L'IMPOTENZA DEL POTERE
C’è un aspetto che i politici cercano
sempre di nascondere, mistificare meglio, molto meglio, di tanti ridicoli altri
professionisti, volenterosi sul piano internazionale e spiritosi sul piano
locale, comunque inconcludenti dalla mattina alla sera nel tentativo di
governare: la loro assoluta impotenza.
Non riescono a fare niente, a
determinare alcun processo economico, sociale e nemmeno politico. Sono travolti
dalla modernità per un semplicissimo motivo: non l’hanno capita. E non l’hanno
capita perché, pur essendo giovani, spesso infantili, non sono moderni, né
istintivamente, né intenzionalmente, tanto meno ragionevolmente.
Diceva Einstein che uno dei segni
inconfondibili della pazzia è continuare a fare sempre le stesse cose sperando
che tutto cambi. Non è la prima volta che lo ricordo e non sarà l’ultima, visto
come vanno le cose. E questo avviene perché, come diceva Kafka, “una volta
accolto in noi il male non chiede più che gli si creda.”[1].
Qualsiasi cosa facciamo ci sembra fatta bene, ci sembra risolutiva, crediamo
alle nostre dichiarazioni, permettiamo loro di diventare impunemente convinzioni,
e agiamo quotidianamente giustificando con il bene occasionale il male
strutturale che giorno dopo giorno sempre più diventiamo e, politicamente,
rappresentiamo.
Spiega Žižek: “il Male diventa la nostra prassi quotidiana,
e così, invece di credere in esso, possiamo credere nel Bene, e compiere azioni
filantropiche e simili.”[2]
Proprio Slavoj Žižek, infatti, descrive
benissimo questa generalizzata impotenza del potere di fronte alle catastrofi
naturali, in un capitolo di un bellissimo libro, in cui definisce la nostra
Terra una “madre pallida”[3]. È un
atteggiamento generalizzato, che vale per le catastrofi naturali, ma vale anche
per le catastrofi artificiali, per il nostro presente che, a causa delle cause
di questa impotenza, non riesce a trasformarsi più in un credibile futuro. Vale
per l’uno e per l’altro, per l’ambiente e per l’habitat, per il naturale e
l’artificiale, se questa distinzione è ancora accettabile, giacché in entrambi
i casi “la nostra stessa sopravvivenza dipende da una serie di parametri
naturali stabili che noi diamo automaticamente per scontati.”[4]. Detto in altri termini, sia nelle scienze
ecologiche che in quelle sociali, siamo prigionieri di un paradigma da cui non
riusciamo ad uscire. E tentiamo, come canta Guccini, “goffi voli di azione o
di parola”[5]. Ogni soluzione, proposta, propagata, esaltata,
esagerata, è un alibi per mascherare la propria endemica impotenza.
Si può dire anche così: la narrazione
politica asfittica produce una inflazione del processo decisionale.
È quasi una regola. O meglio ancora,
una procedura ricorrente.
Tanto più durante una propaganda elettorale in cui le promesse enfatizzate non saranno nemmeno le premesse del prossimo programma di Governo
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