GENEALOGIA DEMOCRATICA: 5 - Protagora di Abdera
Non ci interessa Prōtagóras (Πρωταγόρα) di Abdera
(486 – 411 a.C.) per essere stato considerato, dalla letteratura filosofica
prevalente, il padre della sofistica. Qui ci interessa per aver introdotto
alcune innovazioni importanti nella storia del pensiero democratico, nella
narrazione della democrazia.
Protagora passa rapidamente e in modo del tutto
inusuale dal lavoro fisico e manuale all’insegnamento, all’insegnamento a
pagamento. Tra una attività e l’altra vagando per la Grecia, arriva ad Atene,
dove entra nel giro culturale di Pericle che lo stimò e lo scelse per redigere,
nel 444 a.C., la costituzione della nuova colonia panellenica di Thurii.
Accusato di corruzione ed empietà, dopo la morte di Pericle, o fuggì o fu
condannato all’esilio per morire, sembra in un naufragio.
Per Protagora “l’uomo è la misura di tutte le cose,
di quelle che sono in quanto sono, e di quelle non sono in quanto non sono”.
Perché Platone attribuisci questa frase, probabilmente
corrispondente, a Protagora?
Il senso del discorso sfugge, se non si fa riferimento
al pensiero filosofico greco che in quel momento era diviso tra i sostenitori
di Parmenide (circa 514 a.C. - 450 a.C.) e quelli di Eraclito (535 a.C. – 475
a.C.).
Parmenide è il filosofo dell’essere, che sosteneva che
ciò che è, è e non può non essere, ciò che non è, non è e non può essere.
Eraclito è il filosofo dell’esistenza, che proclamava
il suo “pànta rheî” (πάντα ῥεῖ), tutto scorre, essere e non essere sono
entità dinamiche in alternativa dialettica.
Entrambe queste filosofia presupponevano una
fenomenologia esterna dell’essente e dell’esistente da decodificare in modo
oggettivo, o almeno il più oggettivo possibile.
Protagora inverte la prospettiva: la fenomenologia
esterna ha senso soltanto quando diventa interna alla percezione umana, perché
appunto è l’uomo la misura di tutte le cose, di quelle che vede, che può
constatare perché “sono in quanto sono”, e di quelle invisibili che solo
immagina, immateriali, che può addirittura teorizzare perché “non sono in
quanto non sono”. In altri termini, per Protagora, la realtà è oggettiva in
base a come viene percepita dai sensi. Dopo circa 2500 la stessa concezione ci
verrà proposta (o riproposta) dalla scuola tedesca la Gestaltpsychologie,
cioè la psicologia della forma o della rappresentazione. Come Protagora, infatti, la scuola psicologica
tedesca ritiene essere la percezione e l’esperienza dell’uomo la misura di
tutte le cose: “quali le singole cose appaiono a me, tali sono per me e
quali appaiono a te, tali sono per te: giacché uomo sei tu e uomo sono io”.
Da allora, una serie di sofisti volenterosi
propagarono e propagandarono le teorie di Protagora in giro per il mondo,
volendo dimostrare che tutto dipende dalla percezione umana, perfino il
paradosso logico (antilogie) quando
contrasta notevolmente con l’esperienza quotidiana (come ad esempio i paradossi
di Zenone, per cui il veloce Achille non raggiungerà mai la lenta tartaruga e
la freccia scoccata da un arco in realtà non è mai partita). L’uomo è la misura
di ogni cosa, sia nel suo reale percepire, sia nel suo assurdo ragionare.
In ogni caso,
per quel che interessa ora a noi, Protagora è stato un sofista democratico.
Protagora fu il padre dei sofisti, ma non della
democrazia che, per sua stessa definizione, è orfana; altrimenti non è.
Però egli contribuì moltissimo alla evoluzione del
pensiero democratico. Fu il primo infatti a considerare la politica una tecnica
(τέχνη: abilità, destrezza, mestiere, arte)
funzionale alla sopravvivenza antropologica dell’umano. Gli uomini sopravvivono
in comunità grazie alla loro socialità, che permette la memorizzazione e
l’addestramento, cioè la formazione, di speciali tecniche che sono in grado di
piegare l’ambiente alle proprie esigenze.
Protagora
è il primo che considera la competenza cognitiva (principalmente educativa)
come connotazione tipica dell’umano e distintiva da tutti gli altri animali. Le
tecniche come l’agricoltura, l’artigianato, la geometria, hanno permesso agli
uomini di adattarsi all’ambiente, ma per costruire un proprio habitat evolutivo;
ma Zeus ha regalato loro una tecnica superiore, la sola tecnica che sa mettere
insieme tutte le tecniche per raggiungere il più possibile il bene comune
necessario alla vita dell’umano: la politica. Per questo motivo, proprio perché
ciascuno di noi è la misura di tutti noi, per tenere insieme una comunità o una
polis, ogni cittadino deve dotarsi di una cultura politica. Quindi è giusto che
ogni cittadino partecipi alla vita politica civica, nella sua più ampia
dimensione.
La
democrazia è il valore aggiunto dell’umano rispetto agli altri animali, perché
è la massima espressione ed esaltazione della politica, cioè della tecnica
suprema dell’etica collettiva, dell’etica dell’uomo, non solo in quanto
individuo, ma in quanto specie.
In
realtà, di Protagora, delle sue opere, sappiamo ben poco. Non abbiamo nulla in
termini di documentazione diretta, se non quanto ci è stato riportato da altri.
Tuttavia, proprio per questo, la sua influenza deve essere stata notevole. Quando
un uomo lascia se stesso nella storia, oltre le sue opere, vuol dire che ha
piegato decisamente lo spazio concavo delle relazioni sociali attorno a sé. Lui
personalmente e i sofisti tutti, educarono i giovani all’arte oratoria e alla
dialettica, ricavandone prestigio e ricchezza. L’influenza dei sofisti, fino a
Socrate, cioè per tutto il periodo della prima insorgenza democratica, fu
notevole, consistente e persistente. Duraturo.
Sappiamo
però che a causa del suo dichiarato agnosticismo, o con questa scusa, o per il
fatto di essere uno degli amici più intimi di Pericle, Protagora fu accusato da
Pitodoro, uno dei membri della Boulé dei
quattrocento, e condannato all’esilio. Le sue opere, interamente requisite
per mezzo di un Araldo, furono bruciate in piazza del mercato (il centro di
Atene), espressione evidente di gelosia e vendetta.
Ci
vorrà, come scrisse Diogene Laerzio, “la fredda bevanda di Socrate”[1] a
segnare la fine di questo primo, esaltante, esperimento democratico.
Le esperienze e gli esperimenti della storia
bruciano gli animi e spesso i corpi delle persone; ma il fanatismo
fondamentalista, che sia religioso o ateo, tenta disperatamente di decervellare gli
uomini, di resettare la mente, di formattare il cervello e, quindi, la misura
umana delle cose. Si tratta di una de-umanizzazione subdola ma molto più
incisiva e determinante: quella che ti fa sottovalutare il devastante annullamento
della identità dell’altro. Non è un dramma totale quando avviene per personaggi
noti, famosi, come Cristo, Socrate, Pericle o Protagora, che lasciano comunque
un segno della loro presenza nel mondo, anche oltre gli scritti, nelle storie,
nelle narrazioni, nelle testimonianze. È un dramma collettivo e di massa quando
il totalitarismo cognitivo si scarica sulla “folla solitaria”, sulle miliardi di vite che nella storia sono
passate in ombra, che non sai come sono vissute e dove, come sono morte e dove,
cosa hanno detto e a chi. Questo potere nero, questo buco nero del potere che
assorbe l’energia vitale e la intelligenza dell’umano, nel quotidiano, nelle
pieghe segrete della vita, è devastante. Sono loro, siamo noi, la massa di
umani che la storia non iscrive nei suoi calendari, i veri eroi che danno ogni
cosa senza davvero ottenere nulla. Oppure ottenendo tutto se quel tutto è
semplicemente essere se stessi oltre, la mediocrità egocentrica del
protagonismo e dell’immortalità.
Quando l’uomo non è più misura delle cose,
sono le cose che diventano la misura dell’uomo. Cose. Stati, confini, nazioni,
ricchezze, oggetti, proprietà. Strumenti che ci servono certo a vivere meglio,
ma che troppo spesso ci obbligano a convivere peggio.
Abbiamo una regola a cui non possiamo derogare,
per essere eroici davvero. Diceva Ivan Illich che la società è conviviale
quando lo strumento non supera l’umano.
Ecco: questa è la regola!
[1] “Al primo fra tutti i sofisti /
di prima e di poi / d’acuto e mirabile ingegno, o Protagora / /in cenere
vollero ridurre i tuoi scritti / dacché affermasti di non sapere / gli Dei e la
loro natura / massima cura avendo / d’imparziale giudizio / la fuga cercasti e
non ti valse / per non bere anche tu / la fredda bevanda di Socrate”.
Diogene Laerzio
Commenti
Posta un commento