LA SINDROME ELEFANTIACA DEI RISULTATI ELETTORALI



Ormai è evidente a tutti che gli esiti elettorali sono il prodotto della reciproca coniugazione tra sentiment politico e modello elettorale. Il modello elettorale canalizza il sentiment politico: favorendo la sua fluttuazione agli estremi (proporzionale) finalizzato alla inamovibilità del potere centrale; o al centro del sistema politico (maggioritario o uninominale) favorendo l’alternanza del potere laterale.
Ho sostenuto che il sentiment politico attuale italiano, vista la enorme fluttuazione elettorale, denuncia una situazione di crisi profonda, quasi pre-rivoluzionaria o pre-totalitaria, a causa della diffusa entropia che, anno dopo anno, si va generando per assenza di riforma (o per deformazione) dei 3 fattori morfologici che reggono in equilibrio i network politici: il fattore fiscale per i soldi, il fattore elettorale per le persone, il fattore comunicativo per le idee.
Vorrei specificare che queste considerazioni non le faccio oggi, perché hanno vinto la consultazione elettorale la Lega e il M5S. Non è la diversità delle idee e uno stile argomentativo che non mi appartiene ad orientare il mio giudizio. Ho sostenuto queste stesse cose, subendo il diniego irrisorio dei più, anche quando il PD e la sinistra raggiunsero il massimo storico al 41%. Ora come allora l’elettorato fluttuante era ed è troppo. Anche allora si immaginava una vittoria del PD, ma non di quelle dimensioni. Anche ieri si sapeva di una sconfitta del PD, ma non di queste proporzioni. Ciò che spaventa e spaventava è l’enormità del successo o dell’insuccesso, l’enormità delle fluttuazioni elettorali, che denominerei  come “sindrome della elefantiasi degli esiti”. Questa elefantiasi dei risultati spaventa e denuncia una crisi, chiunque vinca o perda. Inoltre, illude i leader di essere perennemente amati, quando sono soltanto occasionalmente votati.
In ogni caso, ripeto, è ormai evidente a tutti che i cittadini votano rispondendo ragionevolmente ai quesiti proposti dal modello elettorale esprimendo il sentiment politico contingente, cioè di un determinato momento storico. È stato questo il grande errore di John Nash, a cui credono ancora alcuni analisti e politici nel mondo. Nash riteneva che la gente decide razionalmente avendo piena informazione. Questo vale solo per le Corporation in monopolio economico. Non vale per i cittadini che invece decidono ragionevolmente sulla base delle proprie aspettative. Aspettative che in certi momenti storici sono attive (il mio leader porterà magnifiche sorti e progressive) o reattive (odio i gialli che distruggeremo). Spesso un poco le une e un poco le altre. Tuttavia il sentiment politico è connotato dalle ragionevoli aspettative del momento. Da percezioni.
Perché affermo che siamo di fronte all’estremo di una crisi politica profonda?
Perché colgo 3 percezioni collettive distruttive che inducono degenerazione degli istituti e delle istituzione della democrazia liberale tradizionale.
1.     Percezione di minorità, si sente quando una maggioranza di persone crede di essere una minoranza. Ovunque ti trovi a discutere, senti ripetere al tuo interlocutore che tutte le cose belle sono diventate brutte per colpa di “loro”, degli altri, di una maggioranza di persone che ha eletto questi governanti. Ma chi sono questi loro? Questi loro siamo noi: una maggioranza di cittadini che sente, individualmente e ciascuno per sé, di essere minoranza.
2.     Percezione di impossibilità. E, poi, chi sono gli uomini del futuro? Quelli che sentono il ticchettio. Diceva Spender che il futuro “è una bomba ad orologeria sepolta ma che fa sentire il ticchettio nel presente”. L’essenza del futuro è sepolta nel passato e fa sentire il suo ticchettio nel presente. I cittadini non sentono più il ticchettio del futuro. Anzi, questo è il momento storico in cui, per dirla con Wald, “una generazione non è affatto sicura di avere un futuro”. Un mio amico di 16 anni, famiglia agiata e benestante, dichiara apertamente che la sua prospettiva di futuro è avere soldi sufficienti per sopravvivere tranquillo. È il segno dei tempi.
3.      Percezione di obsolescenza. Si tratta di quella percezione che si ha quando la società e la comunicazione mostrano di sapere sempre di più di cose che importano sempre di meno. Abbiamo eccessive specializzazioni su questioni insignificanti. La perfetta sensazione che si ha quando ti si dice che l’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto. Abbiamo sanato il debito pubblico ma la povertà ha raggiunto livelli altissimi. Fai tanti sforzi per sopravvivere e i mercati, che non si sa chi siano, ti sprofondano sempre più in una crisi che non si sa cosa sia. Si abbassano le tasse all’impresa che non fa investimenti ma quotano le sue azioni in borsa e i ricchi sono sempre di meno, poche persone hanno il reddito di tutte le altre. E non si capisce perché la soluzione è abbassare il costo del lavoro per rendere più ricchi i ricchi, quando le nazioni più ricche del mondo sono quelle che hanno il costo del lavoro più alto e quelle più povere il costo del lavoro più basso.  Luoghi comuni insignificanti di fronte a problemi devastanti nella vita delle persone.

Tutto questo produce una profonda delegittimazione di istituti e istituzioni  democratiche, una graduale, potente, costante, quotidiana decostruzione della democrazia.
La nostra speranza è che a questa decostruzione della democrazia liberale corrisponda una ricostruzione della democrazia della comunicazione. Ma per ora, in Italia almeno, è appunto soltanto una speranza.

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