialismo politico
statunitense in epoca contemporanea. C’è chi considera l’imperialismo
ateniese, fortemente enfatizzato da Pericle, come acerrimo o ingannevole.
Chi viceversa lo considera un imperialismo pacifico. Ciascuno può farsi
l’idea che vuole. Per quel che interessa a noi, nell’ambito della
genealogia del pensiero democratico, possiamo sostenere senza sbagliare
(cito testualmente) che “Pericle
fu probabilmente il primo a teorizzare la necessità dell’imperialismo
ateniese e a mettere in scena il dominio della città sugli alleati della
lega”[6]. Faccia piacere oppure no, l’imperialismo è una
parte, non so se ineliminabile, del pensiero politico democratico.
- in politica interna, il rafforzamento dell’organizzazione e dell’immagine della città. Pericle, nonostante le forti lamentele e le contestazioni, utilizzò i tributi degli alleati della lega Delio-Attica, piuttosto che per le spese militari e la protezione collettiva (come pure approvato dal consiglio della Lega – synedrion -) esclusivamente per le opere nella città di Atene, che ne cambiarono la fisionomia e ne migliorarono l’efficienza: estese le mura per proteggere il collegamento tra la urbanità interna e il Pireo, il suo porto dove costruì nuovi arsenali, moli e magazzini; accrebbe la flotta mercantile di Atene necessaria per la ricchezza dei commerci esterni; riordinò o interamente costruì i templi che costituivano la magnificenza di Atene, come l’Acropoli, o i Propilei, o l’Eretto, ol il Tempio di Atena Nike, o infine l’immenso Partenone. L’egemonia politica interna, tuttavia, fu sancita da Pericle con una legge sulla cittadinanza, che egli fece approvare nel 451 a.C., in cui si stabiliva che fossero cittadini ateniesi, cioè depositari di diritti e doveri politici, tutti coloro nati da padre e madre ateniese. La legge, che poi Pericle avrebbe in qualche modo subìto[7], che a noi sembra oggettivamente restrittiva (e forse lo è davvero), serviva in realtà ad arginare l’accesso al potere di Atene da parte di cittadini provenienti da altre città della Lega Delio – Attica; cittadini di Atene perché nati ad Atene, ma da genitori stranieri e magari portatori di interessi extra urbani. Oltre perfino le intenzioni del suo ideatore, tuttavia, quella legge congiunse per la prima volta lo ius soli con lo ius sanguinis, annullando definitivamente il diritto politico proveniente da una casta o da una classe. Comunque quella legge stabilì, come sarà poi per Roma, la egemonia politica (se non spesso la supremazia) di Atene e dei suoi cittadini, su tutti gli altri.
Fautori e avversari di Pericle sono ancora oggi all’opera a
giustificare o a condannare, a sostenere o a negare, la verità di situazioni e
dichiarazioni incontrollabili. Noi abbiamo una metodologia epistemologica, la
decostruzione, per verificare il verosimile dal clamorosamente falso, l’opportuno
dall’inopportuno, il significante dall’insignificante. Basta vedere la
corrispondenza tra le dichiarazioni, per quanto enfatiche e modificate, e i corrispondenti
comportamenti storici.
I fatti parlano.
Nella storia sono i fatti a giustificare le parole, non
viceversa.
I fatti parlano.
I fatti che parlano ci indicano una lineare coerenza nella
prima costruzione di un modello democratico, ripeto, complesso e complessivo.
Il pensiero democratico non è espresso semplicemente in una
teorizzazione.
Il pensiero democratico si evince dall’azione e dalla
organizzazione politica.
I fatti politici che ci parlano ancora nella storia, ci
dicono allora che l’insorgenza democratica ha avuto qui, nell’Atene di Pericle,
un primo modello di riferimento, una sua prima fisionomia.
Pericle non fu certo avulso da errori. Proprio questa però è
la grandezza della democrazia che ci è stata indicata: quella della costruzione
di un modello dinamico; l’unico regime che può imparare dai propri errori e che
cerca di correggerli continuamente, per evitare che questi errori si
trasformino, prima o poi, in orrori.
[1] Tucudide, La Guerra del Peloponneso,I, Rizzoli, Milano 2008, pag. 126
[2] Tucidide, Le Storie, vol.I, 40/41, Utet, Torino
1982, pag. 336
[3] Tucidide, cit. 1982, pag. 339
[4] Azoulay V., cit. 2017, pag.
59
[5] Azoulay V., cit. 2017, pag.59
[6] Azoulay V., cit. 2017, pag.59
[7] I figli
che ebbe dalla moglie ateniese morirono entrambi nella guerra del Peloponneso.
Rimase il figlio che ebbe con Aspasia che non era ateniese ma di Mileto. Gli ateniesi
fecero una deroga alla legge per permettere al figlio, Pericle il giovane, di
godere di diritti politici per i meriti del padre, Pericle il vecchio.
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