IL FLUSSO DELLA POLITICA ITALIANA E LE SUE BIFORCAZIONI



Ho l’impressione, dalle dichiarazioni e dai discorsi che sento, che gran parte del ceto politico italiano non abbia proprio capito che cosa è la politica di oggi.
Prima la politica era un sistema, un modello fatto di parti integrate (economica, giuridica, sociale) e ogni sua parte era composta di sottoparti (il lavoro, gli investimenti, i sussidi, la costituzione, il diritto penale e civile, la scuola, la sicurezza, l’assistenza sanitaria). Era una grande macchina integrata, fatta di meccanismi interagenti e rotelle, come un grande orologio fatto di ingranaggi, che poteva andare più o meno bene in base al funzionamento di ciascuna delle sue singole parti e della loro interazione. Bastava sapere come funzionava il meccanismo e cambiare eventualmente con una riforma gli ingranaggi logori o bloccati per permettere al sistema di funzionare meglio, forse non perfettamente, ma meglio si. Questo paradigma consentiva ad alcuni politici, come Pietro Nenni ad esempio, di credere che la cosa migliore che si potesse dire di una istituzione fosse che essa è riformabile, cioè che può tornare sempre al suo migliore funzionamento senza mai morire o depauperarsi.
Oggi la politica non è più così. Non è più un sistema. Non è più un modello per quanto integrato. C’è un nuovo paradigma. Nella società della comunicazione la politica è un network fatto, come ci ha insegnato Hannah Arendt, di azioni e relazioni, poli e connessioni, clusterizzazioni e separtizioni, la cui forma è continuamente variabile. Non è più un modello, ma un processo, come un grande fiume, fluida direbbe Bauman, che cambia il suo percorse in base alle biforcazioni che incontra. Può essere accelerato e lasciato andare senza preoccuparsi degli esiti, fino ad allagare e devastare le colture dei campi, fino a distruggere il sudore e il lavoro della gente; o può essere indirizzato verso la irrigazione per la fertilità dei terreni. Palude e malaria o campi fertili e salute.
Come ho più volte affermato, le biforcazioni (i fattori) che danno forma (appunto morfologiche) ai moderni network politici sono 3: il fattore fiscale per i soldi, il fattore elettorale per le persone, il fattore della comunicazione (in senso lato) per le idee.
In questa fase post elettorale ho sentito tante dichiarazioni inconsapevoli di questa trasformazione: chi dice di aver perso per un trucco tattico o per non essere stato compreso e vuole ricostruirsi, direi ristrutturarsi, spiegando meglio le sue inequivocabili ragioni; chi dice di aver vinto perché le sue inequivocabili ragioni sono state comprese, votate e pretende giustamente di istituzionalizzarsi definitivamente. Chi più, chi meno, sono sempre e solo minoranze.
Per quanto riguarda la sinistra, la sberla elettorale ha messo in evidenza il suo deficit cognitivo. Mi fa ridere chi sostiene lo stolto argomento tattico che se le elezioni si fossero svolte prima sarebbe stato meglio. Ovvio, ma che sarebbe successo? Renzi sarebbe diventato ugualmente Premier e avrebbe fatto le stesse cose e, alla prima consultazione utile, avrebbe registrato lo stesso fallimento. Comunque la sinistra, elezioni o no, avrebbe avuto ciò che voleva (ciò che già aveva): il governo.   
Il problema non è tattico ma politico. Dei 3 fattori fondamentali per indirizzare il flusso della politica la sinistra al governo li ha sbagliati tutti e tre:
1.     il fattore fiscale non è stato riformato, non lo è da anni perché dentro si annida sia l’evasione che l’eversione, chi non paga le tasse e chi  ricicla i soldi, nel nero cupo dei flussi finanziari italiani. Le piccole riforme liberiste della precarizzazione del lavoro e della riduzione del cuneo fiscale hanno male indirizzato la marea allagando il campo della ricchezza: i poveri sono aumentati e i ricchi (sempre più ricchi) sono diminuiti. Una sinistra che incrementa la povertà e restringe la ricchezza non si è mai vista.
2.     sul fattore elettorale stenderei un velo pietoso. Hanno cercato di restaurare la prima repubblica, con il suo blocco centrale inamovibile, con un meccanismo elettorale che facesse fluttuare il dissenso sugli estremi, come ha spiegato per anni Giovanni Sartori. Però hanno imbarcato un inaspettato movimento di circa il 30% dell’elettorato che ha svuotato il centro rendendolo insignificante e radicalizzato gli estremi rendendoci ingovernabili. Hanno costruito dighe di fango che sono state travolte dalla prima più forte ondata. In ogni caso una sinistra restauratrice non si era mai vista.
3.     il fattore della comunicazione è stato poi una apoteosi. La scuola e l’università sono nel caos della didattica, affidata al volontariato di pochi docenti invisi perché eccessivamente operosi, e alla dequalificazione del clientelismo, del servilismo se non addirittura del nepotismo. L’editoria è sempre più in mano dei pochi e i giornali sono espressioni di gruppi di potere anarchici. La riforma delle frequenze televisive non è stata nemmeno pensata e il controllo delle TV generaliste pubbliche si è fatto più acerrimo, lasciando al web la potenza della formazione di un pensiero critico anche se spesso volgare. Chiunque, di fronte alla ripetitività del pensiero acritico e la volgarità critica del pensiero, sceglie di informarsi e di formarsi nella libertà. In ogni caso una sinistra illiberale (che rottama la tradizione e il pensiero divergente) si è vista spesso. Troppo.

Ora siamo qui e, qui dove siamo, non mi sembra che restaurare un partito e crearne uno nuovo basti più. Non si tratta di parlare meglio per farsi capire. Si tratta di capire meglio di che cosa parlare. Ho l’impressione che il PD non sia restaurabile. Forse sbaglio. Non so e, comunque, non è un problema mio. Credo che, per rigenerare la sinistra, occorra un progetto politico nuovo, all’altezza dei tempi che stiamo vivendo. Certamente è anche un mio problema. E in questo non sbaglio. 

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