PRIVI DI UN PENSIERO GLOBALE


Ciò che davvero stupisce, in questa rapida e oscura campagna elettorale, è l'assenza di un pensiero globale.
Una volta lo slogan più efficace era: "pensare globale, agire locale".
Oggi la politica ha totalmente perso la capacità di pensare globale.
Al contrario, si pensa locale per poter agire in modo globale: per poter essere totalmente liberi di agire. Si propongono micro soluzioni di governo per una consultazione elettorale in cui non si vota per il governo. Si vota per il parlamento, per la propria rappresentanza ideale, non per il programma con cui amministrare. Si vota per i cattolici o i laici, per i democratici o i tirannici, per gli innovatori o i conservatori, i quali poi decideranno autonomamente quali atti inserire nel programma di governo. Quindi ora ci si può impegnare con tutti, tanto poi la coalizione per fare il governo imporrà delle opportune mediazioni. Pensare locale e agire globale. Si sa già che non si potrà agire coerentemente con le promesse e quindi si può promettere tutto a tutti. Appunto, si pensa locale, e si agisce globale.
Eppure tornare alla regola aurea del pensiero globale e dell'azione locale sarebbe un toccasana per noi. 
L'ultima volta che ho letto una completa e complessa analisi sul pensiero globale è stata quella di Edgar Morin, secondo cui "per poter pensare la globalità della società è necessario vedere la relazione fra le parti e il tutto, caratteristica appunto di complessità". Questo è proprio quello che ci manca. Ci manca la consapevolezza "che non esistono delle parti prese isolatamente".
Invece ciò che ascoltiamo è perfettamente il contrario, ognuno propone una sua risoluzione senza sapere davvero a cosa serve e, peggio ancora, senza sapere dove ci porta. Ignoriamo, o rifiutiamo perché troppo difficili, troppo complicate, le analisi delle reciproche interrelazioni, gli effetti sulle connessioni complessive. Ad esempio, perché bisogna battersi per più lavoro senza sapere quale lavoro? Le trasformazioni della società cambiano le qualità del lavoro non le loro quantità. Se non abbiamo le quantità di persone occupate è perché non abbiamo un pensiero globale sulla qualità del lavoro necessario. E' stupido continuare ad insistere sul micro incremento di un indice statistico se non si riformano criteri e contenuti di professionalizzazione scolastica ed extrascolastica. Senza una qualificazione delle competenze in sintonia con lo sviluppo globale della società, non ci saranno nemmeno le quantità di occupazionali adeguate. Non si incrementa il lavoro se si danno contributi diretti (fondi) o indiretti (fiscali) alle imprese e si abbassano i diritti dei lavoratori (flessibilità). In questo modo si incrementano soltanto i risparmi degli imprenditori (ed infatti la ricchezza italiana si è ristretta). Il lavoro è sempre più direttamente proporzionale alla qualificazione delle competenze. Ma le competenze in Italia non possono essere qualificate perché i luoghi di loro formazione sono anche luoghi di espansione del pensiero critico e autonomo, mentre è necessario che la comunicazione e l'istruzione siano destrutturate per favorire un pensiero acritico e omologato, pronto per il consumo e il voto automatizzato. Se, per garantire gli automatismi omologati del voto, il capo di partito candida i suoi fedeli senza alcun criterio condiviso (tutti i capi di tutti i partiti) indica al mondo che per poter essere parlamentare del proprio Stato, non devi pensare criticamente, basta essere fedele al capo.
Questo è un pensiero globale: l'analisi delle interrelazioni e delle conseguenze. 
Dunque soltanto un pensiero globale può aiutarci a riformulare i concetti della politica di cui abbiamo bisogno, per sapere verso quale sviluppo sociale stiamo procedendo. Ciò che faremo domani sarà fondamentale per sapere ciò che saremo e ciò che vorremo essere.
Dooby Margaret fadire al suo Aristotele che indaga il mondo: "viviamo per lo più in un mondo trasparente, Stefanos, un mondo in continua trasformazione, mutevole nelle innumerevoli trasformazioni di luce costante". Un pensiero globale ci permette di andare oltre il mondo delle illusioni empiriche,  gli inganni del visibile, "delle grandi trasparenze e modulazioni", poiché "l'occhio esplora ciò che vede, la mente ciò che non vede, l'impenetrabile".
Preda di un acerrimo praticume, la politica proclamata e propagandata anche e di più in questa ultima campagna elettorale ci atterrisce con le minacce (attenzione ai barbari che verranno) o ci inganna con gli interessi (meno tasse per tutti).
In perfetto stile anglo-sassone, invece, Giovanni Sartori  conclude uno degli ultimi suoi libri con il tema dell'etica. Egli distingue tra buone intenzioni e cattive conseguenze; o, per meglio dire, distingue tra "etica dell’intenzione ed etica della responsabilità. La prima punta sul bene (come lo vede) e non tiene conto delle conseguenze …….. l’etica della responsabilità, invece, mette in conto le conseguenze delle azioni". Nelle dichiarazioni elettorali, abbiamo soltanto "l’etica delle buone intenzioni, che è tutta fini e niente mezzi, di per sé può essere soltanto distruttiva. Nuoce a tutti e non giova a nessuno".
Tuttavia c'è un criterio a cui possiamo appellarci per non continuare questa folle corsa verso il nulla: di fronte ad ogni proposta "se le conseguenze sono dannose, allora ci dobbiamo fermare”.
Il pensiero globale ci aiuta a valutare queste conseguenze e ci indica dove e quando ci dobbiamo fermare.  

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