HAVE CONTRO HAVE-NOT



In Italia, e forse nell’Occidente intero, è in corso, latente, sotterraneo, trasversale, uno scontro molto più violento e molto più devastante di tutti quelli a cui abbiamo assistito finora. È uno scontro apparentemente gestibile perché poco evidente, che spesso si esprime nelle forme della criminalità individuale o dell’abbandono, della distruttività aggressivi della violenza bullistica o della distruttività regressiva dei ritirati sociali. Apparentemente, però.
È un nuovo fantasma che gira tra noi, trasparente, etereo ma altrettanto devastante, perché non toglie proprietà, soldi o ricchezza, ma toglie chance, toglie possibilità, toglie vita. È un fantasma che non si può solidificare in una classe o in un gruppo di pressione, ma proprio per questo molto più destabilizzante ed escludente; perché quando si solidifica in un gruppo di pressione e raggiunge il suo obiettivo politico lo fa inevitabilmente a scapito di altri, che restano soli, non solo alienati, ma abbandonati.
È lo scontro politico, giuridico, economico e sociale, ma anche logico e psicologico, tra gli have e gli have-not: tra coloro che hanno privilegi e coloro che non ne hanno.
Si tratta talvolta di uno scontro corpo a corpo, anche fisico e individuale: tra chi ha il privilegio di avere un posto fisso e chi non ce l’ha; tra chi nasce ricco e auto realizzato e chi deve lottare per sopravvivere; tra l’immigrato che ha conquistato una dimensione misera di vita che teme più di tutti gli altri il nuovo immigrato che potrebbe strappargli il privilegio della sopravvivenza come manovalanza; tra chi è professionalizzato e chi non lo è; tra chi ha un titolo di studio utilizzato e chi non lo ha o perché non lo ha preso o perché non riesce a viverlo; tra chi è integrato socialmente e chi non lo è; tra chi ha il privilegio di parlare ed essere ascoltato e chi non lo è, ammutolito e tacitato; tra chi ha il privilegio di essere tutelato da una norma, da una qualsiasi forma giuridica, perfino da una sentenza, e chi non ne ha nessuna; tra chi può capire, sapere, informare e chi non può; tra chi ha un ruolo identificativo e chi non ne ha; tra chi partecipa alla comunità politica (maggioranza o opposizione non conta) e chi non può partecipare escluso dai riti e i miti, da procedimenti e procedure con cui si proteggono; tra chi ha la possibilità di essere casta e chi no; tra chi ha una famiglia e chi non ce l’ha; tra la persona amata e chi resta solo e privo di affetti; tra chi ha il privilegio di avere un pur minimo privilegio e chi non ne ha alcuno.
Molto più spesso si mostra nelle sue trasparenze di fantasma perché consiste nello scontro di un singolo individuo contro un gruppo di pari che sa di godere di un dannatamente minore vantaggio, di un privilegio di niente, ma lo protegge con le unghie e con i denti, con una nota interpretativa ingiustificata ma utile, con un deliberato finalizzato, con una pressione politica lobbistica che influenza una decisione funzionale a mantenere quello scarto di privilegio contro l’ingresso dei singoli.
È uno scontro che non si vede, perché è il gruppo che si auto-legittima contro un singolo solitario individuo che non può avere alcuna legittimazione. E che pure, quelle poche volte che riesce ad ottenere, ad  entrare nel frammentario mondo dei privilegiati con qualche micro opportunità che subito si trasforma in micro vantaggio, diventa lui il privilegiato escludente che sente la minaccia di chi lo insegue, di chi vuole usurpare il proprio diritto ad ottenere. Tento più è vicino, tanto è più sottile il confine tra gli have e gli have-not, tanto è più violento lo scontro, tanto più dura è la relazione sociale, tanto più acerrima è l’esclusione. Anche perché tutti sanno che chi ottiene un lavoro non ottiene un amore, chi ha il privilegio di esistere non ha quello di essere, chi vince in una dimensione di vita perde in un’altra, chi è have in un contesto è certamente have-not in un altro. Perché questo ha di tipico un privilegio: non si può distribuire, si ottiene soltanto a discapito di altri;  per avere un privilegio qualsiasi è indispensabile che altri non lo abbiano. Il fantasma dello scontro tra have ed have-not si auto alimenta con il suo stesso scontro. È autoreferenziale.
Lo scontro sul possesso delle possibilità, sulla accumulazione delle chance di vita, la lotta per i privilegi è l’effetto diretto della crisi delle aspettative crescenti che, a sua volta, è causa ed effetto diretto della dissoluzione dello stato sociale. Il welfare state, che ci ha salvato e protetto contro le devastanti  crisi di accumulazione capitalistica previste da Marx, si è trasformato in warfare state, in uno stato permanente di guerra per la sottrazione di uno all’altro di privilegi di vita. Sempre più persone si aspettano dallo Stato e dalla politica sempre più soluzioni, sempre più soldi, sempre più sussidi, sempre più redditi e sempre più possibilità, sempre più opportunità, sempre più chance di vita. Né lo Stato, né la politica però possono rispondere a tutti. Possono promettere ma non  possono mantenere. Scelgono allora, di volta in volta, a chi rispondere in funzione della tutela del proprio privilegio di essere Stato e di essere politico. Scelgono in funzione del proprio vantaggio elettorale. A chi si e a chi no. Costruiscono la linea di demarcazione tra gli have e gli have-not. Se decidono condotti dall’interesse elettorale che garantisce i loro privilegi individuali, sceglieranno sempre per il gruppo più numeroso e più forte. Il singolo resta inevitabilmente out. E anche se i singoli out sono molti di più dei gruppi di pressione politica in, sono ininfluenti perché non sono sentiti, semplicemente non esistono perché non hanno alcun privilegio di essere, in qualche modo, privilegiati.
È uno scontro che ci distruggerà, perché non è solo economico, politico, giuridico, sociale, è prevalentemente culturale, visto che riguarda tutti noi che ci appropriamo ogni giorno di chance di vita sottratte ad altri, perché ogni giorno usurpiamo il privilegio di qualcuno per garantire il nostro.
Il nostro nemico siamo noi stessi.
Per dissolvere il fantasma della nostra quotidiana guerra alla conquista dei privilegi una riorganizzazione democratica, sebbene necessaria, non è sufficiente. Occorrerebbe una rieducazione alla democrazia, ma ci vuole troppo tempo e, al punto in cui siamo, il tempo è l’unico privilegio che nessuno di noi ha più.  

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