IL PD E IL SUO FUTURO
Il PD ha pagato, e a caro prezzo, gli
errori che ha commesso. D’altronde se non avesse compiuto errori, non avrebbe
dovuto pagare prezzi. Ergo, se ha pagato il prezzo salato del 22% di elettorato
perduto in pochi anni, è perché ha commesso degli errori.
Come rimediare?
Le prospettive sembrano chiuse e
difficilmente perseguibili? Governo con M5S? o Governo con il Centro Destra
(including Lega)? O nessuno dei due ed estraneazione dalla maggioranza e dal
Governo?
Sono domande insignificanti ed
ininfluenti in questa fase per quel
partito. Il PD può scegliere qualsiasi posizione, è uguale per se stesso e per
il suo elettorato. L’appoggio esterno ad un Governo Di Maio, ad esempio,
sarebbe meno conveniente per il M5S – costretto sulla graticola permanente della
crisi possibile a rivedere continuamente le sue posizioni e a deludere le sue
aspettative – che per il PD stesso. È una posizione tattica. Per questo conta
poco. La sconfitta del PD è stata, invece, esclusivamente politica e dunque sul
piano politico va recuperata. L’uno o l’altro pari sono. Si tratta di
posizionamenti provvisori ed inutili che attardano soltanto risentimenti o
interessi provvisori e altrettanto inutili.
Vedo, nelle reazioni post elettorali di tanti dirigenti e militanti del
PD e del M5S lo stesso risentimento che
vedevo (e contestavo) nelle polemiche tra PSI e PCI, allora. Un risentimento
che spesso si trasformava in odio. Un atteggiamento tattico, per nulla
politico, che distrusse il PSI e lo stesso PCI.
Per non essere maturi e capaci di evolvere
si sono autodistrutti.
Succederà ancora?
È possibile.
Il PD non ha dimezzato i suoi voti per
una questione tattica. Li ha persi per una questione politica. Ha perso perché
le sue riformulazioni, costituzionali prima, elettorali poi, sono apparse finalizzate
al consolidamento del potere del suo capo non alla innovazione della democrazia
italiana. Una riformulazione per il potere, non il potere per la riforma.
L’accordo del Nazzareno è stata la stessa velenosa compromissione dell’accordo
del camper. Berlusconi ha inquinato le aspettative del PD allo stesso modo in
cui Forlani e Andreotti inquinarono le aspettative di riforma che in quel
periodo si addensavano attorno al PSI.+ Nell’immaginario collettivo, e nella
realtà politica, gli accordi strumentali hanno rappresentato la prova delle
riformulazioni finalizzate al mantenimento del potere e non al funzionamento
della democrazia italiana.
Questo è ancora il problema che il PD
deve risolvere.
Ora la domanda è: sarà capace il
Partito Democratico di diventare il partito della democrazia?
Per il momento non mi sembra, ma è
presto.
La freddezza della real politik
congela gli elettorati. Le aspettative di riforma per una democrazia davvero
compiuta vanno riscaldate, credo. I sistemi politici bloccati cercano sempre
uno sbocco o nella magistratura, o agli estremi della Lega e del M5S, o in
cambiamenti democratici consensuali, senza forzature, senza imposizioni. Costringere
alla fiducia, per quanto comodo, è una contraddizione in termini per un partito
democratico. Il partito della democrazia italiana si costringe alla fiducia
degli elettori, alla fiducia nel consenso, piuttosto che al voto degli apparati
dirigenti e parlamentari. Il M5S, con i volti nuovi, ingenui ed inesperti della
politica, ha offerto agli italiani una possibilità, sebbene equivoca, possibilità
di partecipazione, una possibilità apparentemente semplice e democratica,
mentre il PD si rinchiudeva attorno al cerchio magico e alle nomine
incontrollate, discrezionali e incomprensibili.
Saprà il Partito Democratico
trasformarsi nel partito della democrazia? Saprà garantire un accesso al potere
visibile, controllabile fatte di procedure consensuali? La connotazione
principale della democrazia è di saper trovare in se stessa le strutture di
partecipazione dei cittadini rispetto alle trasformazioni sociali e alle nuove
esigenze storiche. Saprà il PD trasformarsi nella città aperta della
discussione critica e nel luogo in cui la democrazia permette l’alternanza al
potere per una alternativa politica? I nuovi dirigenti saranno ancora scelti
dai capi o i capi saranno scelti dai nuovi dirigenti e dagli elettori? Resterà
chiuso nel buio cupo ed arido delle sue sezioni, dei suoi circoli, dei suoi
slang, dei suoi slogan e nei suoi bizantinismi che trasformano un partito di
cittadini in un ambizioso club di amici o saprà andare oltre se stesso, aprirsi
senza risentimento in una nuova elaborazione, alla critica rigenerante, alle nuove
concezioni, alle nuove concettualizzazioni per la società della comunicazione?
Il partito democratico saprà diventare il partito della democrazia per il XXI
secolo?
In un periodo politico medio i partiti
politici sono destinati a cambiare. Chi cambia per primo, per primo si apre al
futuro. Non bisogna dimenticare che, nonostante tutto e per poco ancora, il PD
resta sempre il secondo partito italiano. Può essere il luogo di questa
innovazione e in questa innovazione la sinistra e i democratici possono ancora
trovare il loro luogo. Ma non basta rigenerare, bisogna ripensare: ripensare per
rigenerare.
Se fossi un dirigente, o anche un
militante del PD, l’impegno maggiore lo metterei sulla organizzazione di una
serie di incontri, discussioni e seminari sul tema della nuova democrazia nella
società della comunicazione. So che sembra ai politici navigati un
atteggiamento vacuo, un argomento noioso e genericamente culturale, poco
pratico, troppo intellettuale. Invece è l’essenza della nuova politica,
ritrovare le sue ragioni, i suoi significati e la sua intelligenza, cioè la
capacità di leggere dentro la società che cambia.
Saprà il partito democratico diventare
il partito della democrazia?
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