GENEALOGIA DELLA DEMOCRAZIA: 2 - Clistene
Non Solone, dunque,
l’innovatore e il conservatore Solone, inventò la democrazia. Egli
piuttosto inventò la politica, quella particolare ed unica dimensione della
politica che è l’azione, la responsabilità dell’agire politico.
Per raggiungere l’equilibrio, che per i Greci era
contemporaneamente fisico e sociale (essendo entrambi una dimensione della
fenomenologia), per evitare la dysnomia,
il disordine, con l’eunomia, l’equilibrio,
occorreva il buon governo, cioè la volontà e la capacità dei cittadini di
occuparsi della propria città, della polis,
l’urgenza della politica. “Incontriamo
qui per la prima volta l’idea di una responsabilità dei cittadini nei confronti
della città. Non gli dei, non i re, neppure la classe aristocratica dominante,
bensì tutti insieme sono colpevoli, se le cose vanno male. Forse non lo sono
tutti nella stessa misura,e sicuramente non si può fare alcunché senza qualcuno
che rimetta le cose a posto. Ma col suo aiuto si può individuare una strada. Alla
responsabilità corrisponde così la possibilità di fare qualcosa. Questo, oggi ,sembra
banale, ma allora era una cosa nuova e stimolante. Se per molte idee del
pensiero politico dei Greci esistono paralleli anche altrove, persino in Cina,
su questo punto non se ne trovano: comincia qui un pensiero politico
specificamente europeo.”[1]
La responsabilità e la possibilità, etica e conoscenza, sono i due
elementi fondamentali per l’azione di cura (buon governo) della polis, della politica. Solone esercitò
questi due elementi finalizzati all’equilibrio sociale con il suo
comportamento, autorevole ma mai autoritario, e con la riforma dei 3 fattori
morfologici di ogni organizzazione politica: fiscale, con la seisáchtheria
(cioè lo «scuotimento dei pesi»); elettorale,
con la trasformazione del βουλή (Boulé dei Quattrocento); linguaggio, con la predisposizione di áxones (parallelepipedi rotanti su cui erano affisse le leggi che
tutti avrebbero potuto e dovuto conoscere).
Tuttavia Solone, che inventò un “modo di essere della polis stessa”[2],
la politica, non generò la democrazia. Certo la sua Tirannide elettiva non fu
mai Tirannide assoluta. Pur sempre una Tirannide era. Dopo aver redatto le
riforme scomparve per un certo periodo di tempo (sembra 6 mesi) per permettere ai
cittadini di riflettere sulle leggi proposte che non dovevano essere imposte.
Solone, che fu “il primo
«cittadino» che ci sia noto”[3],
non ebbe successo e per assistere alla nascita della democrazia abbiamo dovuto
aspettare. Egli scontentò sia i nobili, a cui aveva sottratto terre e crediti,
sia il popolo a cui non aveva consentito di assumere il potere politico (le
cariche dello Stato erano vietate ai Teti – ai poveri). Alla sua Tirannide
dolce seguì quella amara di Pisistrato, ma l’insorgenza politica non può essere
frenata.
La riforma timocratica[4]
di Solone va dal 594 al 591 a.C.
Circa altri 90 anni dopo, nel 508 – 507 a.C., le riforme di
Clistene (570 a.C.), figlio di Megacle e di Agariste, figlia del tiranno di
Sicione, che si chiamava pure lui Clistene, daranno un nuovo, potente
contributo alla genesi della democrazia.
Il rinnovo del nome non corrispose al rinnovo del comportamento
politico. Clistene il nipote era ateniese e, a differenza del nonno tiranno, “deve essere stato un uomo straordinariamente
saggio”[5].
La cosa più importante per il futuro di Atene e per la nascita della democrazia,
però, fu che egli apparteneva alla ricca e potente famiglia degli Alcmeonidi,
i più fervidi fautori del governo del popolo.
La maledizione degli Alcmeonidi, causata da un sacrilegio contro
la tirannide di Cilone, li rese invisi ad una certa aristocrazia e, quindi, ben
accolti dal popolo che a loro volta sempre favorirono con un certo numero di
riforme. Una delle più importanti fu certamente quella proposta da Clistene
come conseguenza diretta della trasformazione volute da Solone: il passaggio
dalla eunomia alla isonomia.
Isonomia significa “uguaglianza
di fronte alla legge”, cosa che, prima di Clistene non era evidentemente
garantita. Furono dunque istituite giurie che variavano, sempre di numero
dispari, tra 201 e 5001 giurati, sorteggiati a campione nelle tribù.
Clistene, in estrema sintesi, fu il primo a stabilire che il
diritto di cittadinanza e il potere politico non dovessero derivare dal alcun
censo nobiliare e da nessuna classe sociale, ma direttamente dalla
organizzazione della polis. È solo la
città che determina la cittadinanza. Quindi l’unica garanzia di partecipazione
reale è la sua organizzazione, la sua forma.
La coerenza della forma era la sostanza della riforma politica di
Clistene. Se le condizioni di sfondo in cui esercitare la libera azione umana
fossero state oggettive, la giustizia sociale e la integrazione politica data
dalla partecipazione era assicurata. La forma doveva essere talmente oggettiva
che le fondamenta di Atene divennero la tavola pitagorica e la divisione della
città fu costruita su una precisa coerenza integrativa di ordine matematico. Niente
più censi nobiliari, niente più classi sociali, soltanto 10 tribù, ciascuna con
15 demi a testa (5 della costa, 5 della pianura, 5 della collina). Il demo era
la comunità locale di appartenenza, quella che oggi noi chiamiamo municipalità
nelle aree metropolitane. La nascita dei demi è politicamente fondamentale
perché, per la prima volta nella storia, i cittadini venivano riconosciuti, non
per il vincolo di consanguineità con il padre (patronimico), ma per il vicolo
in cui si è nati, per il nome del proprio demo, per la propria residenza. Dal
vincolo al vicolo, si consuma interamente il passaggio dalla eunomia alla
isonomia.
Sempre per rispetto del proprio oggettivo rigore matematico la
Boulè divenne di 500 membri (50 per ogni tribù) sorteggiati; 10 divennero gli
strateghi e 10 gli arconti (1 eletto da ogni tribù). Potremmo fare un gioco e
cercare di capire la motivazione matematica per la composizione di numeri
(1,3,5,10) che Clistene utilizzò per organizzare l’attica e Atene. L’unica che considero
plausibile è quella di ordine epistemologico: Clistene voleva dare una
dimensione oggettiva alla organizzazione della città per attribuire con
giustizia la cittadinanza.
Il paradosso sta nel fatto che, per difendere questo meccanicismo
politico, per evitare il ripristino della tirannide e per contenere le
ricorrenti perturbazioni politiche, Clistene istituì la pratica dell’ostracismo
(un minimo di 6001 cittadini poteva considerare pericoloso un cittadino ed
esiliarlo dalla città senza confiscarne i beni) che per primo, nel 487 a.C.,
subì.
La maledizione degli Alcmeonidi consiste anche un poco nella
comica condizione di aver creato danni a se stessi. D’altronde, se una riforma
funziona, se isonomia significa uguaglianza di fronte alla legge, la legge non
deve fare distinzioni. L’ostracismo subito da Clistene è la prova più radicale e
definitiva della oggettività (anche se non della sua opportunità) delle sue
decisioni.
La politica, se è giusta, è così: ingrata.
In ogni caso, per la nascita della democrazia dobbiamo ancora
aspettare.
[1] Meier Christian, Atene, Garzanti, Milano 1996, pag.63
[2] Meier C., cit. 1996, pag.70
[3] Meier C., cit. 1996, pag.72
[4] che
consiste nel passaggio dal censo nobiliare alle classi sociali
[5] Meier C., cit. 1996, pag.80
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