INCERTEZZA DEMOCRATICA
inconsapevolezza democratica nella società della
comunicazione
Alessandro
Ceci
aprileduemiladiciassette
Se faceste, come ho fatto io, uno scouting
sul pensiero democratico più o meno recente, forse avreste anche voi una
sensazione di vacuità, di un discorso ridotto alle procedure o di un discorso
eccessivamente esteso all’universo della vita sociale. Ben inteso, la
democrazia è una procedura per prendere decisioni, come ripeteva Bobbio, o per
selezionare ceto politico, su cui insiste Sartori. Inoltre la democrazia è
certamente dinamica, secondo Schumpeter, ed estensiva. Tuttavia, ciò che manca
sono alcuni caratteri tipici dell’era moderna. Alla fine tutti si riconducono
alla definizione di caratteri universali per una forma di governo aristotelica,
con connotazioni stabili e stabilite.
Il mio approccio è un po’ diverso. Parte
dalla ipotesi di Bertrand Russell sulla centralità del potere. Come è noto,
infatti, Russell sosteneva che “il concetto fondamentale della scienza
sociale è il potere, allo stesso modo che nella scienza fisica il concetto
fondamentale è quello di energia” e
che, dunque, “le leggi della dinamica sociale possono essere enunciate
soltanto in termini di potere”. So che il potere dell’uomo ha determinato
4, solo 4, mutazioni dell’habitat sociale umano: l’ontopower, il potere
ontologico della sopravvivenza, ha costituito le comunità umane; l’egopower, il
potere della propria auto rappresentazione, ha costituito le società
stratificate; il biopower, il potere sociale sul controllo della vita, ha
costituito i sistemi; e oggi, l’epipower, il super potere epistemico della verità
sulla realtà, sta costituendo una società di network. Corrispondentemente la
democrazia è stata collaborativa nelle comunità, rappresentativa nelle società,
partecipativa nei sistemi. Come è oggi la democrazia nella società della
comunicazione e nei domini relazionali dei network?
Nessuno lo sa, o almeno, nessuno lo dice.
Si cerca nel passato, cognitivo o
commemorativo, proprio perché non si scruta il presente.
Il passato però, addirittura le origini,
non sono più adeguate, come si dice, necessarie ma non sufficienti, per
fronteggiare la complessità del potere nella società contemporanea e
indirizzare la sua benefica energia per una migliore qualità della vita con
istituzioni legittimate da una
democrazia condivisa. La collaborazione alla vita comunitaria non ci aiuta a
governare le Piattaforme Continentali di Nazionalità; la rappresentanza
connotativa nell’assemblea di una polis o di uno Stato non è più identificativa
di storia e tradizioni quando la cittadinanza è multietnica e addirittura con
diversa nazionalità; la partecipazione in sistemi sociali specializzati e
differenziati per ruoli e linguaggi, non è più connessa con la
multidimensionalità dei problemi, con soluzioni e comunicazioni integrate, in
epoca di surplus informativo e sentiment imperativo. Anche riducendo la
democrazia alle sue sole procedure, come doveva essere alle sue origini,
l’equivoco è talmente ampio che, con la scusa di governare la complessità del
sociale, la Corte Costituzionale Italiana consente alla migliore minoranza, con
il trucco del premio elettorale, di ottenere la opportuna maggioranza dei seggi
parlamentari.
Sarà perché la democrazia è nata bene che
procede male.
Freud e Hobbes ci hanno insegnato che cosa
è un pensiero laico nell’individuo e nel soggetto: sapere che le tue origini
sono la più estrema corruzione criminale. L’assassinio del padre per Freud. La
condizione di “homo homini lupus” per Hobbes. Roma nacque dall’omicidio
del fratello. Gli USA da una guerra tra fratelli. Forse l’Europa non decolla
perché le sue origini sono troppo nobili. Fossero state più ignobili oggi il
processo di integrazione sarebbe molto avanti.
Questo avviene per un fatto processuale
semplicissimo: perché se uno parte dal massimo, non può andare oltre. Se uno
considera meravigliose le origini, non fa che guardare indietro. Questo è il
dramma del pensiero teocratico: essendo tutto proveniente da Dio, essere
supreme e infallibile, tutto il resto, tutto il futuro non è che una
corruzione. Al contrario un laico, se proviene da una corruzione, non può che
migliorare, il futuro è generativo e non degenerativo. Come diceva Bauman, che
la società più giusta è quella che pensa continuamente di essere ingiusta.
Il valore di ogni origine è dato dalle sue
successive evoluzioni, dalla consapevolezza che ci siano diverse dimensioni di
democrazia, con diverse prevalenti connotazioni, in diverse epoche storiche.
Solo se siamo condotti da una teoria delle mutazioni politiche, possiamo
concepire il fascino e la bellezza delle origini, nonostante l’insufficienza
nell’attuale fase storica e politica. In una logica quantistica della
variabilità delle connotazioni in funzione delle condizioni, è possibile
apprezzare sempre il valore insostituibile della democrazia.
Con questo approccio processuale del potere
e della democrazia ho proposto, per la interpretazione di entrambi, un
connotato e tre funzioni.
·
Il connotato, che
ci permette di giudicare e risolvere le degenerazioni della politica – in
generale - e della democrazia – in particolare -, è uno solo: il vuoto
politico. Non è vero che il vuoto politico non esiste. Esiste, eccome. Alcune
nazioni al mondo ne hanno una prova pratica concreta e drammatica. Non tutte
gli Stati, al mondo, come si dice, “fanno mafia”. Le organizzazioni
criminali strutturate sono nate soltanto laddove, nella storia di quello Stato,
nella sua formazione o nella sua violenta riformulazione, si è determinata una
scissioni simbiotica tra governo e governance. E la scissione simbiotica tra
governo e governance è il vuoto politico. Possiamo fare una analisi dettagliata
di tutti gli Stati con una presenza di criminalità organizzata strutturale – io
l’ho fatta - e vedremo che tutte hanno
avuto una scissione simbiotica tra governo e governance, cioè un vuoto
politico. Al contrario, se ci accorgessimo di un vuoto politico, cioè di una
scissione tra governo e governance, potremmo ipotizzare la presenza di una
qualche forma di organizzazione criminale. Allora, la minaccia alla democrazia
nella società della comunicazione è data dal vuoto politico, cioè dalla
scissione simbiotica tra governo e governance. Viceversa una democrazia della
comunicazione è tale, quando governo e governance sono simbioticamente
integrati. Ad esempio, in Italia abbiamo troppo governo e poca governance,
mentre in Europa abbiamo troppa governance e poco governo. Nell’approccio
procedurale della teoria democratica invece il tema della governance, come
elemento fondamentale per una corretta articolazione della democrazia non
esiste. Per questo, pur essendo necessario, direi addirittura indispensabile,
discutere di meccanismi elettorali, strutture costituzionali, leggi, regole e
regolamenti, non basta, non è sufficiente per affrontare il tema della
democrazia realizzata nella società della comunicazione.
·
Le funzioni
morfologiche dei network moderni sono tre e le ho già, più volte, ripetute: le
risorse, quindi la funzione fiscale per la gestitone del flussi economici e
finanziari; gli uomini, quindi la funzione elettorale per la selezione del ceto
politico; la comunicazione, quindi la funzione culturale, informativa,
educativa, mediatica per la produzione delle idee. Il controllo di queste tre
funzioni ci indica la tipologia del
potere in quella determinata organizzazione politica.
Naturalmente,
ciascuna delle funzioni può cambiare il connotato. È chiaro che se la funzione
fiscale è iniqua, l’evasione si espande e la governance dell’economia assume
l’aspetto della evasione e della corruzione. Se la funzione elettorale non
selezione il ceto politico il governo è in balia di se stesso, in un linguaggio
autoreferenziale, senza alcun rapporto con le esigenze di sviluppo della
società. La privazione della relazione politica con gli elettori, allontana i
decisori dalla governance della vita reale, della vita nuda dei cittadini. E
ancora, se non funziona il sistema della comunicazione manca la produzione
delle idee. Governo e governance si attardano su questioni obsolete ed
insignificanti. Il vuoto si appropria del sistema politico e il governo reale
della società passa dai nominati alle lobbies.
Dunque,
la disarticolazione delle funzioni produce vuoto politico, cioè scinde la
relazione – che dovrebbe essere – simbiotica tra governo e governance. Questa
scissione trasforma la democrazia in autocrazia: poiché questo è l’ultimo punto
che vorrei qui ricordare.
La
democrazia moderna non è una forma di governo in opposizione ad un’altra. Non
esistono più le forme di governo aristoteliche: il governo di uno (tirannide),
il governo di pochi (aristocrazia) e il governo di molti (democrazia). E non esiste
più nemmeno le alternative oppositive basate sull’azione sociale e politica,
come ci ha insegnato Hannah Arendt: democrazia o totalitarismo.
Nella
società della comunicazione esiste un intervallo di infinite possibilità
integrate tra due estremi: da un lato la democrazia, dall’altro l’autocrazia.
In mezzo le infinite forme politiche che conosciamo come poli nel network delle
relazioni internazionali. Poli con percentuali di democrazia e percentuali di
autocrazia, che in diversi momenti, a seconda dei diversi comportamenti, in
base ai diversi orientamenti, in considerazione di diversi procedimenti e
diversificati provvedimenti, tende ad essere più o meno democratica o più o
meno autocratica. In ogni giorno, in ogni ora della nostra azione politica noi
possiamo determinare maggiore o minore democrazia relativa e possiamo passare
ad una forma politica autocratica senza nemmeno accorgercene, come avviene
spesso con le tecniche di omologazione mediatica.
Questa
nuova condizione ha il suo fascino e la preoccupazione, il suo decalogo e la
sua falsificazione, per dirla con Ortega y Gasset. Il fascino è che ciascuno di
noi può, costantemente contribuire al livello complessivo di democrazia
esistente nel suo habitat sociale, cioè al suo dimensionamento. Tuttavia, e
questo è il rischio, tutti i giorni siamo vittima di una strategia di
decervellamento che ci eliminano le difese critiche, ci omologano e ci
schiavizzano, senza che ce ne accorgiamo. Prima non era così. Prima sapevi
sempre, nel bene e nel male, se vivevi in un regime tirannico o aristocratico o
democratico, in un sistema totalitario o democratico. Oggi rischi di non
saperlo più. Non sai se una decisione apparentemente democratica trasforma in
realtà il tuo habitat sociale e politico in un habitat autocratico, se un
fattore elettorale è funzionale o disfunzionale al miglioramento della
democrazia o se favorisce il potere personale e familiare di uno, se una
riforma fiscale favorisce la uguaglianza delle chance di partenza o le
peggiora, se essere annoiati da una considerazione critica è un elemento di
funzionalismo procedurale pratico o il sicuro viatico verso un incontrollabile
potere autocratico.
Oggi
non lo sai più.
Ma
almeno una cosa è certa: questa ignoranza, questo deficit cognitivo è la vera
minaccia della democrazia nella società della comunicazione.
Alessandro, concordo e aggiungo: Noi abbiamo perso ogni orizzonte politico perché non riusciamo più a distinguere i punti di riferimento.
RispondiEliminai nostri punti di riferimento oggi non possono che essere culturali e/o scientifici
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