LA MINACCIA STORICISTICA ALLA DEMOCRAZIA
Gianni Vattimo inizia il suo ultimo libro
affermando: “In un mondo in cui il controllo
sulle vite dei cittadini e le politiche di sicurezza sono sempre più
oppressive, sembra infatti che le verità della metafisica tradizionale siano
ciò di cui non si ha più necessità”[1].
Sempre più oppressive rispetto a che?
Rispetto a chi?
Rispetto al passato?
Che cosa vuol dire che le politiche di sicurezza
sono sempre più oppressive oggi rispetto al Medio Evo, alla vita politica durante
il fascismo, durante il nazismo, durante il comunismo? Politiche di sicurezza
sempre più oppressive rispetto alla teocrazia, alla tirannide o al
totalitarismo?
L’affermazione è decisamente incomprensibile e neanche
certa: nel mondo intero, nemmeno solamente in occidente e certamente anche in
occidente – se non principalmente in occidente –, il cittadino sarebbe
sottoposto ad un controllo della propria vita sempre maggiore rispetto a un
prima indefinito, con politiche di sicurezza che giorno dopo giorno, oggi verso
il futuro – se le cose resteranno così – sono sempre più oppressive.
Naturalmente questa non è la realtà. È soltanto
una interpretazione, una verità, la verità dell’ermeneutico militante Gianni
Vattimo. Il che è coerente, dal punto di vista di Vattimo, che rifiuta “il
principio di realtà” in quanto ritenuto un principio di conservazione dello status quo e dunque non una
verità-azione in grado di cambiare o addirittura rivoluzionare il mondo. “Il mondo di domani a cui guarda, aspira, l’ermeneutica
è un mondo dove le cogenze «oggettive», il «principio di realtà» - che ormai si
identifica sempre di più con le leggi del capitalismo finanziario – dovrà sempre
più confrontarsi con l’ampliarsi del mondo del dialogo, della
verità-evento,della progressiva simbolizzazione che, mettendo in secondo piano
gli oggetti per farne dei termini di comunicazione tra soggetti, ridurrà anche
sempre più la violenza dell’immediatezza.”[2]
Considero questa affermazione un coacervo di
pregiudizi incerti e, per questo, la legittimazione filosofica di ogni
totalitarismo.
Che l’ermeneutica, cioè la capacità di
interpretare le cose, sia in condizione di determinare un mondo di cogenze “oggettive”,
è un pregiudizio.
Che il principio di realtà si identifichi sempre
più con il capitalismo finanziario, è un pregiudizio.
Come è un pregiudizio contraddittorio considerare
l’esistenza di un principio di realtà imposto che in quel caso sarebbe una
interpretazione, cioè una ermeneutica.
Che l’ermeneutica sappia confrontarsi con l’ampliarsi
con il mondo del dialogo, è un pregiudizio.
Che si possano mettere in secondo piano gli
oggetti, facendone solo termini del linguaggio tra parlanti, è un pregiudizio.
È un pregiudizio perfino che esista una violenza
della immediatezza.
D’altronde, ogni interpretazione, ogni
ermeneutica, è sempre comunque un pregiudizio.
So che Vattimo sostiene che la sofferenza trasforma
l’ermeneutica, che è interpretazione degli eventi e non una ideologia, non è cioè
una metafisica oggettivistica, in “filosofa
della storia” e, dunque, nel criterio interpretativo della totalità degli
eventi nella storia. Tuttavia, a parte il
buon cuore della difesa permanente degli addolorati, è proprio questo il
rischio, direi la minaccia, implicita e più devastante.
Travolto dalla dirompente esperienza della
rivoluzione russa nel 1917, Karl Popper, nel 1919-1920, elabora un testo,
parafrasando Marx[3],
dal titolo “Miseria dello Storicismo”[4],
che finirà soltanto nel 1935 con l’insorgenza e l’affermazione di movimenti
fascisti in Italia e nazisti in Germania. Per Popper, in sintonia con gran parte della filosofia
politica, lo storicismo è quella
concezione della storia e del corso del mondo costruita sulla base di interpretazioni
universali della evoluzione della umanità. La “sofferenza” di Vattimo.
Insomma, farsi filosofia della storia, è comunque
estremamente pericoloso, anche senza una metafisica oggettivistica. Ogni
filosofia della storia è una concezione totalizzante della vita. L’argomentazione
giustificativa di Vattimo, secondo cui l’ermeneutica e la democrazia sono comparabili
perché l’ermeneutica è dialogo - addirittura fa dell’uomo dialogo - e quindi ha
una base comunicazionale comune con la democrazia, è banale. La democrazia non
è solo, né automaticamente, comunicazione, specie se la comunicazione, se il
dialogo è quello che viene consentito. E non è un caso che Vattimo abbia come
riferimento la rivoluzione, l’esigenza dell’uomo nuovo, della società
trasformata radicalmente secondo l’interpretazione storicistica imposta.
Mi fermerei qui per ora: alla considerazione che
stanno riemergendo antichi presupposti filosofici del totalitarismo e la solita
minaccia storicistica alla democrazia, in cui tutto ciò che non rientra nell’elemento
che trasforma l’ermeneutica in filosofia della storia, pur senza una metafisica
oggettivistica, non è significativo.
Diceva Marx che la filosofia deve smettere di
interpretare il mondo, lo deve cambiare. Vattimo sostiene che senza
interpretazione il mondo non può essere cambiato.
Una cosa è certa: se queste sono le
interpretazioni è meglio che il mondo, con tutti i suoi enormi difetti, resti
così com’è.
[1] Vattimo Gianni, ESSERE E
DINTORNI, La nave di Teseo, Milano 2018, pag. 13
[2] Vattimo G., cit. 2018, pag.
83
[3]Marx karl, MISERIA DELLA
FILOSOFIA, Bi Classici, Milano 2016
[4] Popper Karl, MISERIA DELLO
STORICISMO, Feltrinelli, Milano 1976
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