DI MAIO SALVA IL PD





Se non ci fosse stato, Di Maio, il Partito Democratico avrebbe dovuto inventarlo.
Di Maio ha utilizzato tutti i modi possibili e immaginabili per salvare un partito ormai avvitato nella noiosa, autoreferenziale pratica del conteggio dei pesi delle correnti, delle loro integrazioni e delle loro riduzioni; un partito ormai incastrato in un loop autodistruttivo totale, improvvisamente ritrova uno spazio politico e, più ancora, una ragione. Avendo spostato decisamente a destra il M5S, non solo per il proprio posizionamento, quanto per le politiche indicate nel “contratto”, lascia una prateria libera a sinistra, al PD, non solo per le politiche indicate nel “contratto”, ma anche semplicemente per il suo posizionamento a sinistra. Inoltre, per inseguire la destra la lega con armi e bagagli, Di Maio ha reso insignificante la spaccatura del PD verso Forza Italia. Un partito che era sul punto di essere frantumato tra chi voleva seguire il capo e chi i civici locali, ora ritrova una sua identità.
Saprà il PD approfittare della ghiotta occasione?
Il suo recupero politico sembra quasi inevitabile, sebbene non immediato. Richiede una azione e una ragione.
L’azione non può più essere quella tattica fin qui improvvidamente perseguita, fatta di trucchi e trucchetti, di falsi furbi che dichiarano l’avvento di processi politici nuovi prima che accadano, di enfasi bullistica, di lacerazioni e di inevitabili sconfitte. È la logica delle volpi, come si diceva una volta, che finiscono sempre in pellicceria. Se invece si svilupperà una azione strategica, finalizzata a riconnettere la rete dei gruppi sociali, a ricollegare le aree di rappresentanza politica, a costruire una presenza nel rapporto mediatico e fisico con i cittadini, come un movimento aperto, offrendo alle aspettative dei gruppi sociali, non una indefinita ed equivoca bolla mediatica, ma uno spazio di relazione fisico e virtuale; se svolgerà cioè una azione strategica finalizzata alla costruzione di un partito moderno, senza dover imitare di volta in volta o Berlusconi o Di Maio, ma un partito disteso sulla socialità reale, senza essere prono al peso del potere, allora il PD avrà, con calma, una funzione fondamentale di innovazione per l’internazionale socialdemocratica.
La ragione, “semplicissima ad essere enunciata per quanto non sia altrettanto semplice ad essere analizzata”, è quella democratica. Ripensare e ridefinire il pensiero democratico nella società della comunicazione, questo è il grande compito del Partito Democratico. Una nuova narrazione politica sulla democrazia. Nella società della comunicazione siamo passati dal know-how al know-out, i pensieri e i concetti si formano all’esterno, nell’infra avrebbe detto Hannah Arendt, con la discussione e il confronto. Non bisogna “spiegare a”, bisogna “pensare con”. La propaganda per vincere una elezione e perdere l’altra a causa della aspettative disilluse, non serve più. Contro la moda mediatica impressionistica che sostituisce i curricula (spesso falsi) alle idee, bisogna ricostruire le ragioni e le concezione di un grande pensiero democratico che va ristrutturato nel momento in cui lo abitiamo, dentro il terzo millennio che stiamo costruendo con il nostro stesso modo di viverlo.
Questa è la prospettiva che Di Maio ha donato al PD, togliendo a sinistra l’ingombro del M5S. Un po’ come la nazionale italiana di calcio, una grandissima tradizione sportiva che può essere rigenerata proprio dalla esclusione dai campionati mondiali.
È certo che i tifosi vorrebbero vincere sempre.
Questo però non è possibile.
Le fasi di rigenerazione sono molto più affascinanti.

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