IL GENERE DELLA VIOLENZA
In provincia di Latina, a Cisterna, un
paese vicino casa mia, un giovane carabiniere ha sparato alla moglie, si è barricato
in casa, ha ucciso le figlie e si è suicidato con un colpo di pistola.
È femminicidio questo?
Che genere di violenza è?
Se ci fosse stato un figlio maschio lo
avrebbe ugualmente ucciso?
O ha ucciso le figlie proprio perché
erano femmine e come la madre, nel suo folle armamentario di pregiudizi, sono
tutte puttane?
O, infine, come credo, non è stato che
un atto di puro squilibrio mentale, un raptus di irrefrenabile distruttività,
una furia iconoclasta irruenta e illimitata, che ha frantumato le ambizioni e
la vita di chi ancora doveva avere speranze?
I sogni si sono scontrati con gli
incubi e sono stati cancellati. I sogni ricorrenti, contro gli incubi ossessivi
non hanno possibilità di salvezza. I sogni sono fragili, estremamente fragili
ma accoglienti, attraenti gioiosi. Gli incubi sono cupi, assorbenti, illimitati
e irresistibili, tarli nel cervello che non smettono di corrodere, entropie
incontenibili e incontrollabili che implodono nella follia regressiva dell’auto
distruzione o esplodono nella follia aggressiva dell’altrui distruzione. Due
forme di distruttività, due estremi di un intervallo in cui, con diversi pesi
ponderali, diverse strutture conservative di energia e diversi meccanismi di
controllo, un intervallo in cui siamo tutti.
Siamo tutti imprigionati in una campana, la curva di Gaus, nelle due
braccia finiscono lentamente, forse continuamente spinti da noi, dalla nostra
distrazione, dalla nostra indifferenza, dalla nostra parziale identificazione,
dalle nostre incaute giustificazioni, dalle nostre inavvertite offese, loro, i
distruttori di se stessi e degli altri.
Sono sempre comportamenti pubblici e
pubbliche responsabilità, pubbliche accuse da cui ci assolviamo connotandoli
con qualche forma di malattia, con una qualsiasi patologia che giustifichi noi
e condanni loro. Se non ci fossero, questi distruttori di se stessi e degli
altri, questi patologgizzati, questi terapeutizzati, come per i criminali,
saremmo noi costretti davvero ad affrontare le nostre contraddizioni sociali
fatte di accettazione, permissivismo
verso le degenerazioni di ogni tipo e verso ogni sopruso.
Sono capi espiatori della nostra
giustificazione immorale.
Per questo l’ho definita “disobbedienza
incivile”: per squarciare il velo della ipocrisia dell’internamento di
questi comportamenti distruttivi nei lebbrosai psichici della malattia mentale;
perché i comportamenti distruttivi sono sempre comportamenti pubblici,
comportamenti di protagonismo bullistico, azioni politiche rivendicative che
possono essere reintegrate con un “compromesso socialdemocratico”, con
una ricostruzione della sociazione, come la chiamava Simmel, fatta di cultura,
conoscenza ed educazione, che sia in grado di evitare il più possibile il
genere della violenza.
E' una estrema sintesi. Però mi trova perfettamente d'accordo. Complimenti.
RispondiEliminaInfatti è soltanto l'inizio di un intervento che farò il 19 aprile a Paola su "Il Genere della Violenza". Poi invierò tutto l'intervento.
RispondiEliminaPurtroppo non si tratta solo di una maggiore evidenza mediatica di un fenomeno già esistente. La situazione è davvero grave. Le donne sono tornate a essere le vittime di una violenza che è prevalentemente maschile. Registriamo una vera perdita del controllo sia della razionalità sia dei freni inibitori, cioè del controllo di rabbia e frustrazioni. Stiamo tornando al “selvaggio” dentro di noi, che se la prende con quelli che nelle civiltà primitive sono i più deboli, le donne e i bambini. E in questa regressione la donna perde in un istante tutte le conquiste e i diritti guadagnati in generazioni: gli uomini, infatti, hanno riconosciuto l’emancipazione femminile solo con la loro parte razionale, mentre secondo l’istinto la donna è rimasta un “oggetto” sessuale, una “proprietà” dell’uomo.
RispondiEliminaNon è rilevante che le donne stiano accrescendo la propria indipendenza. Il vero problema è che l’uomo sta perdendo il proprio potere sul mondo, non sulle donne in particolare. La radice del male, la spiegazione di questa preoccupante violenza non va ricercata nelle donne, ma nella paura. Le donne ne sono vittime, non causa.
Per capirlo dobbiamo partire dal presupposto che la persona forte non è violenta.
Negli ultimi anni, invece, abbiamo assistito a un aumento della paura che immobilizza, una paura che si ricollega all’incertezza, alla perdita del ruolo, del potere che passa attraverso il denaro. E’ una crisi dell’esistenza, della civiltà, che sarebbe riduttivo considerare solo economica. La crisi ormai non è più fuori di noi, ma dentro la nostra testa. La paura legata all’incertezza genera una condizione di frustrazione, che ha una fase interna (la rabbia) e che quando si manifesta all’esterno diventa violenza.
Ormai siamo arrivati a un punto in cui la violenza si unisce alla distruttività: non si sopporta più la situazione in cui si vive e se ne esce con delle stragi familiari che diventano delle vere apocalissi. E questa violenza incontrollata viene subita non solo dalle persone più deboli, ma anche da quelle che sono percepite come tali in quanto ti vogliono bene o ti hanno voluto bene.
Fausto Corsetti